“….certo, il rispetto delle piante, però al Parco delle Rimembranze tagliamo le siepi che impediscono la vista sul complesso industriale.”
E’ il 1964, terzo anno dell’era industriale. Il sindaco di Gela, Giovanni Cassarino (nella foto), affascinato dai giganti di acciaio che da qualche anno hanno sostituito il boschetto di Bulala, vuole offrire ai visitatori la vista della fabbrica: è immensa, sputa fumo e fuoco. Con il favore della sera, ma già al tramonto, le luci degli impianti danzano come le lampare al largo del golfo, regalano uno spettacolo unico: adagiata ai piedi di Gela quelle luci saltellante sembrano i grattacieli di Manhattan. Una benedizione, e il sindaco, che è uomo di Chiesa, lo sente, forse più di ogni altro.
Dove c’è “Manhattan” c’era un luogo sacro, che si chiama Betlemme. Ed accanto a Betlemme, Cappella Santa Maria dell’oratorio, Santuario di Maria santissima d'Alemanna (XII secolo), patrona di Gela. La Madonna, che ha preservato la città dal terremoto (“si vitti e non si vitti Terranova, se non era per Maria dell’Alemanna…), fa un nuovo miracolo.
La campagna è stata fatica, delusioni, carestia. Il petrolio è ricchezza, e si trova proprio sotto il suo mare, la sua piana, la sua collina. Non può essere un caso. Né il destino, che “unna viri e unna sviri”, non fa mai giustizia, specie agli ultimi.
Me lo immagino il buon sindaco democristiano, in ginocchio, sul far della sera, sullo sterrato della terrazza che regala quello spettacolo mozzafiato delle lampare di terra danzanti. In ginocchio, come ogni devoto alla Madonna, magari con un santino in mano, ed un padrenostro sul petto. E’ giusto che sia toccato a lui il favore della Madonna. Chi meglio di lui potrebbe rappresentare il popolo dei senza niente. Sì, certo, ci sono anche i comunisti, ma loro non parlano né con la Madonna né con il Padreterno. Giovanni Cassarino non fu certo il solo a vivere l’incantesimo con animo lieto e ben disposto, il solo ad essere stato soggiogato dai giganti di acciaio spuntati dall’oggi al domani laddove c’erano dune, alberi e il terra consacrata.
C’è un prezioso opuscolo, stampato nel 1964, che affida alla storia quelle giornate felici. Raccoglie intenzioni, propositi e pensieri del sindaco, ormai prossimo al laticlavio. La striscia di porpora ancora non l’ha addosso, ma è come se la indossasse per quel suo parlare a nome degli ultimi e della Democrazia Cristiana di Salvatore Aldisio. E’ scritto nelle stelle che sia lui il figlioccio dei l’erede di Aldisio, a dispetto di quei pretenziosi professori che pensano di avere la verità rivelata e non sanno niente dei bisogni della povera gente. Loro confabulano, tessono intrighi, fra una partita e l’altra al circolo San Paolo, o davanti alla Libreria Randazzo, dopo avere allungato lo sguardo scettico ai giornali raccolti in bacheca.
Non sanno che dire per denigrarlo, il dialetto preferito alla lingua italiana, segno di povertà culturale, e le bottiglie di vino distribuite agli elettori con lo slogan che ha fatto il giro del mondo (“chi beve buon vino, vota Cassarino”).
Comunque sia, gli estimatori stravedono, tanto che in dicembre del 1964, gli dedicano il prezioso opuscolo che svela le intenzioni del sindaco ormai quasi senatore della Repubblica. Leggiamo, dunque, con rispetto
“Una cosa importante che il Comune dovrebbe fare subito è di pulire le case dei poveri. Pochi soldi… Basta una perenne conca di stucco e due addetti alle pulizie per rendere decenti ed in parte abitabili i tuguri e le stamberghe… Non si può pretendere che i poveri diventino immediatamente cittadini rispettosi di tutte le regole igieniche e sanitarie, eliminino le galline e il pomodoro dai marciapiedi. Niente multe… Invece sulle strade principali si deve essere inflessibili. Il Corso e le vie del centro dovrebbero essere uno specchio. I trasgressori vanno puniti. I forestieri per prima cosa notano il centro e si fanno una brutta impressione”.
L’ottimismo del sindaco è inesauribile. “Bisogna eliminare la gestione in economia della spazzatura, niente grandi firme, niente progetti mondiali come aspirare l’immondizia dall’alto con gli aerei ecc. Meglio un appaltatore o farlo direttamente il Comune, con una decina di eleganti motocarri, anche piccoli…” E i bambini? vanno tolti, una vera indecenza da eliminare… crescono indisciplinati, senza educazione e senza istruzione, bisogna mandarli a scuola e procurargli un buon lavoro quando crescono.
