Nel 2014, con la chiusura della raffineria dell'Eni, è cessata per Gela l'epopea del petrolio, la produzione industriale ha avuto un tracollo allarmante e la città, notevolmente impoveritasi, ha subito un progressivo spopolamento che l'ha fatta scivolare dal quinto al settimo posto nella classifica dei centri più popolosi della Sicilia, superata da Marsala e da Ragusa.
In questi 10 anni di deindustrializzazione del territorio gelese, il flusso migratorio della forza lavoro (età media 20-40 anni) è diventato inarrestabile. Gela è passata dai 76.826 abitanti del gennaio 2014 ai 71.937 residenti del gennaio 2022, con una perdita secca di 4.889 persone pari al 6,36% della popolazione.
E' come se da Gela fossero andate via tante famiglie quanto ce ne sono a Butera. Un intero paese letteralmente cancellato.
E' il frutto delle promesse tradite, di politiche sbagliate, di una concezione coloniale dell'industrializzazione del Sud calata dall'alto al solo scopo di realizzare profitti economici e clientele elettorali, incuranti della devastazione ambientale e del deserto imprenditoriale che si provocava attorno alle cattedrali vuote.
Il picco dell'odierna "corsa alla ricerca del lavoro" si è avuto nel 2015 (esodo di 1.666 persone), dopo la firma dell'accordo di programma tra Eni, governi centrale e regionale, sindacati e giunta comunale gelese, che ha sancito la chiusura della raffineria tradizionale e la sua trasformazione green per produrre bio-carburanti ma riducendo da duemila dipendenti (tra diretto e indotto) a circa 350 il personale occupato. Ben poca cosa rispetto al bisogno di lavoro che c'è in città.
Il guaio è che ad andare via sono soprattutto i giovani. Questo esodo che ricorda tanto gli anni '60, quando la gente povera e disperata andava al Nord con la valigia di cartone piena di sogni e di voglia di riscatto, non solo riduce la popolazione gelese ma la sta facendo invecchiare perché i ragazzi non si sposano, emigrano, e le nascite diminuiscono in maniera preoccupante. Nel 2014 sono venuti alla luce 719 bambini in un anno. Nel 2021 ne sono nati 556, cioè 163 in meno, con un calo del 22,7%. Una riduzione che, stando ai dati Istat, si rivela costante e progressiva (in media - 4% di anno in anno) da 10 anni a questa parte. Inevitabili i riflessi negativi sulle scuole che riducono classi e numero di insegnanti.
A poco serve il flusso in arrivo di stranieri che a Gela è piuttosto limitato dato che la presenza di migranti è di appena l'1,9% con 840 europei (in prevalenza romeni, albanesi e polacchi), 356 africani (soprattutto tunisini, gambiani e marocchini) e 164 dal resto del mondo (specialmente cinesi e pakistani).
Con l'invecchiamento della popolazione crescono pure i decessi, per numero e in percentuale: dai 609 del 2014 siamo passati ai 753 del 2021, con un +9,2%. Gli anziani (dai 60 anni ai 100 anni) che prima costituivano il 21,6% dei residenti sono ora saliti al 26,8%.
Ebbene, come le amministrazioni comunali degli anni '50 e '60 non furono all'altezza di programmare il futuro di una città in crescita che da contadina era chiamata ad acquisire una nuova cultura industriale e a conquistare un riscatto sociale ed economico, così i governanti di oggi si stanno rivelando incapaci di affrontare la crisi di sistema e persino di garantire una sepoltura all'accresciuto numero di morti di una società sempre più invecchiata, emarginata e privata dei suoi diritti.