Immaginate un gigante che, guardandosi allo specchio, si accorga con stupore di essere piccolo quanto una formica.
Uscirebbe di senno, cercherebbe di scoprire quale sortilegio l’abbia colpito, o magari cambierebbe specchio. Ma se non avesse alcun motivo per lamentarsi, ritenesse quella visione di sé del tutto “normale”, penseremmo che sia uscito fuori di senno, o che abbia di sé l’immagine di una formica, e obbedendo allo specchio si sia persuaso subito che sia proprio tale.
Crede più allo specchio che a se stesso, ai suoi piedoni, alle braccia lunghe, alle orecchie grandi. Bene, questa è la Sicilia: un gigante che non sa niente di sé, che ha smarrito la sua identità, non sa nulla di sé ed è disposta a credere nell’immagine che gli mostrano, attraverso lo specchio ingannevole. E vi spiego perché.
E’ il momento giusto per ragionarci sopra, l’Europa è ripiombata nell’incubo di una guerra in casa propria, dopo 70 anni di convivenza pacifica. Un tempo forse irripetibile per cercare di capire.
L’Ucraina è una vetrina degli orrori, davanti alla quale non possiamo voltare le spalle, perché è casa nostra, Europa. E’ vero, prima dell’Ucraina c’è stata la Siria, l’Iraq, la Libia. E gli orrori non sono tutti uguali? I visi dei bambini inermi, siriani o ucraini, sono gli stessi, sia che sorridano sia che, si disperano, o giacciono sulla spiaggia, privi di vita. Non è il momento di battersi il petto, anche se il sospetto che il colore della pelle, la cultura diversa, la fede religiosa diversa sia legittimo. Stavolta l’Europa c’è, finalmente.
E la Sicilia pur, nel suo piccolo, continua ad esserci, ed a credersi una formica: aiuterà l’Europa a resistere al ricatto economico del “nemico” nella fornitura di energia, a difendersi e fare rispettare il diritto dei popoli di scegliersi il proprio governo, le proprie alleanze, il proprio futuro. Come? Fornendogli strumenti per difendersi, grazie alle sue basi militari ed al suo grande occhio sul mondo: Niscemi permetterà di “vedere” ciò che accade sul campo, in Ucraina, e altrove sia necessario.
Insomma farà la sua parte, com’è giusto che sia. Avrà così un’altra occasione per riconoscersi, farsi “riconoscere”, far sapere quanto conta il suo potenziale strategico. Non nutriamo grandi speranze, è bene metterlo in chiaro. Non è mai accaduto che venisse censita la rilevanza strategica della Sicilia, ed è difficile che accada in futuro.
Proviamo a farlo noi il censimento, affidandoci a informazioni istituzionali.
Il Greenstream è un gasdotto lungo 520 km che collega la Libia con l'Italia. È operativo dal 1º ottobre del 2004 e i suoi lavori di costruzione si sono svolti con notevole rapidità, essendo iniziati ad agosto 2003 e ultimati nel febbraio dell'anno successivo. La posa dei tubi è stata eseguita dalla Saipem, Gruppo Eni. Le forniture sono iniziate il 1º ottobre 2004 mentre l'inaugurazione è avvenuta il 7 ottobre dello stesso anno, al tempo di Muʿammar Gheddafi.
Con i suoi 520 km è attualmente il gasdotto più lungo esistente nel Mar Mediterraneo, ed in alcuni tratti raggiunge la profondità di 1.127 metri. Si snoda fra la stazione di compressione di Mellitah ed il terminale di ricevimento del gas di Gela. Permette al gas estratto dai giacimenti di Bahr Essalam (offshore) e Wafa (nel deserto libico, al confine con l'Algeria) di essere trasportato in Sicilia e di qui al resto dell'Italia.
L'investimento totale è stato di 7 miliardi di euro, di cui 3,7 in quota Eni. È operato da Eni (quota del 75%) e NOC (quota del 25%) nel quadro della più ampia joint-venture paritetica denominata Western Libyan Gas Projects e fa parte del sistema di trasporto del gas libico Libyan Gas Transmission System.
Con la guerra in Ucraina il gasdotto che approda in Sicilia è diventato un asset strategico per il Nostro Paese. Ma è la Sicilia, per la sua ubicazione al centro del Mediterraneo, che svolge un ruolo strategico per l’Europa, le democrazie occidentali e l’Italia. L’isola è un hub nelle comunicazioni internazionali: le fibre ottiche sottomarine giungono in Sicilia dall’Oriente, Medio Oriente e l’Africa; l’approdo dei cavi sottomarini nell’Isola si trova a Mazara e Catania, da qui i cavi emergono, attraversano l’Isola e si rituffano in mare, il Tirreno, per riprendere il loro viaggio verso il Continente europeo, diretti a Marsiglia, da dove giungeranno la Gran Bretagna, ancora con cavi sottomarine. Ultima tappa, l’America.
