Peppe Ciotolo passava ogni santa giornata accanto alla fornace, lavorando la creta, come suo padre, e suo nonno.
Chi nasce cretaro, muore cretaro ed i figli maschi ce l’anno scritta nel destino la fornace. Le giornate dei cretari da che mondo è mondo sono tutte le stesse: cominciano all’alba e finiscono al tramonto. Quando cala il sole tornano a casa, indossano una camicia e dei pantaloni che non sono impastati di creta, e se ne vanno in Piazza per incontrare gli amici, che sono generalmente cretari come Peppe Ciotolo. Discorrono di femmine, si raccontano i sogni proibiti e s’informano sulla qualità dell’ultima quinnicina al casino.
Qualche volta il discorso cade sul lavoro, perché non ne possono più di farsi arrostire dalla fornace tutta la santa giornata, e c’è qualcuno che a un certo punto dice di volere lasciare il paese. Ma da quest’orecchio Peppe Ciotolo pare non sentirci. Sono nato a Gela, e a Gela voglio morirci, dice. Gli amici lo fanno apposta per farlo incazzare: tirano fuori il discorso per fargli ripetere il giuramento di sangue e farsi beffa di lui.
Vuoi morire vergine, gli dicono. Se resti a Gela, devi sposarti per fare l’amore con una femmina. E se poi non ti piace più che fai, ti ietti dal pontile? La solita cantilena ogni sera. E a quel punto Peppe gira le spalle o se ne sta muto per il resto del tempo. Lo sa che gli amici hanno ragione, che le femmine si trovano solo a Torino, e che per abbracciarne una deve chiederlo a sua madre, che a sua volta deve rivolgersi al ruffiano di matrimoni, che porta a casa la fotografia e il conto della dote. Dopo avere passato l’esame di sua madre, può vederla con il vestito della domenica, stampata su carta lucida.
Tace e rimugina Peppe, e nella sua testa i pensieri si rincorrono e non vanno mai d’accordo fra loro. Ci sono quelli che gli fanno vedere tutto rosa, magari il ruffiano gli porta una bella carusa, coi capelli lunghi, colore cioccolata, e la faccia di picciridda crisciuta troppo presto. Gli piacciono così le femmine a Peppe, con la carnagione scura, rustuta dal sole, e la parlantina. La vuole sperta, non come è lui, mutu dalla mattina alla sera.
Poi si immiscano altri pensieri, quelli di sua madre che ha idee sue in fatto di picciotte da sposare; le preferisce belle in carne, che è tutta salute, larga di fianchi, pronta a fare figli. Sua madre fa la mammana a parte di casa. E di salute ne capisce, non si può contraddirla. L’ultimo a dire la sua sulla futura sposa sarebbe stato lui e suo padre, che è un sant’uomo e ci ha fatto l’abitudine a calare la testa alla carrabbinera, sua moglie.
Quando questi pensieri s’insediano nella testa Peppe, non escono più, quasi che fossero in carcere. Così Peppe Ciotolo si chiude in se stesso, e si scorda di tuttele cose, quando s’installano nella mente, si scorda anche dei canali che bruciano nel forno se arrivano durante il lavoro.
Ogni giorno la stessa cosa, dalle cinque del mattino fino al tramonto a cummattiri con i canali e poi, fino a tardi a discorrere di minchiate con gli amici. Peppe non sopporta più quella vita e allo stesso tempo non ne vuole un’altra perché non sa immaginarla e ne ha paura.
Giura e spergiura che non avrebbe mai lasciato il paese, e gli piange il cuore mentre lo dice. E’ un tradimento lasciare Gela e abbandonare la madre e il padre. Specialmente il padre: dalla sua bocca non esce mai una parola sbagliata. E’ la mammana che comanda, a casa e fuori.
Il padre si sente in colpa perché ha concepito solo un figlio e nel vicinato non c’è famiglia che non ne abbia almeno cinque, sicché lo sparlano dubitando della sua virilità. Peppe Ciotolo, infatti, è figlio unico con una madre carabbinera, tutte circostanze che fanno credere a quella calunnia a danno del padre.
Qualche volta Peppe ha pensato a parlarne con il padre, domandarci perché ha fatto un solo figlio, tanto per sapere la verità, a spiarci se non è la carabbinera a non volerne, piuttosto che il padre a non saperne fare. Ma al momento di aprire bocca, non gli basta l’animo, e rinvia il discorso ad un altro giorno.
Una sola volta si rivolge al padre per spiargli perché non ride mai e pare sordo e muto, come se dovesse scontare un peccato mortale. Papà, perché non ridi mai? Gli domanda a tradimento, di ritorno dalla fornace. E suo padre non risponde, gli mette la mano sulla spalla e fa un sorriso che sembra Gesù Cristo dopo avere riportato in vita Lazzaro.
Peppe Ciotolo si persuade che per parlare con suo padre non servono le parole. Basta un gesto, un’occhiata, un sorriso appena accennato. Gli piacerebbe essere come lui, buono come il pane.
Poi però ci ripensa e ricorda a se stesso che quelli come il padre fanno la figura dei minchioni in paese. Insomma, come avrete capito, non ci sono pensieri che vadano d’accordo con altri. Tutto ciò che gli piace, finisce con il dispiacergli. E questa cosa la madre, che la sa lunga, lo capisce, perchè gli legge nella testa.
