L'alto dirigente piombò all'improvviso nell'ufficio e rimproverò aspramente il povero responsabile della sezione.
Il responsabile diede una solenne lavata di capo all'impiegato. L'impiegato chinò la testa, ma tornato a casa si sfogò urlando con la moglie. La moglie si rivalse con la figlia che non aveva messo in ordine la stanza. La ragazza sferrò una pedata al cane che si mise a inseguire rabbiosamente il gatto. La storia si concluse con la morte dei topi.
E’ una storiella pop divenuta l’icona del rimprovero ipocrita, la metafora delle gerarchie sociali che condannano l’ultimo ed il più debole ed indifeso. Nonostante sia stata ispirata dalle migliori intenzioni, non ha prodotto effetti speciali. A quelli pensa solo Grundig, come sapete. Al popolo minuto, destinatario naturale, sono arrivate le briciole. Meglio che niente, tuttavia. Oggi abbiamo ciò che serve per fare uscire il sapere dal parcheggio pop e bene intenzionato, grazie alla tecnologia. La vita, le opere, le parole dei personaggi di forte ingegno o carisma, meglio se tutt’e due le cose insieme, “educano” (o diseducano) il popolo minuto meglio delle storielle pop. A patto però che le radici delle parole non siano… quadrate. Mi spiego meglio: è premessa non secondaria potere contare su menti illuminate.
Il rimprovero animato da buone intenzioni serve ma non è detto che bastino le buone intenzioni perché sia efficace e svolga il suo compito, che è quello di far pensare e ripensare a ciò che accade. Su di esso, il rimprovero – e nel caso in ispecie il rimporovero del sindaco alla sua città – il mio interesse si è curiosamente fermato. Dovrei dire piuttosto, “appostato”, perché l’episodio, che lo ha richiamato è di quelli che lasciano aperta la finestra sul futuro, il rimprovero, aspro, di un sindaco, alla sua città. Più che un rimprovero, un monito e, sotto certi aspetti, un anatema. Se continuate così, insomma, andate a finire male… Il sindaco che rimprovera i suoi concittadini è Greco (nella foto) , la città rimproverata è Gela.
Il rimprovero è stato suscitato dal “riprovevole comportamento dei cittadini” che si sono dati alla pazza gioia durante le festività natalizie, aprendo porte, finestre e balconi al più insidioso, imprevedibile, dei nemici del nostro tempo, il virus conosciuto con l’ormai spaventosa sigla di Covid 19, responsabile di più di ottantamila morti solo nel nostro Paese.
Greco ha addebitato ai suoi cittadini di non avere alcun rispetto per il bene comune, e il riprovevole comportamento natalizio sarebbe solo la riprova di una dissolutezza antica. Se si fosse sfogato con i suoi collaboratori, tra le quattro mura del municipio, non sarebbe accaduto nulla, ma sono state ascoltate ovunque, e soprattutto dalla sua città, finita sul banco degli imputati ancora una volta, ma in questa occasione per scelta del suo primo cittadino. E’ stata una strigliata, insolita e senza precedenti, di quelle che non si sentono quasi mai da chi è investito di una carica pubblica. I sindaci sono notoriamente propensi ad adulare i loro concittadini con una generosità talvolta sospetta.
Perché mai dunque il sindaco di Gela si è allontanato dalla secolare consolante consuetudine, dismettendo l’abito del generoso dispensatore di apprezzamenti ed ha sentito, invece, urgente, il bisogno del colpo di frusta, di una lavata di capo, come fa il papà severo dopo una marachella del figliolo maldestro? Gela se lo merita questo richiamo ai buoni sentimenti ed al rispetto delle regole? E come è stata accolta dai concittadini, che di solito non se ne tengono una quando leggono critiche e brutte pagelle su giornali e media sul loro conto?
Il sindaco getta la responsabilità della “chiusura” della città, viene da pensare, magari a chi ha sulla coscienza i bagordi natalizi. Chi scrive ha tanti peccati da scontare, ma questo dei bagordi proprio no, non avendo trascorso a Gela il Natale, ma “ai domiciliari” a Palermo. Sicché il sospetto non mi ha fatto vibrare di rabbia, anzi. Semmai ho creduto che la rabbia del sindaco possa essere stata suscitata dall’umanissimo bisogno di spartire le responsabilità del lockdown con i suoi concittadini.
