Una trentennale attività al servizio della comunità, nel cosiddetto terzo settore, con la prestigiosa divisa della Croce Rossa Italiana, ha reso Anita Lo Piano(nella foto) un volto conosciuto in città, seppure la stessa, persona molto riservata, si mostra alquanto riluttante ad “apparire” ed invece decisamente più propensa a “fare”.
Con spirito di abnegazione e la semplicità del quotidiano, perché per Anita Lo Piano, la Croce Rossa ed suoi principi guida, sono fonti di ispirazione nell’agire di ogni giorno, anche senza divisa, improntando con senso altruistico ed empatico le relazioni sociali. Sicché, solo dopo un insistente pressing, lo confessiamo, siamo riusciti ad incunearci nella sua riservatezza, convincendola a rispondere alle seguenti domande.
– Iniziamo con un tuffo nel passato. Chi era l'Anita giovane che cresceva e cosa sognava di fare quando sarebbe diventata adulta?
«I miei genitori, persone meravigliose, hanno educato me e i miei fratelli all’altruismo e alla semplicità: ad apprezzare le piccole cose e a vivere la poesia della vita, mio padre era un poeta. Agire con poesia è importante: la poesia, per me, ha un significato profondo e intimo, penso che sia una delle più alte espressioni dell’arte, come diceva Hermann Hess “arte significa: entro ogni cosa mostrare Dio”. Forse per questo, fin da piccola, il mio sogno è sempre stato mettermi al servizio degli altri, cercando di dare voce a chi non ce l’ha».
– Come è avvenuto l'incontro con la Cri, vale a dire la Croce rossa italiana?
«Dopo aver operato per anni in consultorio, come istruttrice di training autogeno per gestanti e come consulente familiare, nel 1994 ho fatto il mio incontro con la Croce Rossa, la più grande associazione umanitaria nel mondo, che mi ha dato modo di esprimere il “mio mondo interiore”. I sette principi su cui basa la Croce Rossa – Umanità, Imparzialità, Neutralità, Indipendenza, Volontariato, Unità, Universalità – condivisi da mio marito e nel rispetto dei quali sono cresciuti i nostri figli, hanno segnato la mia vita. La Croce Rossa è una fede ed un “modus vivendi”, anche quando non indossi la nostra meravigliosa divisa. La Croce rossa, nel rispetto i suoi principi, contro ogni pregiudizio e discriminazione, promuove la cultura della non violenza e della pace, attraverso un rapportarsi in empatia con gli “altri”, in un dialogo basato sul rispetto dell’alterità. Spesso, invece, ci si rifiuta di conoscere perché sentiamo minacciata la nostra stabilità, le nostre sicurezze, la nostra identità, la nostra presunta superiorità e ci si pone sulla difensiva, generando pregiudizi e discriminazioni, cause di violenza e di conflitti».
– Anche a livello locale la Cri non ha fatto mancare il suo contributo nella guerra contro il covid. Cosa le ha insegnato questa esperienza e siamo davvero vicini ad uscire dalla pandemia e mettercela alle spalle?
«Anche durante la pandemia, che ci ha visti e continua a vederci protagonisti in prima persona, abbiamo constatato che la malattia era un fattore discriminante per molti. Anche in questo caso, “conoscere” ci ha permesso di operare in sicurezza e di portare un aiuto concreto a coloro che, se non ci fossimo stati, sarebbero rimasti soli e abbandonati. Sebbene sia stata dichiarata la fine dell’emergenza pandemica, occorre sempre tenere alta la guardia, perché purtroppo i contagi continuano, anche se il virus sembra essersi attenuato. Per questo indossare le mascherine in caso di assembramenti o al chiuso sarebbe ancora utile, come il fidarsi dei vaccini, a prescindere dal green pass. Se non pensiamo al bene comune, non potremmo uscirne: nessuno si salva da solo».
– Intanto un'altra emergenza è scoppiata: la guerra in Ucraina e la Croce Rossa è sempre lì, presente.
