Quest’anno il libro Il Secondo Sesso, della Beauvoir fa, 70 anni dalla pubblicazione, avvenuta nel 1949.
Opera enciclopedica, a tutto campo indaga sulla donna con vari approcci: biologico, psicologico-psicoanalitico, economico-marxiano.
Passati in rassegna tutti e tre gli approcci, Simone de Beauvoir conclude che nessuno dei tre, singolarmente preso, può definire le caratteristiche del sesso femminile, sebbene ognuno ne definisca una parte. Rigetta così il determinismo meccanicistico che voleva la donna definita dalla biologia e dalla Natura.
La Beauvoir va oltre e in linea con la corrente esistenzialista di Sartre, suo compagno di vita e di cultura, afferma che donna non si nasce, ma si diventa.
Rigetta, quindi, il determinismo biologico-psicologico-economico e approda all’individuo e alla sua capacità e possibilità di scegliere, la scelta esistenzialista.
La scelta, si sa, era negata dalla psicoanalisi che con le nozioni di inconscio, coscienza e rimozione aveva tolto all’Uomo la responsabilità e la dignità di una libera scelta.
Secondo l’esistenzialismo, invece, ognuno di noi si fa, e nel farsi costruisce se stesso come individuo unico ed irripetibile. Ed in questo farsi, la donna deve liberarsi dalle catene e rifacendo la celeberrima frase di Marx, “la Storia è storia di lotte di classe”, afferma: “La storia è storia di lotte di sessi”.
E da che cosa si deve liberare la donna? Dalla schiavitù dell’uomo, dal maschio.
La donna, secondo la Beauvoir, è stata resa schiava e sottomessa dall’uomo e cosi si trova oggi in tutte le latitudini, schiava da migliaia di anni in tutte le classi sociali.
A onor del vero, aggiunge che non è stato sempre così. Infatti, ci fu un tempo, nella notte dei tempi, dalle origini e sino alla scoperta del ferro, che la donna non era schiava dell’uomo; un tempo indefinito ma sicuramente di molte migliaia di anni, in cui l’uomo viveva di caccia, di pesca e di allevamento. In quel tempo la forza fisica e l’energia muscolare del maschio non erano importanti; i rapporti uomo-donna erano complementari. Non esisteva ancora la proprietà privata; tutto era di tutti e non esisteva ancora la famiglia come noi la conosciamo. La donna era libera, non apparteneva al maschio e così anche i figli erano liberi.
Tutto cambiò allorquando l’Uomo scopri il ferro. Il ferro poteva essere lavorato solo impiegando una notevole quantità di energia di cui solo l’uomo era dotato per Natura. Questa aveva regalato al maschio un corpo muscoloso da cui si poteva estrarre l’energia necessaria alla lavorazione dei metalli.
L’uomo cosi comincia a sottomettere la Natura, a creare un surplus di ricchezza che rimaneva dopo la sua morte.
Che fare di questa ricchezza? La tramando ai miei figli. Bene, ma come faccio a sapere chi sono i miei figli, sangue del mio stesso sangue? Devo avere una donna tutta mia, solo mia, che faccia figli solo da me e per me, lei ed i figli mi devono appartenere.
Da li nasce la famiglia, la proprietà privata e la schiavitù della donna, oltre che dei figli.
Dovunque arrivò il ferro, in tutte le latitudini e in tutte le classi sociali, questa schiavitù si diffuse su tutta la Terra.
La società divenne maschilista e patriarcale, da matriarcale che era, e lo strumento ed il luogo della schiavitù fu la famiglia.
La donna fu sottomessa e resa dipendente economicamente, e pian piano si creò il mito della natura umana o meglio della natura femminile che è fatta di sottomissione e di passività.
La donna divenne altro, l’altra dell’uomo-maschio, e non ebbe più una definizione propria ed autonoma, ma solo come entità negativa, inferiore e subalterna all’uomo maschio.
Pertanto, la Beauvoir si dilunga in un libro notevole, di oltre 750 pagine, ad analizzare storia, mitologia e letteratura e poi le fasi di sviluppo della donna partendo dall’infanzia alla vita adulta.