Questa è la vita di Beppe Ciotolo, il cretaro, fino alla vigilia dei suoi ventuno anni, a pochi mesi dalla chiamata militare. Siamo nel 1957 ed a Gela i canalari sono gli operai di una delle poche fabbriche del paese, C’è la fabbrica dello scupazzo che si commercia con Malta, la fabbrica del ghiaccio, e quella delle cose antiche, che non è una vera e propria fabbrica, ma un mestiere ingegnoso e fruttuoso. Si scava nel posto giusto e si trovano monete, vasi e statuine di terracotta, che valgono un occhio della testa.
A Bitalemi, dove ci sono le fornaci, hanno scavato e sono diventati ricchi. Ma non è cosa di Peppe, che si scanta anche della sua ombra. Peppe si sente ricco quando, mentre si fa scuro, dà un’occhiata al mare. Certe volte se ne sta a guardare a lungo quel ben di Dio. Le lampare affollano il mare e nella notte il cielo stellato pare che facciano a gara con il Padreterno che sta in alto.
Non so riferirvi esattamente in quale giorno tutto cambia nella vita di Peppe Ciotolo, e quindi tiro a indovinare: penso sia stata la prima settimana d’agosto, con il mare che pare un grande lago di colore verde, e non bastano occhi per guardarlo. Beppe Ciotolo ha finito di faticare, ma invece di salire sul carretto e tornarsene a casa, com’è solito fare, all’imbrunire si fa prendere da un pensiero nuovo: camminare verso la spiaggia, distante un paio di centinaia di metri, e arrivare alla foce del fiume Gela.
Si lascia alle spalle il boschetto di Bulala e si ferma dove il fiume pigramente si getta in mare. Siede a godersi lo spettacolo, e scopre così che quella sua voglia di restare al paese una ragione ce l’ha. Il sole non è più giallo, si sta facendo rosso e se ne va lentamente, nascondendosi dietro l’orizzonte.
E siccome il Padreterno non fa mai le cose a metà, Peppe scorge una femmina nuda che esce dal boschetto di Bulala. E’ lontana qualche centinaio di metri, si può indovinarne il profilo: i capelli lunghi alle spalle, come la criniera di un cavallo, e un corpo che pare una statua.
Si avvicina al bagnasciuga pigramente, come il fiume che si getta a mare. Peppe deve essersi strofinato gli occhi, non crede che sia apparsa una femmina bella come la madonna. Non ha mai visto una donna nuda, ed ora è lì, davanti a lui, e cammina verso la sua direzione.
No, non è un miracolo, finalmente si ricorda che da quelle parti i francesi hanno il loro villaggio turistico, che chiamano Village magique. S’alza d’istinto, pentendosi subito dopo. Se si fa notare magari la femmina scompare, spaventata. Per la presenza di un intruso. Invece no, quella raggiunge la battigia e viene verso di lui. Peppe rimane imbambolato, senza muoversi di un passo, felice e intimidito. Gli passano tante cose per la testa, ma nessuna che gli consigli di andarle incontro.
E’ lei, la francesa nuda, a parlare. Odile, dice, c’est mon nom. “Peppe”, biascica lui, imbarazzato, gli occhi bassi. Odile siede sulla battigia, e Peppe fa altrettanto. Se ne stanno muti, Odile lo osserva, manco fosse una divinità. Peppe, finora non l’ho rivelato, è un gran bel ragazzo, ed il suo volto, mascherato da una barba nera e crespa, lo fa assomigliare a quegli atleti greci dipinti sui vasi di terracotta.
Da quel giorno Odile e Peppe si incontrano ogni sera, all’imbrunire. Peppe sogna ad occhi aperti, Odile suole poggiare la mano su quella di Peppe. Le parole non servono, pensa Peppe, che crede di avere trovato la donna della sua vita. Arriva il giorno in cui le parole si riprendono il posto che gli spetta, e non sempre è una buona cosa. Odile conosce un po’ l’italiano, Peppe s’ingegna a farsi capire.
Odile gli annuncia di dovere tornare a casa, vive a Le Havre, in Normandia. Lo bacia sulla guancia, carezza i suoi capelli, e poi se ne va. Prima di sparire dietro il boschetto lo saluta con la mano, e a Peppe Ciotolo crede che qualche lacrima stia cadendo sulla guancia. Il suo cuore è in tumulto, ma contento. Come al solito i pensieri sbagliati convivono con quelli giusti. Non ha fatto l’amore con Odile, e questo, invece che provocargli rammarico, lo rende felice.
Quel giorno non finirà mai, perché Peppe Ciotolo, torna alla foce del fiume e si siede accanto al bagnasciuga e guarda il boschetto, come se da un momento all’altro dovesse apparire Odile. Incontrerà invece un signore grande e grosso, che si chiama Luigi Bonifacio, e fa l’esploratore di cose antiche, un tizio bizzarro e di grande cuore.
Mi sono innamorato di una francesa, confida Peppe Ciotolo. E racconta di Odile come se avesse trascorso la vita con lei. L’esploratore di cose antiche lo ascolta e si commuove. A Peppe Ciotolo dedicherà dei versi ed un libro di poesie. Correva l’anno 1957, e il cretaro s’innamorò di una francesa…