Quando i Geloi furono deportati, Le bare bianche di Cutro, e non solo

Quando i Geloi furono deportati, Le bare bianche di Cutro, e non solo

Non arrivano in catene come i negri d'America secoli or sono, scelgono di valicare la frontiera, in piena libertà, ma è come se portassero ai piedi catene pesanti e indistruttibili.

Sono deportati, e non emigranti. Come lo furono gli italiani nel Novecento, come lo sono da quasi mezzo secolo gli sventurati che lasciano l’Africa ed approdano in Sicilia, o attraversano la rotta balcanica. 

Cutro in Calabria è solo un episodio, e nemmeno il più cruento, di una epocale migrazione di uomini e donne dall’oriente all’occidente. La storia del mondo è una storia di migrazioni; ogni età ha le sue migrazioni epocali. Accanto ai grandi flussi migratori vanno annoverate anche le piccole migrazioni di comunità locali non meno dolorose. Le ragioni sono sempre le stesse: la schiavitù della fame e la tirannia. 

Nessun reggitore di popoli è mai riuscito a fermare chi scappa dalle persecuzioni e dalla povertà, eppure c’è ancora chi, come il ministro degli Interni in carica, Piantedosi, crede che si possa persuadere i migranti a starsene a casa loro, perché il viaggio è periglioso. Nessuna persona sana di mente ed in buona salute abbandona il luogo in cui è nato e vissuto senza una motivazione che lo obbliga a farlo. 

Se si conoscesse la storia delle migrazioni da una sfera all’altra del pianeta, il razzismo sarebbe confinato negli ospedali psichiatrici, come una malattia mentale incurabile. Prima che le mafie si trasferissero dalla Sicilia al Nord, al seguito dei flussi di denaro e del business, circolavano ancora pregiudizi, che addebitavano ai siciliani una naturale propensione all’omertà ed alla mascalzonaggine. Insomma, in modo velato si suscitò il bisogno di uno studio accurato del Dna meridionale e siciliano in particolare, portatori del virus, l’asocialità. 

La storia ci ricorda che l’Imperatore svevo, vissuto a Palermo in gioventù, trasferì nella Penisola una larga parte della popolazione araba, che aveva piantato le tende in Sicilia. Corleone, marchiata dall’infamia come città di mafia, grazie ai padrini creati a Hollywood, è stata svuotata da Federico II nel XII secolo dei suoi abitanti, costretti a trasferirsi nella regione lombarda, portandosi appresso il patrimonio genetico. 

Non meno interessanti, come farmaco contro la idiozia razzista, alcuni episodi minori che ci riguardano da vicino. Gelone conquistata Siracusa, decise di portare la capitale del suo impero da Gela a Siracusa e costrinse migliaia di Geloi ad abbandonare la loro città e trasferirsi a Siracusa. I siracusani che non piacevano al tiranno Ierone, furono deportati nella polis rifondata di Katane dal tiranno Ierone, fratello di Gelone. I Geloi, che avevano fondato Akragas, furono deportati ancora una volta nel 282 a.C. a Licata dal tiranno di Akragas, Finzia. La migrazione dell’intera popolazione cambiò la storia di Gela antica; anzi, la cancellò, tanto che nel Novecento, storici e grecisti hanno dibattuto sull’esistenza di Gela, sospettando che essa fosse Licata. Al fine di sedare le ribellioni degli arabi siciliani, che rappresentavano un pericolo per l’integrità dello Stato, Federico II affrontò i rivoltosi, e dopo averli sconfitti, per risparmiare loro la vita, li obbligò a lasciare le città in cui risiedevano e li deportò; popolazioni arabe finirono così in Puglia; la popolazione di Corleone, città in posizione strategica fra Palermo e le aree rurali isolane, fu deportata in Piemonte. 

Una frontiera, ieri come oggi, attraversa il mondo ed il condominio di casa. Una frontiera immaginaria eppure reale, mai disegnata da alcuno eppure mille volte indicata e ribadita con le parole, i comportamenti, i sentimenti, le idee, la cattiva e la buona sorte. E' la frontiera che divide i ricchi dai poveri, coloro che hanno tutto o quasi tutto, da coloro che non hanno niente o quasi niente. La frontiera è un muro alto e levigato, che segna il destino di tutti e di ciascuno, sequestra il cuore e la ragione, l'intelligenza e la virtù, impedisce di vivere da uomini liberi, deruba l'anima dell’umanità.

Milioni di esseri umani, oggi, abbandonano la propria casa, la propria famiglia, la patria, le tradizioni dei padri e le abitudini, gli usi ed i costumi del loro paese per attraversare questa frontiera. Milioni di bambini che nascono poveri e emarginati, sono obbligati a vivere in un ambiente spesso ostile, a contendere ad altri poveri ciò cui hanno diritto. Le terre del benessere e della libertà nascondono miserie, illiberalità, pregiudizi, ostilità; proclamano la giustizia con le leggi e mantengono l'ingiustizia con i fatti: chi nasce povero, nella parte ricca o in quella povera del mondo vivrà da povero. 

Le bare bianche allineate nel Palazzetto dello sport di Crotone dopo il naufragio di Cutro ci interrogano. Chi imbarca i bambini su un barcone sa di correre il pericolo di non arrivare a destinazione, eppure preferisce affrontarlo, pur di fuggire dalla povertà. Su cento neonati, novantaquattro vengono alla luce nei paesi poveri e condannati alla miseria. 

La povertà è causa di mostruose atrocità. In alcuni paesi del Sud America, e non solo, i bambini vengono comperati per essere adottati, o per offrire organi del loro corpo a pazienti ricchi. Nel 1987 fu scoperta in Honduras una casa con cadaveri di bambini ai quali erano stati espiantati uno o più organi: reni e polmoni, talvolta il cuore o altri organi. L'esportazione di bambini da vendere ha costituito uno dei traffici delle bande di narcos. Nemmeno Swift aveva pensato a tanto quando scrisse la sua modesta proposta – vendere i bambini per dare da mangiare ai ricchi e fare sopravvivere le famiglie povere – al fine di provocare indignazione e rabbia nel popolo britannico che assisteva senza reagire ad una condizione di estrema indigenza e sfruttamento dell'infanzia.

La povertà non è una fatalità. La ricchezza di un popolo non produce necessariamente equità, né la democrazia produce necessariamente libertà e giustizia sociale. L'iniquità sociale e l'assenza di libertà generano ingiustizia, privando gli uomini dei loro diritti, anche quello di nutrirsi, costringendoli alla schiavitù morale, alla fame, allo sfruttamento.

Questa frontiera perversa fra ricchezza e povertà, talvolta, è giustificata dalla diversità – ideologica, etnica, religiosa – ma è un alibi meschino, un tentativo cinico di nascondere l'egoismo, la paura del diverso. Fra i figli di coloro che sono stati deportati nel Nuovo Mondo e i figli degli immigrati di oggi, deportati per fame e miseria, vi è in comune l'ignominia di una condizione disumana, come causa della migrazione. Gli uni e gli altri sono nati perché è stato concesso loro di nascere dal padrone, hanno mangiato quanto basta perché potessero svolgere il loro lavoro per conto del padrone, hanno parlato con le parole del padrone. 

Appena trenta anni or sono l'umanità era divisa dall'ideologia. Caduto il muro dell'ideologia, il mondo si è accorto che ve n'era un altro, ben più alto, indistruttibile: il muro dell'iniquità, fra la povertà e la miseria, che fa nascere con la testa in giù, condannati alla sudditanza, novantaquattro bambini su cento nel mondo.