Ogni volta che si parla, o si scrive, di ampliare la rappresentanza femminile ai vertici delle istituzioni e delle aziende, una maggioranza silenziosa (di donne) evita la ribalta “perché sennò pensano che sia ambiziosa” e una maggioranza, altrettanto silenziosa (di uomini), che risolvono la questione voltandosi dall’altra parte con una scrollata delle spalle (meglio se in privato).
Ma sono le minoranze a detenere il potere, e sono loro a lasciare le cose come stanno; all’interno di esse, in campo maschile, ci sono gli apparati, che hanno pianificato il futuro prossimo; e comunque, si facessero largo, sgomitino e ci mettano la faccia, così come facciamo noi, che siamo arrivati in alto. Insomma, non c’è nessuno che salga sul pulpito a predicare la necessità di lasciarle a casa, (i tempi sono cambiati) che è il posto che conoscono meglio e dove danno il meglio di sé. E se proprio hanno la fregola di stare in mezzo alle temperie, si accontentino dello strapuntino, che è già tanto. Il tutto con il corredo di osservazioni politicamente corrette: non è questione di genere, noi abbiamo faticato una vita per arrivare dove siamo arrivati, e dovremmo dire alle signore: prego, si accomodino, magari nella suite, l’abbiamo preparata per voi. Il galateo politico lo conoscono a menadito; ed anche quello della buona società: avanti le signore.
La politica è cosa troppo seria per concederla. Non funziona nemmeno la seduzione nelle nomenclature politiche, non è una virtù da esibire, perché non ci esce niente (con l’eccezione di Arcore, dove, le signorine venivano valorizzate eccome, e alcune arrivavano anche nelle stanze dei bottoni; e mi fermo qui, sennò finisco con il ricordare il povero Franco Battiato che sollevò il problema con estrema crudezza e dovette dimettersi da “ministro” siciliano al tempo, nientemeno che, di Saro Crocetta, nostro presidente e, suggello della grande apertura mentale dei gelesi…). Archeologia. Cambia tutto in fretta, è una corsa ad inseguimento nel tentativo, disperato, di stare dietro alla techné. Ci sono consuetudini che restano: il sospetto, per esempio, che dietro quel sindaco donna ci sia una manfrina, per poi tirare fuori dal cilindro nome e cognome, già pronto. Inevitabile, anche la diffidenza fa parte della nostra cultura.
Il panorama oggi è fosco, soprattutto a Gela, e dopo la mia “strambata” sul numero scorso del Corriere di Gela, a favore della sindaca al prossimo turno, non c’è affatto da essere allegri. Coloro che sono stati chiamati (e chiamate) in causa tacciono, facendoci sospettare (i primi), con malagrazia, di avere pianificato il futuro per i prossimi venti anni; le seconde, di essere state colte di sorpresa.
Il silenzio degli apparati che hanno già tutte le caselle piene, con nome e cognome, per il prossimo turno delle amministrative, li capisco, hanno messo in conto eventuali sostituzioni in caso di imprevisti, come fanno i proprietari delle cappelle funerarie, dove vengono loculizzati anzitempo congiunti ancora in vita. Le signore no, invece, non le capisco; o meglio, rispetto il pudore, ma non la voglia di stare in seconda fila vita natural durante.
Fuori di metafora, le leadership locali si attengono alla proverbiale consuetudine che “la migliore parola è quella che non si dice”. E’ possibile che arrivino i punti di vista ufficiosi sulla questione e ci riferiscono che sì, è vero, il tema è di attualità a Gela, ma sono le donne che devono svegliarsi dal torpore; non c’è nessun luogo al mondo in cui si faccia largo come se si trattasse di un gesto di galanteria. Penso alle gelesi, che mi hanno ispirato di porre l’accento sulla questione, con le interessanti interviste pubblicate da questo giornale. Hanno fatto sapere di esserci, eccome; di avere idee, competenze, tenacia, volontà e tante altre virtù? Chiamate in causa, hanno fatto un passo indietro, o meglio, non hanno fatto un passo avanti. E non certo per autocandidarsi (non pretendo eroine), ma per manifestare una opinione; se, per fare un esempio, non si sentano un po’ messe da parte dalla nomenclatura che fa e disfa a suo piacimento il futuro del piccolo cabotaggio locale.
La sindaca a Gela non è argomento che riscalda i cuori? C’è chi non si è tirato indietro e ha manifestato la sua opinione corredandola di “fatti”. Filippo Collura, una carriera al vertice dell’amministrazione provinciale, ed un ritorno agli affari suoi (come lo capisco) per non avere a che fare con le canagliate dei colletti bianchissimi, ricorda che nella sua vita di insegnante, il rapporto fra studentesse in gamba e studenti altrettanti talentuosi è di tre a uno. Confermo. Nei miei quindici anni di insegnamento il talento e la serietà negli studi era soprattutto una prerogativa femminile, con le dovute eccezioni ovviamente.