«Il conflitto armato che da febbraio interessa il nostro continente, ci ha messi di fronte una realtà che pensavamo impossibile potesse verificarsi. L’emergenza Ucraina ha costretto quasi sette milioni di parsone ad abbandonare la propria terra, oltre quattro milioni hanno trovato rifugio nei paesi vicini quali Polonia, Moldavia, Romania, Ungheria, Slovacchia e Bielorussia. Una situazione disperata che ha imposto una risposta umanitaria congiunta di tutto il “Movimento Internazionale di Croce Rossa e Mezza Luna Rossa”.
Il presidente della Cri, Francesco Rocca, che – con orgoglio di ogni italiano – è anche il presidente della “Federazione Internazionale della Croce rossa”, ha immediatamente attivato la “Cooperazione internazionale del movimento”. La risposta è stata tempestiva e volontari di tutte le società nazionali si sono attivati per andare in aiuto della “consorella” Ucraina. La Cri ha lanciato subito una raccolta di fondi per rispondere ai bisogni umanitari sia di chi è rimasto in Ucraina che dei profughi che cercano asilo in altre terre.
Ogni settimana partono dall’Italia due convogli di Tir carichi di alimenti e beni di prima necessita, medicine e kit di primo soccorso che vengono consegnati a Chernivitsi, in Ucraina e nel centro di raccolta di Prochowice, in Polonia. Ad oggi, inoltre, tre diverse missioni della Cri, in collaborazione con la Croce rossa ucraina, hanno permesso l’evacuazione e il trasferimento in Italia di centinaia di soggetti fragili e con disabilità, per essere assistite in alcune strutture indicate dal “Dipartimento di Protezione Civile”. Parallelamente per tutte le persone che necessitano di informazioni generali, domande di riunificazioni o supporto psicologico gratuito per i cittadini ucraini in Italia, è attivo il numero nazionale di risposta alle emergenze, 800065510».
– Ha incontrato difficoltà in quanto donna, agli inizi soprattutto, nel contesto in cui opera?
«Io, donna di Croce rossa, nella mia esperienza ormai trentennale in seno alla mia associazione, ho imparato l’importanza dei nostri princìpi. Essere nata in Italia è passato velocemente in secondo piano, rispetto al fatto di essere cellule di uno stesso movimento impegnato in ogni angolo della terra, ad aiutare le persone più vulnerabili, mettendo in moto quello che in Croce rossa chiamiamo “the power of umanity”, che tradotto letteralmente significa il potere dell’umanità».
– Lei si divide tra l'essere nonna, mamma, moglie e lo spendersi nella società civile: qual è il suo segreto?
«Nessun segreto: l’impegno nella società civile è semplicemente parte integrante del mio essere, inscindibile dal mio ruolo di donna, moglie, madre ed anche nonna. Le donne nei secoli hanno subito e continuano a subire pregiudizi e discriminazioni, io mi reputo una persona fortunata a non aver mai dovuto affrontare simili umiliazioni ma, purtroppo, mi rendo conto che non per tutte è così. Vorrei che ognuno di noi, a prescindere dal genere, avesse pari opportunità di potere esprimere la propria intelligenza e le proprie capacità mettendosi “al servizio” della comunità».
– La politica è di casa in famiglia, giacché suo marito, Ugo Granvillano, è stato un esponente del socialismo locale. La sua è stata una fugace apparizione da candidata all'Ars. Che concetto ha maturato della politica?
«Il vero significato della politica, per quanto mi riguarda, è davvero racchiuso nel verbo “servire”. Una politica dove ci si spende per conoscere e risolvere i bisogni; una politica attenta ai giovani; alla loro educazione; alla promozione di una cittadinanza attiva. Una politica rivolta alla valorizzazione delle idee; all’attenzione versi i più fragili; alla cultura della solidarietà. Una politica pulita e scevra da ogni potere, se non quello dell’umanità».
Il «Chi è» di Anita Lo Piano
E’ nata a Niscemi, coniugata con l’ing. Ugo Granvillano, ex assessore comunale. Studi classici, figlia del poeta Serafino Lo Piano, uomo di raffinata cultura, ricordato anche per aver istituito il “Sileno d’Oro”, il più prestigioso premio culturale in città. Nel 1994, l’incontro con la Croce Rossa, e fu amore a prima vista, avendo negli anni a seguire ricoperto ruoli importanti nella più grande associazione umanitaria nel mondo.