Resta tuttavia un aspetto che mi intriga: il rimprovero pubblico e senza sconti è una storica svolta nelle peggiori consuetudini. Le stanze dei bottoni educano al silenzio, le malandrinerie invece di essere espiate ricevono protezione e sostegno.
La riprovazione del sindaco ed il suo severo giudizio sulle cattive abitudini dei gelesi potrebbero inaugurare una pagina diversa, dunque, per la piccola storia politica della città di Gela. Un po' di ottimismo non guasta. Di sindaci arrabbiati in Sicilia, per gli stessi motivi, infatti, ne abbiamo avuti. Mi pare che sia stato il giovane sindaco di Delia che all’indomani della prima ondata della pandemia, abbia recitato il rosario delle malecreanze dei suoi concittadini, a causa delle quali il suo paese era costretto a subire la recrudescenza dei contagi. Fu una filippica colorita e sacrosanta, condivisa dalle Alpi a Lampedusa, che fece il giro di tutti i network nazionali, ottenendo il plauso unanime. La condivisione è come un “like” su un post, non costa niente e ci si mette in pace, talvolta, con la coscienza.
Il sindaco Greco, arrabbiato come il suo collega di Delia, ha recriminato sui comportamenti dei suoi concittadini, e tratto da essi la convinzione che ci sia ben altro dei bagordi di Natale da addebitare a Gela. Se credeva a ciò che ha detto, e non ho ragione di dubitarlo, ha spezzato una tradizione di servilismo alla rovescia, quello dell’amministratore che cerca, sempre e comunque il consenso a prescindere, per farsi gli affari suoi. La questione dirimente è la strigliata. Provocata da un episodio contingente o dal bisogno di dire le cose come stanno ai suoi cittadini, richiamando le loro responsabilità?
La moral suasion una tantum non produce alcunché. Ci vuole ben altro. Servono modelli di comportamento coerenti e strigliate tutte le volte che occorre. Una volta mazziati, come Dio comanda, i giovani e meno giovani, per il danno incalcolabile al portafogli e alla salute pubblica per i bagordi natalizi, non si può tornare a blandirli alla prossima occasione, o allevarli con abbondanti dosi giornaliere di piccoli e grandi favori, pozioni velenose di privilegi, silenzi e omissioni su vicende ignobili che vanno denunciate ai quattro venti. Se fosse un incidente di percorso, la sacrosanta strigliata ai bagordi natalizi, si trasformerebbe in una paradossale ingiusta condanna perché così fan tutti.
Il sindaco Greco lo sa di avere imboccato una strada impervia? Lo sa che gli servono alleati, altrimenti non può farcela. Non mi riferisco a partiti e gruppi politici, a maggioranze consiliari e a protezioni dall’alto, né a movimenti civici, oggi in gran spolvero, ma a ad un sentire comune casalingo sulle cose che contano, come il rispetto delle regole, dell’interesse pubblico, l’emarginazione dei furbetti, ovunque esercitino la loro arte, e dei malavitosi, ovunque elaborano i loro intrighi.
Non vorrei avervi dato la sensazione di trascurare il contributo della lavata di capo nell’educazione del popolo amministrato, ignorandone il valore, la mia intenzione è di attribuirvi un valore, al contrario, ben sapendo quanto sia difficile sul terreno e come sia indispensabile il contributo dei cittadini. Il sindaco è il frangiflutti di ogni istanza popolare, e come tale subisce le onde alte e la marea; tutte le volte che il mare gonfia o la luna lo attira a sé. Il ribellismo, la litigiosità, l’abitudine all’abuso (edilizio, commerciale, ecc.), l’incultura ed i pregiudizi non si possono sradicare alzando il livello del frangiflutti né domando il mare, che è indomabile. Non si può mandare a scuola di buone maniere una comunità, ma gli si può offrire modelli di comportamento saggi, onesti e coerenti.
Se il sindaco ritiene che la sua città sia priva di senso civico, sia malata di individualismo esasperato, sia priva di spirito comunitario, di una identità fatta di valori e tradizioni condivisi, ha l’onere di “educarla” con scelte, ove necessario impopolari, purché ritenute utili. Se i gelesi vogliono una città accogliente, pulita, ordinata, ben amministrata, dovranno fare la loro parte nella buona e nella cattiva sorte. Non sto immaginando il migliore dei mondi possibili, ma l’assunzione di responsabilità comune, una cittadinanza attiva. Credo, infatti, che il quadro fosco fatto dal sindaco corrisponda ad una percezione largamente maggioritaria.