Si sofferma inoltre ad analizzare i tipi psicologici di donna narcisista, innamorata e mistica, leggendo tutto all’insegna di una lotta dove non c’è posto per l’amore, la collaborazione, l’armonia fra i sessi. Tutto è guerra infinita, tutto è ipocrisia e falsa coscienza maschile.
E cosi è stato sino all’Illuminismo.
Con la rivoluzione industriale però, per la prima volta dopo migliaia e migliaia di anni, la donna ha l’occasione di liberarsi, di iniziare per lo meno un processo di liberazione dalla schiavitù maschile. Cosa è successo?
Succede che la stessa tecnologia che aveva reso schiava la donna aveva raggiunto un livello di sviluppo talmente elevato da rendere possibile che la donna lavorasse fuori casa ed avesse una sua indipendenza economica.
La donna quindi ha davanti a se una occasione storica che deve prendere al volo, lavorare fuori casa, basta con il lavoro umiliante e ripetitivo di casalinga, lavoro immanente, mai creativo e sempre soffocante, ma un lavoro trascendente come quello maschile, creativo e liberatorio.
La donna, lavorando fuori casa, si sottrae alla famiglia, luogo di schiavitù e acquista l’indipendenza economica. Parimenti si sottrae all’ossessione dei figli e della maternità ad ogni costo, potendosi realizzare anche senza il destino biologico della maternità.
La maternità, infatti, per la de Beauvoir è una schiavitù essa stessa, imposta purtroppo dalla Natura alla donna, è un handicap rispetto all’Uomo che è libero, meno natura della donna e quindi più Spirito e più Trascendenza nel senso hegeliano del termine, sin dalla nascita. E se l’uomo è portato per Natura alla trascendenza, la donna invece è immanenza, ciclicità, ripetizione.
Ma la donna, grazie allo sviluppo tecnologico, può e deve colmare questo svantaggio iniziale, può e deve recuperare e, solo cominciando a lavorare fuori casa, può intraprendere un processo di liberazione che non è un processo di gioia o felicità o amore, ma di lotta, di allontanamento dal luogo della schiavitù – la famiglia – e di negazione dello strumento della schiavitù – i figli – e quindi no a famiglia, marito, gravidanza, figli, allattamento .
Cogliete l’occasione donne, andate a lavorare fuori casa, fate come gli uomini!
Questo fu il messaggio.
E molte lo colsero al volo, le femministe ne furono appassionate e per la maggior parte aderirono al messaggio esistenzialista della de Beauvoir.
Andarono a lavorare fuori casa, e sancirono la fine della famiglia tradizionale come luogo di schiavitù millenaria, la fine delle gravidanze, come forma di liberazione.
Il ’68, poi, diede una notevole spallata al processo di liberazione femminile da cui ne derivò la legge sul divorzio e la legge sull’aborto.
A 70 anni di distanza dalla pubblicazione de “Il Secondo Sesso”, cosa si può dire, cosa è rimasto?
Oggi molte donne lavorano fuori casa, hanno uno stipendio proprio ed una propria autonomia finanziaria. E non devono chiedere nulla al maschio.
Ma sono liberate? Oggi che in Italia abbiamo 4 milioni di divorzi, le donne sono più libere? Oggi che le donne non fanno più figli e che la denatalità ha provocato la necessità di immigrati da importare dall’Africa, come sostengono alcuni, la donna è più libera?
Oggi che il numero delle nascite è almeno quanto il numero degli aborti, la donna è più libera?
Oggi che la donna deve sobbarcarsi quasi sempre di un doppio lavoro, in casa e fuori casa, una doppia schiavitù, secondo alcuni, è più libera?
Ma io direi soprattutto, è più felice? Perché, che senso ha una liberazione se nello stesso tempo non si accompagna ad una maggiore felicità?
Oggi, a regime postcapitalistico, oggi che la donna è in una guerra con il maschio in fase avanzata, è più realizzata rispetto a prima dell’Illuminismo, quando era “umile e sottomessa” e non si sognava di fare la guerra al maschio? Se è vero che la donna ha avuto una occasione storica grazie all’industrializzazione che le ha dato l’opportunità di lavorare fuori casa e di essere autonoma dal punto di vista economico, è anche vero, però, che questa opportunità era un bisogno vitale del capitalismo nella fase di sviluppo che stava attraversando nella prima metà del novecento.
(1 – Continua nel prossimo numero)