Sabato 27 ottobre 2018, Gela si è mobilitata sulla scia degli ultimi attentati incendiari che hanno interessato alcune attività commerciali.
Le locali associazioni di categoria, volontariato e sindacali, si sono mosse spontaneamente per organizzare una manifestazione che andasse ben oltre i semplici attestati di solidarietà ai singoli malcapitati, come avviene sovente in questi casi, per poi lasciarli da soli, abbandonati al proprio destino. Si è preferito non procedere in corteo per evitare che il tutto si traducesse in una passerella. Sul palco, allestito presso la rotonda est di Macchitella, proprio a fianco di uno dei locali commerciali dati al rogo, le richieste avanzate sono state quelle di una maggiore sicurezza, a mezzo di videosorveglianza, più forze dell'ordine presenti soprattutto la notte ed altro. L'obiettivo, pienamente raggiunto, era quello di evidenziare che a Gela esiste un problema sicurezza e che è giunta l'ora che vada affrontato a dovere da chi ne ha la competenza ed il potere.
Impressionante la presenza degli studenti, il futuro di questa città. Una partecipazione, la loro, a dir poco confortante. Ma non altrettanto possiamo registrare sulla presenza delle famiglie. Ad esempio, se non entrambi ma almeno uno dei genitori avesse accompagnato ogni singolo studente presente, l'affluenza sarebbe stata ben maggiore e ben più rappresentativa. Inoltre, diversi commercianti, artigiani ed esercenti, non hanno abbassato le saracinesche nelle due ore in cui erano stati chiamati a farlo, nonostante le rispettive associazioni di categoria fossero tra i principali propulsori dell'iniziativa. Probabilmente qualche errore è stato commesso, il tempo a disposizione è stato presumibilmente troppo poco o magari è verosimilmente prevalso il timore di ulteriori ritorsioni. Quest'ultima ipotesi, se avvalorata, peraltro confermerebbe che il problema sicurezza a Gela esiste ed è semmai un'emergenza.
Il messaggio predominante passato attraverso i media, altresì, è stato quello del “No alla Mafia”. E ciò è stato un limite. Gela dice “No alla Mafia” da quando la guerra di mafia esplose negli anni '90. Va bene che “repetita juvant”, ma non può sempre passare il messaggio che Gela debba dimostrare, ogniqualvolta, che prende le distanze dalla criminalità organizzata, come una sorta di condanna all'infinito. Dovrebbe essere, oramai, un dato di fatto assodato. Anzi, le ultime vicende politico-giudiziarie suggeriscono di evitare di definirsi enfaticamente “antimafia”.
Molto più prudente e sobrio definirsi “contro la mafia”, anche se le due cose dovrebbero coincidere: le recenti cronache, però, svelano che non è così. Soprattutto, se doveva essere solo una manifestazione “antimafia” la si chiamava di conseguenza. Chiamarla “Vertenza Gela” ambisce ad altro e di più. Non si rivendica solo “più sicurezza”, ma anche “più investimenti e lavoro”, “più servizi ed infrastrutture”, “più cure e salute”, in estrema sintesi “più attenzione” per questo territorio martoriato.
Gli organizzatori, che hanno evitato di salire sul palco per non farsi strumentalizzare dalle polemiche, hanno tenuto a precisare che la manifestazione di sabato scorso è stato solo il punto di inizio, per cui ci sarà modo più avanti per snocciolare anche le altre questioni. Ciò richiede evidentemente la nascita ed il lavoro di un gruppo di coordinamento che pianifichi interventi, collaborazioni e contributi futuri, in modo da assicurare nel tempo continuità a questa iniziativa, onde evitare che rimanga isolata e soffocata negli effetti, come purtroppo altre nel passato.