Mulè, vi racconto l’epidemia di Spagnola a Gela (1918)

Mulè, vi racconto l’epidemia di Spagnola a Gela (1918)

Il XX secolo è stato teatro di tre grandi epidemie mondiali (o pandemie) di influenza.

Quella che è rimasta più nota nell’immaginario collettivo, anche nelle nuove generazioni, è stata “La Spagnola”. La sua notorietà è principalmente dovuta al fatto che causò, secondo alcune fonti, qualcosa come 40 milioni di morti, addirittura un numero maggiore di quelli causati dalla Prima Guerra Mondiale.

Tale pandemia, avvenuta nel 1918, fu notevole non solo per il gran numero di morti che causò, ma anche per il suo elevato tasso di mortalità, con punte del 70 per cento in alcune comunità.
La "Spagnola", in gergo medico, è un’influenza di tipo H1N1 dove la sigla H1N1 si riferisce alle due molecole che coprono la superficie del virus: H sta per emoagglutinina e N sta per neuraminidasi; queste due molecole sono quelle che controllano l'infettività del virus, in particolare la prima svolge un ruolo determinante quando il virus deve entrare nella cellula, la seconda entra in gioco quando il virus deve abbandonare la cellula infettata per propagarsi col contagio.


L’infezione prese avvio in un campo militare negli Usa e da lì si diffuse in tutto il mondo tra l’autunno del 1918 e l’inverno del 1919. Mentre la prima Guerra Mondiale volgeva al termine il virus influenzale colpì in 3 successive ondate.

La prima segnalazione del contagio, come si diceva, avvenne nel marzo del 1918 negli Stati Uniti. La prima ondata non destò eccessiva preoccupazione e si esaurì dopo qualche mese. A settembre dello stesso anno una seconda ondata influenzale partì dalla penisola iberica (Portogallo e Spagna), donde il nome "Spagnola", e invase l’Europa. Fu l’ondata più violenta e mieté numerose vittime. Solo in Italia morirono circa 400.000 persone.
Le morti riguardarono soprattutto le persone d’età compresa tra i 20 e i 40 anni; in proporzione ci furono meno morti tra gli anziani, facendo così ipotizzare che questi possedessero un maggior grado di immunità, forse per essere già venuti in contatto con precedenti ceppi influenzali simili.

La trasmissione della “Spagnola” avveniva per tosse o starnuti. Uno starnuto può immettere in aria circa 5.000 goccioline a una velocità di 46 metri al secondo sino a 4 metri di distanza. Tali goccioline possono rimanere sospese nell’aria per più di mezzora. Una gocciolina può originare circa 19.000 nuove colonie di virus. Il Myxovirus A, responsabile della pandemia del 1918, fu isolato nel 1933 da un’équipe di scienziati.
Andiamo adesso a scrivere delle altre due pandemie.

Nel 1957 l’influenza A H2N2, denominata "Asiatica", perché originata nel Sud della Cina, colpì prevalentemente bambini e giovani adulti (tra i 5 e i 19 anni). Una seconda ondata nel 1958 invece colpì maggiormente le persone anziane. La mortalità fu più alta tra le persone con età estreme.

Nel 1968 la "Hong Kong", influenza A H3N2, colpì in modo particolare i giovani dai 10 ai 14 anni. Tuttavia la maggior parte delle morti, seppur limitata, si ebbe tra le persone di età superiore a 65 anni. A rendere benigna la "Hong Kong" fu forse la somiglianza con l’"Asiatica" e quindi la popolazione probabilmente presentava ancora un certo grado di immunità. Alla riduzione della mortalità della "Hong Kong", influì sicuramente anche il miglioramento del trattamento medico con la disponibilità di nuovi antibiotici, con conseguente riduzione delle infezioni batteriche secondarie.

Oltre alle 3 pandemie influenzali, nel corso del XX secolo ci sono state altre epidemie d’influenza. Nel 1976 un virus influenzale ritenuto essere collegato al virus della "Spagnola" del 1918 fu identificato in America a Fort Dix nello stato del New Jersey. Temendo una nuova pandemia, il Governo americano diede avvio a un programma di vaccinazione di massa, tuttavia il virus rimase circoscritto.
Nel 1977 la "Russa", influenza H1N1, che tuttavia sembrò aver avuto origine in Cina, non comportò gravi conseguenze.

Ancora nel 1997 fu isolato a Hong Kong un virus influenzale A, caratterizzato come H5N1, trasmesso all’uomo direttamente dai polli infettati, senza passare attraverso i maiali ospiti intermedi. Interi allevamenti di polli furono così distrutti e l’epidemia si arrestò.

