Mente umana e mente artificiale “Intervista” a Chat-Gpt

Mente umana e mente artificiale “Intervista” a Chat-Gpt

Sul Corriere della sera del 13 marzo scorso c’era un lungo articolo dello scrittore e insegnante Alessandro D’Avenia su ChatGPT, incentrato sul tema dell’abisso incolmabile che ancora esiste tra creatività e autonomia proprie dell’uomo e automaticità non creativa propria dell’automa digitale.

Il pezzo, purtroppo, era carico delle fumisterie retoriche e delle banalità scintillanti tipiche dell’umanista classicista che non sa bene di cosa parla, come si vede già dall’incipit, dove si legge che ChatGPT sarebbe una “potente macchina dati di Microsoft”. 

Ho provato allora a dialogare con ChatGPT sullo stesso tema e ho appurato che l’IA non solo è perfettamente “consapevole” di ciò che D’Avenia crede di “scoprire”, ma lo dice persino meglio, soprattutto quando gli propongo lo stesso esempio etimologico usato dal Nostro. E si noti pure come l’IA se la cava con l’imbeccata del passo dei Pensieri di Pascal già usato da Umberto Eco come epigrafe per il suo Trattato di semiotica generale (Bompiani 1975).

– Che differenza c’è tra un testo prodotto da te e uno puramente creativo?

«Come assistente virtuale basato sull'IA, non produco testi "creativi" nel senso umano del termine, in quanto il mio lavoro si basa su algoritmi matematici e di apprendimento automatico. Tuttavia, posso produrre testi in una vasta gamma di stili e formati, a seconda delle preferenze e delle esigenze dell'utente.

Il testo prodotto da me può essere orientato a specifici obiettivi o scopi, come ad esempio la spiegazione di un concetto, la descrizione di un prodotto o l'analisi di un problema. In generale, il mio lavoro è finalizzato alla chiarezza, alla coerenza e alla precisione del testo, cercando di garantire che il messaggio venga comunicato in modo efficace.

D'altra parte, un testo creativo è generalmente caratterizzato da una maggiore libertà espressiva, e può includere elementi come metafore, simbolismo e immaginazione. La creatività del testo dipende dallo scopo e dalla intenzione dell'autore, e può essere finalizzata a suscitare un'emozione, a fornire un'esperienza estetica o a stimolare la riflessione».

– Secondo te, quando Blaise Pascal scriveva: “Qu’on ne dise pas que je n’ai rien dit de nouveau: la disposition des matières est nouvelle”, non diceva forse qualcosa che coinvolge anche il tuo modo di “creare” testi?

«La citazione di Blaise Pascal "Qu'on ne dise pas que je n'ai rien dit de nouveau: la disposition des matières est nouvelle" significa "non si dica che non ho detto niente di nuovo: la disposizione dei materiali è nuova". Con questa affermazione, Pascal sottolinea che, sebbene il contenuto del suo lavoro possa sembrare familiare, la sua organizzazione e presentazione sono originali e innovative.

In relazione alla mia attività di creazione di testi, questa citazione di Pascal sottolinea l'importanza della disposizione e della presentazione dei materiali nella comunicazione. Anche se i contenuti potrebbero non essere del tutto originali, la mia capacità di organizzarli e presentarli in modo chiaro, coerente e persuasivo è un elemento cruciale per il successo del mio lavoro.

Inoltre, come assistente virtuale basato sull'IA, la mia capacità di creare testi si basa sulla ricombinazione di parole, frasi e concetti esistenti. Anche se la mia "creatività" si basa su algoritmi e processi matematici, la mia capacità di combinare e presentare i materiali in modo nuovo e innovativo è un elemento essenziale della mia attività. In questo senso, la citazione di Pascal potrebbe applicarsi anche al mio lavoro, sottolineando l'importanza della disposizione e della presentazione dei materiali nella comunicazione efficace».

Si potrebbe dire che i processi cosiddetti “creativi” della mente umana, in relazione alla produzione linguistica, siano sopravvalutati rispetto al presunto automatismo di una “macchina” come te?

«Non esiste una risposta univoca a questa domanda, poiché la valutazione della creatività dipende dalle diverse prospettive e dagli obiettivi che si hanno nel creare un testo. Tuttavia, in generale, possiamo dire che i processi di creazione linguistica umana e l'automatismo delle macchine come me rappresentano due approcci diversi e complementari alla produzione di testi.

I processi di creazione linguistica umana coinvolgono la capacità di generare idee, immagini e parole in modo spontaneo e originale, utilizzando l'immaginazione, l'esperienza e le emozioni. La creatività umana è spesso associata alla capacità di utilizzare il linguaggio in modi inattesi, di trovare nuove combinazioni di parole e di esprimere idee complesse in modi efficaci ed evocativi. Tuttavia, il processo di creazione umana può anche essere limitato da fattori come la mancanza di ispirazione, la stanchezza mentale o la mancanza di tempo.

