Lungimirante intuizione del Corriere di Gela che ha ospitato nelle ultime settimane le riflessioni di Salvatore Parlagreco e di Marco Trainito su un nuovo “intruso” tecnologico, le cui ricadute impensieriscono tanti mondi professionali.
L’Intelligenza Artificiale si può paragonare ad una “anguilla”, la vuoi stringere tra le mani ma sguscia veloce, sfugge e si dimena. Quasi impossibile coglierne tutta la complessità di cui è composta, ancor prima di esaminarne gli effetti che tanti temono, a cominciare dal plurimiliardario Elon Musk, che vorrebbe sospenderne gli sviluppi, al Garante della privacy italiano che ne ha bloccato il trattamento dei dati e quindi la fruizione temporanea sul territorio nazionale.
L’AI (Artificial Intelligence), la nostra anguilla sfuggente, si ciba di tanti ambiti: filosofia, matematica, statistica, economia, neuroscienze, psicologia, ingegneria informatica, teoria del controllo e cibernetica, linguistica. E’ cioè pervasiva già dalla sua genesi, raccoglie conoscenze e criteri da tantissime discipline.
Se poi si guarda “l’anguilla” nella sua struttura tecno-implementativa, il catalogo diventa ancora più ampio ed incomprensibile per i non specialisti: Inferenze nelle reti bayesiane, reti neurali, logiche fuzzy, modelli di Markov, filtri di Kalman, teoria delle decisioni, programmazione logica, apprendimento per rinforzo, analisi sintattica (parsing), modelli probabilistici ed information retrieval, tecniche di riconoscimento delle immagini, architetture di sussunzione, analisi asintotica, funzioni euristiche, teoria dei giochi stocastici, backtracking intelligente, model checking, ingegneria della conoscenza, algoritmi di concatenazione, grafi di pianificazione, ingegneria ontologica, reti semantiche, logiche descrittive… basta! Fermiamoci qui. Abbiamo capito che “l’anguilla” non è acchiappabile!
E però questa anguilla dobbiamo cucinarla perché entra prepotentemente nel nostro menù quotidiano e quindi qualcosa va capita, quanto basta per mettere l’anguilla in padella…
Come funziona il nostro capitone? Possiamo dire che trattasi di una “anguilla stocastica”, funziona cioè con basi di apprendimento basate sulle probabilità, semplificando, calcola la parola che ha maggiore probabilità di seguire quelle precedenti, ma calcola, ad integrazione, anche i periodi semplici più probabili sulla base di quelli precedenti.
Insomma una sovrapposizione di filtri di probabilità che la rendono una grande macchina statistica basata su bacini di apprendimento dati immensi. Il costo di una AI dipende infatti dai “domini di apprendimento” che vengono forniti al motore statistico. Ovviamente a questa algoritmica si sommano filtri di strutturazione semantica che destrutturano e ristrutturano la risposta ai quesiti posti.
Una “anguilla” siffatta diventa temibile perché ha a disposizione una massa di dati storici mai disponibili prima e tuttavia il dominio in cui si muove “l’anguilla” è sempre quello della forma delle parole o delle immagini o di qualunque dato che possa essere cumulabile e accedibile. La forma non il significato. Sta qui il senso di cosa si cela sotto la pelle ”dell’anguilla”.
Una macchina non “pensante” ma infinitamente aggregante, dotata di un motore relazionale statistico, opportunamente guidato da filtri e reti neurali che seleziona ed aggrega. Noi umani invece, ben diversi dalle “anguille artificiali”, non riusciamo a maneggiare la forma senza il suo significato o i suoi significati associabili, e per usare i significati abbiamo bisogno dei contesti che ispirano e dirigono i significati. E questo significato spesso varia, si evolve, diventa moda, cultura, costume. Ecco perché noi non siamo anguille artificiali, anche se pure noi usiamo valutazioni statistiche in maniera conscia e inconscia.
Il seguente quesito dimostra quanto detto:
– (Domanda) Ci sono 10 libri nella stanza, dopo aver letto 3 libri, quanti libri sono rimasti nella stanza?
– (Risposta) Dopo aver letto 3 libri, ci sarebbero ancora 7 libri nella stanza.
Ecco che l’anguilla rivela la sua natura “non pensante” o meglio dire, il suo approccio statistico non raffinato sul discernimento dei contesti.
L’AI si rivela pertanto quel qualcosa che da come effetto il risultato di un pensiero senza che a generarlo sia necessariamente un pensiero. Una dimostrazione palese che data una causa hai un effetto, ma dato un effetto puoi avere tante cause che lo determinano. Benedetta insiemistica…!
Ma l’anguilla artificiale non maneggia solo parole e frasi, analisi sintattica e semantiche, elabora anche immagini, audio vocale (voice), emozioni (sentiment), codici digitali (code generation), classificazioni e riconoscimento dell’intento (Intent recognition), gestione delle domande e delle risposte (Q&A). Se poi una AI è collegata a sensori esterni possono realizzarsi dei Cobot che uniscono elaborazione e azione, in una interazione che simula l’umanoide e il nostro agire.
Spingendo ancora la prospettiva, se più AI specializzate collaborano possiamo avere delle Cooperative AI che realizzano un sistema ultra specializzato con caratteristiche di autonomia decisoria veramente impressionante. Dall’anguilla al covo di anguille…
Un’ultima nota su questi motori artificiali: l’addestramento del motore AI di Google ha comportato il consumo di circa 1287 MWh, con un’emissione di circa 550 ton di CO2e pari all’energia usata da 126 abitazioni in Danimarca per un anno o ad un viaggio per la luna e ritorno. Mica niente.
Paura? Disagio? Senso di impotenza di fronte a cotanta accelerazione tecnologica? Bisogno di smorzare questa corsa con un freno etico con cui inscatolare le anguille dell’AI? Tranquilli, la tecnica non è frenabile dentro la nostra società, si nutre di autopotenza, il suo fine è il suo stesso incremento di razionalità, in una corsa infinita in perenne accelerazione. La tecnologia è il soggetto vero della storia del nostro occidente. E la nostra etica può solo accarezzarla, smussare qualche minimo spigolo, regolamentare qualche ricaduta ma non frenarla.
L’AI è già in uso prepotente e pervasivo in ambito militare, ove vige il teorema dell’uso incontrastato di ogni tecnologia, da lì i manufatti migreranno con continua ed incessante osmosi verso gli usi civili, certamente dentro quadri legislativi di accompagnamento, ma nulla potrà frenare questa nuova ascesa di elaborazione artificiale. Quindi prepariamoci, ingegniamoci a studiarne le ricadute e a chiedere attenzione normativa sugli effetti, ma prepariamoci ad usarla al meglio.
D’altra parte il filosofo tedesco Gunther Anders fu il primo a sostenere che la natura dell’uomo risiede nella sua “artificialità”, la sua specializzazione consiste nel non possederne alcuna, incapace di essere “tagliato” per qualcosa. Per questo, per sopravvivere, deve necessariamente trasformare la natura, creare mondi artificiali, altri mondi, figli della sua generale inadeguatezza a tutto. La nostra “anguilla” è figlia, quindi, del nostro non essere “adatti” a niente.