Quando parliamo a telefono, vediamo la TV, usiamo i social, come Space Time, WhatsApp ecc. , utilizziamo l’hub siciliano. Non deve stupirci il fatto, dunque, che il grande business della comunicazione si svolge, fisicamente, in Sicilia, e che i cavi che trasportano le fibre ottiche sono oggetto di attenzione da parte dei principali attori internazionali nel campo della sicurezza e delle Agenzie incaricate di reperire informazioni, ovunque sia necessario.
Sappiamo delle “aggressioni” di hacker, perché il danno è immediatamente percepibile, non sappiamo niente, invece, del business “sotto banco”, affidato ai Servizi segreti di mezzo mondo. I cavi sottomarini, specie nelle sedi di approdo, ricevono visite interessate; il trasporto dei dati, quindi, ospita filtri informatici che consentono di “copiare” tutto in tempo reale.
Siccome avere miliardi di dati è come non averne niente ai fini del riconoscimento di ciò che serve, la “guerra” non si combatte nella appropriazione dei dati, ma nel sistema di riconoscimento e reclutamento delle informazioni, attraverso sofisticati algoritmi. I soft degli spioni vengono aggiornati continuamente, per stare al passo della cybersecurity.
E’ una guerra non dichiarata, della quale si sa poco o niente, ad eccezione dei “filtri”, che in qualche caso sono operati dalle stesse aziende che operano nel settore della sicurezza. La storiella degli antivirus costruiti da chi costruisce i virus non dovrebbe essere ascoltata con sufficienza, come fosse una fake per provocare il riso.
Ma una volta che la ascoltiamo, la prendiamo sul serio, quali armi abbiamo per difendere i nostri interessi e la nostra privacy? Coltelli a serramanico contro missili intercontinentali: non c’è partita.
Il grande teatro strategico siciliano è costituito dalle basi militari: a Sigonella stazionano le flotte di droni, aerei senza pilota, armati con missili, e guidati dai centri operativi della Virginia, negli States. Anche in questo caso, senza l’ascolto e la “supervisione” siciliani, gli States sarebbero ciechi. Hanno la vista lunga grazie al sistema satellitare ubicato nella sughereta di Niscemi, un tiro di schioppo da Gela.
Di Sigonella abbiamo saputo qualcosa in occasione del mitico braccio di ferro fra Donald Reagan e Bettino Craxi. Il Presidente del Consiglio italiano aveva mediato per portare in salvo una nave da crociera italiana, l’Achille Lauro, attaccata da terroristi palestinesi: la salvezza della nave contro l’immunità del terrorista che aveva condotto il commando sull’Achille Lauro.
Un aereo della Delta Force atterrò a Sigonella per “prendersi” il terrorista atterrato a sua volta con un aereo egiziano. Ma i carabinieri circondarono i marines, e Reagan ci restò così male che se la legò al dito. E sappiamo che fine ha fatto l’ex Presidente del consiglio italiano.
Del sistema satellitare di Niscemi sappiamo quasi tutto, perché la resistenza dei niscemesi è stata commovente ma ingenua, mentre il ruolo della Regione siciliana è stato semplicemente ridicolo. La vicenda arrivò nei tribunali, e la Regione si trovò a difendersi contro se stessa, avendo assunto posizioni contraddittorie. Da vergognarsi per l’eternità.
Solo chi non ha mai letto un trattato internazionale, e fra questi il trattato che hanno firmato Italia e Stati Uniti in ambito Nato, poteva immaginare che le preoccupazioni per la salute delle popolazioni limitrofe al gigantesco sistema satellitare prevalessero sulle strategie difensive della Nato e dei trattati firmati dalle parti.
Perfino la generosa Niscemi avrebbe potuto sedersi al tavolo della trattativa, chiedendo qualcosa in cambio del sacrificio di ospitare “il grande occhio”. In questi giorni, e solo ora, a causa della crisi ucraina, ci si rende conto di quanto sia utile l’occhio di Niscemi per la Nato, l’Europa e il nostro Paese.
Il censimento degli asset geopolitici della Sicilia potrebbe continuare con le altre basi militari, e tra queste Birgi nel trapanese e le piccole isole nel Canale di Sicilia. O con le risorse energetiche fornite dalla Sicilia, non solo con il gasdotto, ma anche con le raffinerie petrolifere (una delle quali russa, appartenente agli oligarchi moscoviti, la Lukoi).
Sarebbe una gran cosa riuscire a misurare il differenziale – lo spread – fra la rilevanza strategica della Sicilia e il suo potere politico, cioè la “portabilità” delle istanze e dei bisogni siciliani in mano all’autonomia speciale in termini di investimenti nelle infrastrutture, nella cultura, nella scienza ecc. Temo che chiunque ci provi, debba arrendersi all’evidenza: lo spread è no countable, come dicono gli inglesi; non misurabile, per manifesta inferiorità dell’altra parte.
Sarà Bellissima la Sicilia, come crede il presidente della Regione Musumeci, ma è un guscio vuoto.