La Sicilia continua a spopolarsi sia per le migrazioni di giovani (e non solo) verso il Nord, ma anche per un nettissimo calo di nascite, con cui non si riesce a compensare l'inevitabile ammontare dei decessi che peraltro sono, seppur lievemente, aumentati.
Abbiamo raccolto i dati dell'ultimo quinquennio (2014-2019). Le due aree metropolitane che tengono botta al calo demografico sono quelle di Palermo e Catania, mentre addirittura cresce demograficamente l'ex provincia di Ragusa (a crescere in questi anni è soprattutto Vittoria). Non a caso sono le tre aree dove c'è minore emigrazione fuori dall'isola e maggior accoglienza nell'isola di immigrati.
A ciò, vanno aggiunte ragioni storico-geografiche (Palermo e Catania sono due crocevia tra i popoli), socio-economiche (in termini di servizi per quanto concerne il capoluogo di regione, in termini di risorse industriali /commerciali per quanto concerne l'agglomerato urbano di Catania, basti pensare ai 4 distretti produttivi ed ai grossissimi centri commerciali), nonché agricole e turistico-balneari (vedasi l'area iblea) che spiegano questo trend, a differenza della Città Metropolitana di Messina che segue invece la tendenza regionale, ma con un calo che riguarda soprattutto i tantissimi comuni minori che insistono nell'ex provincia messinese.
Si difendono altresì l’ex provincia trapanese e l’ex provincia aretusea in virtù, specie nel primo caso, di politiche innovative e competitive in pesca ed agricoltura, oltre al turismo balneare, naturalistico e culturale. Altrettanto non può dirsi per l'agrigentino dove attrattive come la valle dei templi e energie alternative (con pochissimo impatto occupazionale) come quella eolica, evidentemente non bastano.
Continua inesorabile, infine, il trend negativo delle aree vaste di Enna e Caltanissetta. Si sa che in un'isola, l'entroterra è solitamente la parte più penalizzata, ma a crescere questo deficit e tradurlo quasi ad isolamento, è il pesante ritardo infrastrutturale. Non è un caso che nelle classifica annuali per povertà, qualità della vita, lavoro e quant'altro, Enna e Caltanissetta occupano permanentemente gli ultimi posti degli enti intermedi dell'intera penisola.
Nell'ennese, ciò ingabbia una realtà viva e turistica come Piazza Armerina che dialoga sul piano commerciale e turistico-ricreativo più con l'area del calatino e del gelese, che col resto dell'ex provincia a cui è stata annessa e da cui ha storicamente reiterato la volontà di andarsene. Idem per realtà come Gela e Niscemi nel nisseno. Niscemi, soprattutto, nel periodo considerato dalla nostra analisi, è quella che paga il prezzo più caro tra i centri più popolosi dell'ex provincia, in quanto a calo demografico, mentre nonostante a dispetto di una pesante crisi industriale che investe Gela ma non il capoluogo, entrambe decrescono di pari passo o quasi.
Vivendo solo di servizi decentrati, sia statali che regionali, Caltanissetta non sarebbe che un paese di montagna. Stesso dicasi per il capoluogo ennese, distante pochissimi chilometri. Una stortura, con tanto di spreco (andrebbero fuse) che solo una politica scellerata continua a mantenere. Gela, peraltro, continua a registrare il tasso di mortalità più basso nel nisseno. Per cui, sicuramente lo sviluppo di altri modelli (socio-economici e culturali) non ha accompagnato la crescita demografica durante il boom industriale, ma non è mancato un certo benessere economico e con esso la possibilità di pagarsi le cure ed i piaceri della vita, durata compresa.
Il problema, con tanto di grosso punto interrogativo, è il futuro. Nella rivoluzione digitale che stiamo vivendo, i dati ci dicono che quella di condividere il futuro di Gela, con un'area vasta già depressa sul piano geografico come quella nissena, messa così male anche per quanto riguarda tutto il resto, sembra proprio essere la peggiore delle ipotesi. Riuscirà Gela a salvarsi