Arresti domiciliari per un noto imprenditore del settore ortofrutticolo di Gela, Claudio Domicoli, di 44 anni, ufficialmente nullatenente, indagato più volte per associazione mafiosa, coinvolto nelle operazioni antimafia Tagli Pregiati, Free Car e Atlantide-Mercurio ed ora accusato di attribuzione fittizia di attività economiche e di trasferimento fraudolento di valori.
Figlio del fratello di Carlo Domicoli, un uomo di rispetto ucciso nell'87, alla vigilia della guerra di mafia di Gela, Claudio Domicoli, a parere di magistratiura e guardia di finanza, che hanno portato a termine l'indagine, avrebbe intestato tutti i suoi averi a due "prestanomi", perché temeva che i beni potessero essere sequestrati dai magistrati per il sospetto di provenienza illecita. I falsi titolari delle aziende sarebbero la figlia, Sofia Domicoli, di 22 anni e un suo ex dipendente, Giuseppe Fabrizio Martorana, di 43 anni, entrambi gelesi. Nei loro confronti grava l'accusa di trasferimento fraudolento di valori, in concorso, ed è stato imposto il divieto temporaneo di esercitare l’attività d’impresa e gli uffici direttivi di imprese e persone giuridiche.
Gli investigatori da tempo tenevano sotto controllo Claudio Domicoli, specie dopo averlo visto alla guida di una "Porche Cayenne" (80 mila euro il prezzo di listino). La macchina apparteneva a una delle sue ditte che però ufficialmente risultavano intestate ad altri. Giovedì scorso, dopo quasi 10 anni di indagini, è stata data esecuzione al provvedimento dell’autorità giudiziaria gelese, affidata ai militari del Gruppo della Guardia di Finanza di Gela che ne ha curato la complessa attività investigativa.
Oltre all'arresto, l'ordinanza del Gip del tribunale di Gela, ha disposto il sequestro preventivo dei beni mobili e immobili, partecipazioni societarie e disponibilità finanziarie di due società gelesi, la "Ortofrutta Gela" e la "Domicoli Fruit", attive nel settore del commercio dei prodotti ortofrutticoli, il cui valore complessivo si attesterebbe sui 2 milioni di euro e che sono state poste in amministrazione giudiziaria.
L'inchiesta della Guardia di Finanza di Gela, diretta dal capitano Giuseppe Gradillo, con la supervisione del comandante provinciale, colonnello Andrea Antonioli, ha avuto come coordinamento il procuratore, Fernando Asaro e il suo sostituto, Ubaldo Leo. I primi sospetti sono caduti su una ditta, intestata a un familiare di Domicoli, ed ora in procedura di fallimento, già interessata da un provvedimento di sequestro, ad opera della D.I.A. di Caltanissetta, emesso della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale nisseno.
Sospetti che sono aumentati quando al posto dell'azienda fallita ne sono state create altre due con la stessa sede legale e lo stesso settore operativo dell'ortofrutta, " attribuendone la titolarità - scrivono gli inquirenti in un loto comunicato - a soggetti rivelatisi essere chiaramente delle “teste di legno”, cioè dei prestanome. Stessi clienti, stessi fornitori, unico interlocutore: Claudio Domicoli. "Quest’ultimo non ha solo gestito operativamente e con continuità tutte le società oggetto d’indagine - hanno spiegato gli inquirenti in una conferenza stampa - ma ne ha anche utilizzato, a proprio piacimento, i beni loro formalmente intestati.
Significativa, al riguardo, la circostanza che lo ha visto acquistare un’autovettura di lusso (una Porsche Macan S), subito ceduta ad una delle società oggetto d’indagine ma continuando ad averne la piena disponibilità". Le fiamme gialle lo avrebbero più volte individuato a bordo di tale Porche, anche in compagnia di pregiudicati gelesi.
«L’operazione sviluppata dalla Guardia di Finanza e diretta dell’Autorità Giudiziaria gelese – spiegano i protagonisti – s’inquadra nelle rinnovate linee strategiche investigative volte a rafforzare l’azione di contrasto ai fenomeni illeciti più gravi e insidiosi, integrando le funzioni di polizia economico-finanziaria con le indagini di polizia giudiziaria e garantendo il perseguimento degli obiettivi di aggressione dei patrimoni dei soggetti dediti ad attività criminose, al fine di assicurare l’effettivo recupero delle somme frutto, oggetto o provento delle condotte illecite». Dopo il 416 bis (associazione mafiosa) il 41 bis (carcere duro) cresce sempre più anche l'applicazione dell'articolo 512 bis del codice penale nella lotta ai patrimoni illeciti dei mafiosi.