La recente inchiesta condotta dalla Guardia di finanza, su mandato della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Gela, in merito alla destinazione a bilancio comunale ed utilizzo delle royalties petrolifere, ha riacceso i riflettori su un argomento che abbiamo più volte trattato in passato.
Con le indagini ancor in corso, non possiamo che limitarci a fornire alcuni chiarimenti, doverosi, a beneficio di legge, al solo ed esclusivo fine di capire, quantomeno, di cosa si sta parlando.
Per questa via, occorre preliminarmente precisare che gli idrocarburi possono essere estratti, in base alla temperatura ed alla pressione, in forma gassosa o liquida (olio, petrolio liquido).
La legge riserva allo Stato, Regione e Comuni dove si estrae, una royalty che il titolare della concessione deve corrispondere, commisurata al valore corrispondente ad un determinato quantitativo (aliquota) del prodotto estratto. La royalty, pertanto, è il valore di un'aliquota di prodotto che, per quanto concerne i giacimenti sulla terraferma, la Regione siciliana, in virtù dell'autonomia statutaria che la contraddistingue, ha dapprima fissato nel 7% (dal 2000 al 2009), innalzandola poi al 10% (dal 2010 al 2012), raddoppiandola di colpo al 20% (dal 2013 al 2014) fino a limarla all'attuale 20,06% (dal 2015 ad oggi), senza franchigia (l'aliquota pari a zero, o meglio, l'esenzione dal pagamento delle aliquote fino a 20 milioni di metri cubi standard di gas e 20000 tonnellate di olio di produzione annuale).
Il gettito complessivo, generato dall’applicazione dell’aliquota e relativo calcolo effettuato da Enimed e che la stessa corrisponde annualmente, per 1/3 impingua le casse della Regione siciliana e per 2/3 quelle dei comuni nel cui territorio vi sono i pozzi estrattivi: a stabilirlo è l'art. 20, comma 4, della L.r. 10/1999 (legge finanziaria). Va ribadito che da anni nel territorio gelese non si trivella, ossia non ci sono impianti attivi di perforazione.
Ad oggi, i pozzi inattivi (non eroganti) sono 33 su 72 totali. Secondo dati pubblici ministeriali (Mite) il totale prodotto nella concessione di Gela nel 2021, ammonta a circa 230 chilotoni di petrolio e circa 8 milioni di metri cubi standard di gas. Lo stesso comma nel proseguire dispone: «i comuni destinano tali risorse allo sviluppo dell'occupazione e delle attività economiche, all'incremento industriale e ad interventi di miglioramento ambientale delle aree dove si svolgono le ricerche e le coltivazioni», in aderenza pleonastica rispetto a quanto disposto dalla legislazione nazionale qualche anno prima (D.Lgs. n. 625/1996, art. 20).
Che si tratti dunque di entrate a destinazione vincolata è fuor di dubbio. Senonché, il vincolo posto dal legislatore è formulato troppo genericamente, tanto che nello “sviluppo dell’occupazione e/o delle attività economiche”, si possono far rientrare interventi` tipicamente riconducibili alle “spese correnti”, mentre gli interventi volti “all’incremento industriale e/o al miglioramento ambientale” sono perfettamente rispondenti alle “spese di investimento”.
Non ha, dunque, tutti i torti il dirigente Alberto Depetro quando asserisce che non esiste una norma che nel vincolare la destinazione delle royalties nei bilanci comunali, vieti espressamente che lo si faccia nella spesa corrente. Parimenti, è difficile far rientrare nello “sviluppo occupazionale e/o delle attività economiche”, l'eventuale utilizzo delle royalties per finanziare, ad esempio, un “bonus Bebè” o altri interventi simili di carattere socioassistenziale.
Anche su questo tema, in definitiva, come su altri purtroppo, si è persa l’occasione in passato di intervenire a livello locale: magari redigendo un piano di utilizzo pluriennale, se non emanando un preciso e puntuale regolamento che riempia le lacune normative, specificando più precisamente tra quanto è concesso e quanto non, nell’autonomia finanziaria comunque riconosciuta costituzionalmente agli enti locali, di cui il comune fa parte.
Sicché, in una città dove non ci facciamo mancare nulla, siamo riusciti anche nell’impresa di tramutare una vera e propria rendita mineraria, cioè una ricchezza, in una problematica controversia politico-giudiziaria.