Niente è più facile che denunciare le omissioni e gli errori dei governanti; in compenso niente è più arduo che liberarsene.
Dimenticare ciò che si promette è diventato così consueto che ormai a nessuno viene contestato l’abisso scavato fra il celebre libro dei sogni, manuale ad uso elettorale, e la realtà. E’ un peccato veniale prendere per i fondelli gli elettori, insomma; anzi, nemmeno quello, basta un sorriso di rammarico, tanto per non essere accusati di stupidità, indifferenza o, peggio, di cinismo.
Quando ho ricevuto due settimane or sono da un amico, attento alle vicende della sua città, Gela, il programma elettorale del sindaco in carica, con una nota spartana ma efficace – divertiti! – ho dato uno sguardo distratto e l’ho subito archiviato. Chi volete che s’indigni per la lista delle cose non fatte? La questione è diventata di attualità.
La presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, è impegnata a spiegare la ragione per la quale, dopo essersi svenata a favore degli automobilisti per il caro carburante in campagna elettorale e dai banchi dell’opposizione, nel suo primo atto politico a Palazzo Chigi, ha dovuto di fatto deliberare il rincaro della benzina, guadagnandosi uno sciopero dei benzinai, che non ci stanno a caricarsi la responsabilità del rincaro ed essere, a causa di ciò, indicati come gli speculatori senza scrupoli.
Avrebbero scioperato anche gli automobilisti, ma il suicidio non è ancora entrato a far parte delle categorie della contestazione.
L’abisso fra la politica di opposizione e la politica di governo è diventato così profondo da aver creato due mestieri, quello dell’oppositore, e l’altro del governante: ricco di idee e competenze, volontà ed abilità il primo, prudente; attento, assennato, pieno di “se” e “ma” il secondo. Chi possiede il sapere, una volta entrato nella cosiddetta stanza dei bottoni, sembra che non sappia che farsene ed annaspa giorno dopo giorno alla ricerca della quadra.
Mettere nero su bianco su ciò che si può realisticamente fare, scontenta gli elettori, i quali preferiscono il libro dei sogni. Forse nemmeno quello; il voto è il risultato di una serie di considerazioni che non hanno a che fare con il programma elettorale, ormai desueto come “lettura” critica alla vigilia dell’apertura delle urne.
Siamo proprio messi male. Se il mestiere dell’opposizione è quello dell’imbonitore, e del governante quello di mettere insieme i cocci di ciò che il predecessore ha devastato nel tentativo di governare la realtà, ne possiamo dedurre che l’unica distanza vera nel mondo politico non è la destra, la sinistra o il centro, peraltro indistinguibili per molti versi nell’arte di governo, ma il governo e l’opposizione.
Azzardo anche un giudizio: chi governa, bene o male, è costretto ad affrontare la complessità con giudizio, comunque, facendo meno danni possibili; l’opposizione, chiunque la rappresenti, sostiene ciò che i cittadini vogliono, tutto e subito; dovrebbe rispondere di mendacia per avere imbrogliato gli elettori, averli raggirato con lo scopo, fraudolento, di scippare loro la fiducia.
Questa premessa mi serve ad affrontare la”questione gelese”, e non per invocare l’assoluzione o la condanna di una delle parti in causa, governo e opposizione, anche perché – e qui sta il punto – Gela vanta la tragica anomalia di non potere contare sulle due categorie politiche, appunto maggioranza ed opposizione, poiché il consiglio comunale è rappresentato da consiglieri eletti nelle liste civiche, a causa della codardia e furbizia di schieramenti politici che, avendo il carbone bagnato, hanno preferito nascondersi dietro vessilli “neutri”.
Gela, insomma, ha materializzato la visione, azzardata, di un’unica sostanziale diversità nella militanza politica, fra partito di opposizione e partito di governo. I consiglieri civici non sono catalogabili, nell’attuale contingenza, nemmeno come componenti della maggioranza o minoranza. C’è aria di epilogo, ma è un epilogo che colloca i consiglieri nell’antisala della sfiducia al sindaco e, quindi, alla vigilia del “rompete le righe” per il ritorno alle urne.