Sul comportamento degli amministratori Giovanni Cassarino è severo. Gli assessori devono frequentare il Comune, pretende e si intuisce che è amareggiato. “Non mettere alla porta quelli che vengono piangendo a chiedere un favore; se è possibile accontentarli, altrimenti dire di no con molto garbo…”. Quanto alle opere pubbliche “fare le cose indispensabili, le strade quelle centrali… Così niente la via Martorana, dove abito anche se ciò dispiacerà ai miei vicini”.
Sui forestieri invece è indulgente. Multarli quando si fermano un momento per comprare le sigarette non è una buona cosa. Un rimprovero ai vigili urbani che risparmierebbero i paesani, conoscenti ed amici. Sull’arredo urbano ha le sue idee. Esse non rimandano né a leggi né ai regolamenti edilizi, ma solo al buonsenso. “…si incoraggino le costruzioni di palazzi con molti piani, invece delle case a pupituni…”
Ma è l’Anic la stella polare di ogni ragionamento. “Qua occorre sapere con urgenza quello che il Comune può pretendere dall’Anic e quello che non può pretendere. Per quello che ci spetta dobbiamo batterci per ottenerlo, per il resto dobbiamo chiedere con intelligenza e serietà. …Comunque noi dobbiamo trattarli bene e capire le loro esigenze, in una parola incoraggiarli a collaborare…”.
Infine, una raccomandazione. “Prima di spendere un soldo, discutere tre ore poi fare un programma di tutto quello che occorre fare”.
L’opuscolo dedica all’anima popolare del sindaco espressioni di sperticato apprezzamento. “Proveniente da una sana famiglia di agricoltori e educato sin dall’infanzia alla stretta osservanza religiosa egli è stato il conforto della povera gente che ha trovato in lui quasi un padre personalmente interessato ai suoi problemi… E il popolo lo ha ampiamente ripagato. Non è perciò ozioso affermare che con Giovanni Cassarino il popolo è veramente asceso al Comune di Gela”.
L’ascensione si compie dal 29 dicembre 1962 al 24 ottobre 1964, il biennio della sindacatura, molto travagliato. Sono gli anni in cui Gela viene rivoltata come un calzino. Cambia anche l’aria che si respira. Le coste vengono imbrattate dal greggio, l’arenile scompare, come il boschetto ai piedi della piana, sul lato est. In compenso, Gela ha un cuore nuovo, che non fa rimpiangere quello espiantato. I suoi battiti sono cadenzati dal ritmo delle trivelle che estraggono il greggio a Piana del Signore.
C’è chi si tappa le orecchie e volta le spalle alle trivelle. Cova il malanimo verso quelle diavolerie che stanno cambiando tutto. E poi il mondo non comincia né finisce a Gela. Basta accontentarsi di poco. Gigliola Cinguetti, trionfatrice a Sanremo, non ha l’età per amare. Mary Poppins ricorda che basta un po' di zucchero e la pillola va giù. Il tenebroso Clint Eastwood, pioniere dei western all’italiana, compare sempre puntuale, all’ok Korral ed informa l’umanità che «quando un uomo con la pistola incontra un uomo con il fucile, è un uomo morto”.
Si muore tanto nei film western, e non di rifiuti tossici della fabbrica. Spaventa piuttosto il dottor Stranamore, scienziato pazzo inventato da Stanley Kubrick, che “ha imparato ad amare la bomba atomica”.
Giovanni Cassarino non è una vignetta appesa alla parete del circolo dei civili. I suoi propositi vergati di pugno grondano di disarmante semplicità, sono la cifra del tempo. Leggendoli con gli occhi di oggi mettono i brividi. Basta davvero una conca perenne di stucco e quattro soldi per ripulire i tuguri e le stamberghe dei poveri? Cadono le braccia.
Giovanni Cassarino, avvocato popolano e sindaco a furor di popolo, accoglie su di sé l’anima antica di Gela. Grazie anche ad una colorita aneddotica, che esce perfino dai confini della città. Le Operette Immorali, celebre rubrica di Roberto Ciuni sul Giornale di Sicilia, raccontano che l’ex sindaco, eletto senatore si reca a Piazza Armerina, sede della Diocesi per ringraziare il Vescovo dell’aiuto ricevuto dalle Parrocchie, congedandosi promette ubbidienza. E il Vescovo, colto alla sprovvista, raccomanda l’enciclica del Papa, la Pacem in terris. Sicché il senatore, munito di notes, lo rassicura. “Prendo un appunto e appena a Roma, questo e altro, Eccellenza”.
E’ legittimo sorridere, non infierire. Giovanni Cassarino è l’icona del suo tempo. “Meglio lui, che uno dei tanti ladri di passo…”, sospirava qualcuno a suo tempo per conciliarsi con quel mondo bizzarro. Io, che sono più magnanimo, mi chiedo se la povertà culturale rimproverata a Giovanni Cassarino sessanta anni fa, sia solo un ricordo. Non credo davvero.