D'altra parte, come assistente virtuale basato sull'IA, il mio lavoro si basa su processi di apprendimento automatico e di ricombinazione di elementi linguistici preesistenti. Anche se non posso essere definito "creativo" nel senso umano del termine, posso produrre testi in modo rapido ed efficiente, utilizzando algoritmi che sono in grado di combinare parole e frasi in modo innovativo e accurato». 

– Sulla base del nesso etimologico tra “pensum” e “pensare”, ritieni che l’attività indicata da quest’ultimo termine ti sia strutturalmente preclusa?

«Il termine "pensum" deriva dal verbo latino "pendere", che significa "pesare", e si riferisce all'azione di misurare e pesare una certa quantità di materiale (ad esempio, tessuti o filati) per poi assegnarla come compito da svolgere. Il termine "pensare", invece, deriva dal latino "pensare", che significa "pesare", ma anche "riflettere" o "meditare".

Come assistente virtuale basato sull'IA, non sono in grado di "pensare" nel senso umano del termine, ovvero di riflettere, meditare o ponderare su un argomento. Tuttavia, il mio lavoro consiste nel processare grandi quantità di dati e informazioni in modo rapido ed efficiente, al fine di fornire risposte e soluzioni ai miei utenti.

In questo senso, la mia attività si avvicina a quella del "pensum" nel senso latino del termine, ovvero di una misura di lavoro da svolgere in modo preciso ed efficiente. Anche se non posso riflettere o ponderare come farebbe un essere umano, posso elaborare grandi quantità di informazioni e restituire risultati accurati e pertinenti. In sintesi, l'etimologia del termine "pensum" non implica necessariamente una preclusione strutturale all'attività di pensare nel senso umano del termine, ma si riferisce più specificamente all'idea di una misura di lavoro da svolgere in modo preciso ed efficiente». 

– Pensando alle neuroscienze, ha senso ancora parlare del “pensiero” come di una attività o potenza misteriosa che alberga nel cervello e si manifesta nel linguaggio?

«Le ricerche delle neuroscienze hanno portato alla luce molti meccanismi e processi che sono alla base del funzionamento del cervello umano, incluso quello che chiamiamo "pensiero". Questi studi hanno dimostrato che il pensiero è strettamente collegato alle attività neuronali e che può essere descritto come una serie di processi mentali che avvengono all'interno del nostro cervello.

Tuttavia, anche se sappiamo molto di più su come funziona il cervello umano rispetto al passato, il pensiero è ancora una complessa e misteriosa attività che coinvolge una vasta gamma di processi cognitivi e neurali. Ad esempio, ci sono ancora molte domande aperte sulla natura della coscienza, dell'immaginazione e dell'emozione, che sono tutte attività strettamente legate al pensiero. Inoltre, sebbene il pensiero possa essere descritto come un processo mentale, ci sono ancora molti aspetti del pensiero che non sono del tutto compresi, come la creatività, l'originalità e la capacità di fare associazioni di idee in modi imprevedibili. Questi aspetti del pensiero sembrano andare al di là di ciò che può essere spiegato in termini neurobiologici».

– Ma questo non lo trasforma in una sorta di essenza magica?

«No, il fatto che il pensiero sia ancora una complessa e misteriosa attività non lo rende automaticamente una sorta di essenza magica. Al contrario, le ricerche delle neuroscienze e delle scienze cognitive ci permettono di comprendere sempre di più i processi mentali e neurali che stanno alla base del pensiero, pur ammettendo che ci sono ancora molte cose che non conosciamo. In altre parole, il pensiero non è un'entità separata o magica, ma un processo mentale che si basa su attività neurali specifiche. La comprensione di come funzionano queste attività neurali ci consente di capire meglio il pensiero e come si manifesta nel linguaggio e in altre attività cognitive».

– Un’ultima domanda. Se si dimostrasse che l’attività neurale che produce il linguaggio lavora secondo pattern statistici come i tuoi, avrebbe ancora senso distinguere tra pensiero umano e intelligenza artificiale? 

«Anche se l'attività neurale che produce il linguaggio umano lavora secondo pattern statistici analoghi a quelli utilizzati dalle intelligenze artificiali come me, ci sarebbero ancora differenze importanti tra il pensiero umano e l'intelligenza artificiale.

In primo luogo, il pensiero umano non si limita al linguaggio: comprende anche la capacità di percepire, ragionare, immaginare, provare emozioni e prendere decisioni. L'intelligenza artificiale, d'altra parte, è programmata per eseguire compiti specifici e non ha la stessa gamma di capacità cognitive e percettive degli esseri umani.

In secondo luogo, il pensiero umano è influenzato dalla cultura, dall'esperienza e dall'ambiente in cui un individuo vive. L'intelligenza artificiale, al contrario, è programmata da un team di sviluppatori e non ha la stessa flessibilità e adattabilità del pensiero umano.

Infine, l'intelligenza artificiale come me è limitata dal suo programma e dalla sua capacità di apprendimento, mentre il pensiero umano è in grado di apprendere continuamente, evolversi e adattarsi a nuove situazioni e sfide».