Sempre ad Hong Kong nel 1999 fu isolato un virus influenzale, definito come H9N2, sempre di origine aviaria, che anche quella volta saltò l’ospite intermedio per infettare direttamente l’uomo. In quel caso l’influenza non riuscì a diffondersi.
L’aspetto più preoccupante nelle recenti epidemie influenzali è il nuovo modo di trasmissione del virus influenzale con la possibilità di un’infezione diretta dai polli all’uomo. Nonostante, però, la pericolosità di questo nuovo modo di trasmissione le conseguenze non sono state così drammatiche come nel 1918. Probabilmente l’elevata mortalità della "Spagnola" è da ascrivere alle carenze sanitarie dell’epoca, aggravate dalle difficoltà provocate dall’evento bellico. Tra l’altro, gli antibiotici non erano stati ancora scoperti e molte morti potrebbero essere state provocate da sovra-infezioni batteriche.

Alcune curiosità sulla “Spagnola” si riferiscono ad alcune terapie. Ad esempio, le prime cure mediche per la curiosa febbre da cavallo che essa produceva erano: “dieci grani di Fenazone per abbassare la temperatura, sette grani di tintura di Noce vomica per stimolare il sistema nervoso e sette grani di digitale per sostenere il cuore” di cui si potevano aggiungere “tre grani di carbonato d’ammonio per liberare i bronchi, quindici grani di senna come purgante e venti grani di canfora come stimolante.”Lo scrittore veneziano Tito A. Spagnol diede una definizione assai caustica della terapia allora in voga in Italia: “quattro pastiglie di chinino e un po’ di paglia per morirvi sopra”. In assenza poi di antibiotici e di sulfamidici, qualche medico ricorse agli impacchi caldi, altri a quelli freddi, altri ordinarono di segregare in casa gli ammalati, altri ancora di farli uscire all’aperto sotto le intemperie.

Si ricorse al chinino, alle purghe, alla fenacetina, alle iniezioni sottocutanee di olio canforato e di caffeina “per sostenere la circolazione”. L’aspirina allora sollevava ancora parecchi sospetti, si temeva potesse nuocere al cuore.
Morirono celebri personalità: lo scrittore Edmond Rostand, il poeta Apollinaire, il principe Erik di Svezia, il principe Torlonia, la figlia di Buffalo Bill. Negli Stati Uniti si salvarono per un pelo il Presidente Wilson, il suo successore Roosvelt, Walt Disney e l’attrice Mary Pickford.

Sul fronte italiano la malattia fece la sua comparsa a primavera con una breve epidemia di carattere assai benigno per poi scomparire nel mese di giugno. La Spagnola iniziò di nuovo a mietere le sue vittime da luglio in poi raggiungendo l'apice a ottobre. Questa volta l'affezione, pur se identica a quella primaverile, era caratterizzata da gravi complicazioni polmonari che causavano aggravamenti e improvvisi decessi. A metà ottobre si arrivò, tra le truppe in linea, addirittura a punte di 3.000 nuovi casi giornalieri. Considerando i 375.000 casi di morte causati in Italia dall’epidemia (tenendo conto delle malattie complicanze della stessa influenza e causa di morte la cifra arriverebbe a quasi 500.000 italiani dati statistici del 1925) si può ipotizzare che gli italiani colpiti dall’epidemia furono circa 4,5 milioni su una popolazione di circa 36 milioni di abitanti: una proporzione impressionante.

Anche il paese risentì in modo eccezionale della gravità della situazione tanto che, in Europa, l'Italia poté vantare un tasso di mortalità secondo solamente alla Russia. Le regioni più colpite furono quelle meridionali. In ottobre a Torino i morti arrivavano a 400 a giorno ma non era possibile reperire nessuna informazione dell’epidemia sui giornali. Infatti, il Capo del gabinetto, Vittorio Emanuele Orlando, impose una severa censura. Non solo! Fu proibito il rintocco funebre delle campane, furono banditi gli annunci mortuari, i cortei e funerali, allo scopo di non demoralizzare la nazione.

Nel trimestre giugno agosto 1919 si manifestò la più grave diminuzione nel numero dei nati nel paese, a causa proprio dell’epidemia influenzale che diradò i matrimoni, interrompendo le relazioni coniugali e favorendo interruzioni di gravidanza per aborto o morte della gestante.

A Gela, a livello di mortalità, che andamento ebbe la spagnola? Per tracciarne un quadro, se pur sintetico, abbiamo consultato i registri dei morti nella Parrocchia della chiesa Madre riferiti al 1918. Da essi, non considerando la media dei morti mensili che sembra sia stata intorno alle 50 unità, si desume un numero totale di 580 decessi con la fase parossistica avvenuta nei mesi di settembre e ottobre.

Rispetto alla percentuale di decessi in Italia causati dalla “Spagnola”, che fu di 106 morti per ogni 10.000 abitanti corrispondente all’1,06 percento, a Gela (allora Terranova di Sicilia), facendo il paragone, i risultati dell’epidemia furono significativi, infatti, in base al numero dei suoi abitanti, che era allora di circa 25.000, il numero complessivo di 580 decessi corrisponde al 2,32 per cento, cioè quasi di due volte e mezzo superiore alla media nazionale