Il problema si presenta quando si lasciano i banchi o le aule universitarie. Le donne si ritrovano, femmine di casa, e lavoratrici, senza più tempo per sé, e con speranze, legittime, di farsi una famiglia: una persona giusta, i figli ed una vita serena. E poi che succede? Mio marito non è che m’incoraggi, sospira qualcuna; per carità, ripone grande stima su me, ma si capisce che un po’ lo spaventa avere una moglie extra moenia, che magari finisce con il contare di più anche in famiglia. I gentiluomini sicuri di sé sono merce rara. E le donne che non si sentono a posto con la coscienza decidendo di aggiungere al lavoro professionale, quello pubblico, sono tante. La sindrome del tradimento del clichè famiglia-marito-lavoro è più diffusa di quanto si immagini.
E allora, causa persa in partenza? Affatto. L’associazionismo e la partecipazione alla vita sociale riserva a Gela un tesoretto di personcine con la testa sulle spalle, pronte da subito a marciare in prima linea. E’ come gettarsi con il paracadute: ti piace, l’hai scelto, ma hai bisogno della spintarella per tuffarsi. Non è l’amazzonismo, lo spirito guerriero, che fa la differenza, ma la voglia di darsi da fare per la cosa pubblica, una naturale propensione alla solidarietà, a misurarsi con le questioni che stanno a cuore a tanta gente. Prendendosi le responsabilità che ne conseguono. Senza chiedere nulla in cambio, per sentirsi bene dentro e dare un senso alla propria vita, avendo preso coscienza delle proprie qualità e della necessità che tali qualità debbano essere messe al servizio di tutti. Non farlo è uno spreco di risorse.
“Penso che la politica di Gela sia talmente becera da non risultare, attraente alle donne”, confessa Maria Grazia Fasciana, offrendoci la sua riflessione. “Credo poi che ci sia ancora tanto maschilismo nella cultura gelese, oltre ad un accaparramento inespugnabile del potere politico. Non riesco a vedere un futuro roseo”.
Nei commenti prevale lo scetticismo. Non cambierebbe niente se il primo cittadino fosse una prima cittadina. E’ possibile, certo, che non cambi assolutamente niente, ma non lo sapremo mai se non superiamo la soglia del fatalismo pessimista, che ci portiamo appresso da 2500 anni, da quando i nostri antenati greci veneravano una divinità, la Moira, il destino.
Giusy Iacono è tranchant: “Una donna non può essere sindaco a Gela, nell’immediato, per diversi motivi: 1. sono pochi gli uomini che hanno accesso alle stanze dei bottoni e tendono tutti a mantenere lo status quo, a prescindere dalla differenza di genere; 2. i partiti politici a Gela, e oltre, non hanno mai investito sulle donne facendole crescere politicamente, ma "solo fino a un certo punto", negando ruoli, accesso alle informazioni, ecc. ecc.; 3. i tempi della politica non sono i tempi delle donne, poiché storicamente e culturalmente, per noi donne la famiglia viene prima di tutto; 4. le donne non "fanno squadra" come gli uomini e anche questo è un limite culturale sul quale si deve lavorare molto; 5. a Gela ci sono poche opportunità di crescita professionale sia per un uomo che per una donna, ma a maggior ragione per una donna... quindi, difficilmente si possono avere delle candidate che provengano dalla società civile, disposte a dare il proprio contributo alla città. Bisogna ancora lavorare molto sulle nuove generazioni, sulla cultura dei nostri figli e figlie, puntando sulla scuola, l'unica forza motrice in grado di generare idee e innovazione nelle nuove generazioni”.
E’ una analisi onesta, che lascia basiti proprio per il contenuto di verità che contiene. Le donne che hanno cambiato il mondo, affermò Rita Levi Montalcini, non hanno avuto bisogno di nulla da dimostrare, se non la loro intelligenza.
Nel censire i commenti alla futura sindaca, ho lasciato in coda le tirate maschiliste che farebbero arrossire anche i porcospini, e gli autori di battutacce, del tipo…fateci vedere le tette, cose così, roba da bassifondi. Anche queste reazioni non ci sorprendono, al pari del pudore, comprensibile, di professioniste dotate degli attributi richiesti per fare un passo avanti. Perché di questo si tratta. Un drappello di soldatesse sugli attenti davanti ad un tizio che vi dice: C’è da salvare la patria, una missione difficile, dalla quale si può uscire con le ossa rotte, ma anche con le stimmate della santità e la devozione della città. Chi fa un passo avanti?