Ciò che colpisce, comunque, dell’arduo programma elettorale del sindaco, Lucio Greco (nella foto) è la densità concettuale, il bisogno di affrontare la complessità dei temi, ricorrendo alla loro enunciazione, sic et simpliciter. Sono indicati i bisogni, nemmeno una parola su come esaudire i bisogni. La lingua estenuata della politica non ha più parole? O piuttosto non sa come fare per affrontare le questioni.
Lucio Greco nella parte dell’eroe tragico è una forzatura, ma fino a un certo punto. Entrato con la fanfara, e una maggioranza bulgara in consiglio, non ha più truppe su cui fare affidamento, e vive con la spada di Damocle di una mozione di sfiducia e di una dichiarazione di dissesto finanziario. I suoi predecessori hanno attinto al debito per buoni (e meno buoni) motivi, e raschiare il fondo del barile e proporre il bilancio non basta perché il consiglio comunale potrebbe bocciare il documento finanziario. Questo è lo stato dell’arte.
Ignorare il merito, cioè il programma elettorale, sarebbe una imperdonabile omissione; analizzarlo, tuttavia è come effettuare un esame balistico, accertamenti sulla natura di un’arma da fuoco che non ha sparato, o ha sparato a salve. Non è affatto divertente. Qualcosa, vale la pena di ricordarla: la posa di un albero per ogni bambino nato.
Il proposito del sindaco, Lucio Greco, mi ha fatto pensare. Vuole così incoraggiare le nascite? – mi sono chiesto. Dubito che le coppie, felicemente sposate e non, si facciano persuadere da un albero. L’ambientalismo ha fatto breccia nel cuore e nella mente delle famiglie gelesi, ma da qui a credere che la natalità abbia un balzo in avanti sull’altare della natura da risanare, è troppo; se accadesse, Gela farebbe compagnia al panda come icona dell’ambiente da salvare.
Siccome, tuttavia, non un solo albero, per quanto ne sappiamo, è stato piantato, se ne deve dedurre che non ci sono state nascite, oppure che si tratta di una dimenticanza, compiuta dall’ufficio anagrafe, che non ha trasmesso i dati: tertium non datur. O datur? Non c’è personale comunale da adibire alla posa degli alberi? Non ci sono soldi per comprare gli alberi?
Il problema non è in cima ai pensieri dei gelesi; eppure, nel suo piccolo, esso ci conferma, ad abbondanza, quanto poco conti il programma elettorale, quale uso di esso se ne faccia, e quanto poco si rispettino i cittadini; a loro tuttavia qualche pensiero bisogna dedicarlo.
Hanno dismesso le aspettative, ci si attende poco o niente, si tira a campare; lamenti, proteste, contestazioni in famiglia, piccoli sfoghi, qualche arrabbiatura, il sarcasmo con gli amici più intimi. Sembra di sentirlo il brusio ininterrotto della gente comune, gran parte della quale preferisce non recarsi alle urne perché tanto non cambia niente. E’ il cane che si morde la coda: non cambia niente proprio perché si rimane a casa.
La cittadinanza come virtù, è una parola desueta, andrebbe riscoperta la sua valenza positiva. Costituisce il volano, la spinta etica, di una vita piena e responsabile. Chi vuole mantenere la proprietà esclusiva della propria esistenza deve fare la propria parte.
Se c’è da ferire l’insensibilità del cuore di chi governa, serve farlo sanguinare. La formulazione di una verità inventata, come il programma elettorale, deve essere sentita come disprezzo, infingardaggine, mancanza di scrupoli, cinismo.
Da qualche parte ho letto che gli esseri viventi dipendono nel bene o nel male dal grado di comprensione che esercitano nei confronti del proprio ambiente, altrimenti il nulla colma il vuoto e diventa il tutto.
Quanto al sindaco, Lucio Greco, lo immagino che passeggia i suoi rimorsi tra pochi filari di alberi e sia roso da un desiderio di abdicazione incontenibile, da una avversione intensa verso le cieche speranze alimentate.
Chiudo con una citazione, e chiedo venia: “I fatti erano veri o potevano esserlo, ma narrati come tu li hai narrati, essi erano in modo evidente menzogne”. Jorge Luis Borges non pensava a Lucio Greco, ma a tale Cornwall, accusato di falsità.