Che fine hanno fatto i soldi? Il mistero del dissesto gelese

Che fine hanno fatto i soldi? Il mistero del dissesto gelese

Che Gela non si facesse mancare niente è un fatto acquisito

. Colleziona peculiarità difficili da riscontrare altrove, senza che alcuna riesca a regalare un respiro di sollievo a chi ci abita o a chi, a causa di una inguaribile (ed incomprensibile) nostalgia. Occorre aggiungere un’altra stranezza, profittando della vigilia elettorale, che presto modificherà gli assetti amministrativi locali con un nuovo sindaco ed un nuovo consiglio comunale.

Il cono d’ombra creato dalle innumerevoli occasioni perdute e dallo stallo di una città malgovernata, lascia passare ora una luce, seppur fievole, la stessa che raggiunge l’accanito giocatore della celebre schedina: la speranza nel giorno di vigilia che le cose possano cambiare. Chi crede nei miracoli offre infatti alla schedina, o alla Lotteria di Capodanno, il potere di farci uscire dal cono d’ombra e cominciare un’altra vita, cui si ritiene di avere diritto. 

Il Comune di Gela è afflitto, come ognuno sa, dai conti in rosso. Un rosso così profondo da fare scattare la tagliola del dissesto finanziario, che si traduce in una serie di regole restrittive che condizionano pesantemente la gestione amministrativa sia nella quotidianità quanto nella pianificazione degli interventi e nella predisposizione dei servizi. 

Il dissesto finanziario non è una tegola che cade sulla testa d’improvviso a causa del fato ingrato, ma il risultato di una gestione amministrativa poco oculata ed in qualche caso di sprechi, investimenti sbagliati, manica larga e debiti. Il quadro di riferimento, invero, preso così a grandi linee è pressocché simile ovunque esso è stato dichiarato con un provvedimento delle autorità di governo (nazionale) che togli una fetta importante di autonomia locale.

A Gela, tuttavia, questa condizione fisiologica, che precede l’intervento di curatela, si carica di significati e assurge a un caso a sé. Il comune riceve infatti le royalties derivanti dall’estrazione del petrolio. 

Il giornalista Franco Gallo, navigato conduttore di un format locale che si chiama Agorà, ai suoi ospiti – i candidati sindaco – ha posto una domanda semplice quanto inquietante: “Mi spiegate come ha fatto il comune di Gela ad entrare nel tunnel del dissesto finanziario, dal momento che incassa dieci-dodici milioni di euro l’anno grazie alle royalties?”

Il quesito, per certi versi sconcertante, nonostante la sua prevedibilità ha colto di sorpresa i candidati (Di Stefano, Scerra, Franzone, Donegani, Cosentino ) almeno così mi è sparso. Di che cosa si sarebbe dovuto parlare se non del dissesto finanziario a fine mandato, visto che esso influenzerà le scelte e la politica amministrativa dei futuri consiglieri comunali e del prossimo sindaco? Le risposte sono apparse un balbettio incomprensibile.

Le ho ascoltate in religioso silenzio, sperando che arrivassero prima o poi lumi sulle cause del dissesto, e sulle linee di conduzione della complessa macchina amministrativa, che sarà costretta a segnare il passo per la vigilanza ed il controllo della spesa da parte delle autorità contabili. Le cause, se ben riferite, avrebbero potuto offrire all’opposizione politica, presente nell’elettorato gelese, le corrette motivazioni per punire alle urne gli schieramenti che hanno amministrato la città.

Le buone pratiche e i propositi di contenimento della spesa per il futuro, se ben descritti, avrebbero d’altro canto offerto elementi utili per scegliere i nuovi amministratori. Invece il mistero sul dissesto finanziario nella città che incassa le royalties è rimasto inspiegato ed inspiegabile. E’ prevalso il vecchio detto che la migliore parola è quella che non si dice? Il silenzio è la spia di una consuetudine? O non erano informati? Omertà politica, salvaguardia di casta?

Di sicuro non avevano il diritto di tacere, non essendo davanti ad un magistrato inquirente, ma l’obbligo di informare. Ed hanno fatto male ad adottare il silenzio, se è prevalso questo atteggiamento consapevole. Azzardo una ipotesi, la peggiore: non hanno studiato la questione del dissesto, che avrebbe dovuto trovarsi in cima ai loro pensieri. Con l’eccezione di chi al comune c’è stato per più di trenta anni e non avrebbe dovuto avere bisogno di studiare per sapere come si si sono spesi i soldi pubblici. 

Fra i candidati sindaco due, in particolare, non potevano non sapere: l’ex vice sindaco, Terenziano Di Stefano, e la dott.essa Cosentino, che vanta 36 anni di servizio all’apice della carriera burocratica. Terenziano ha sbattuto la porta, è vero, al sindaco Greco, ma qualche idea prima dell’abbandono rumoroso avrebbe dovuto farsela e riferirla.

Gli argomenti adottati dall’ex vice sindaco, Di Stefano, purtroppo non ve li posso riferire, perché non ci ho capito niente, ma non escludo che una qualche responsabilità devo avercela se dopo mezzo secolo di “mestiere” – riferire ciò che gli altri dicono – il mio notes è rimasto vuoto. 

La risposta della candidata Cosentino è apparsa esitante e disinformata. La riassumo in rapida sintesi: mi sono occupata di altro, non ho alcuna nozione degli atti di spesa, gestione finanziario esulava dalle mie competenze. Il dissesto? I vecchi debiti sono lievitati nel tempo; e poi c’è da calcolare l’evasione fiscale. 

Il mistero si infittisce grazie a Franco Gallo, il conduttore, che ha evocato il sindaco uscente, Lucio Greco, ricordando il suo giudizio lapidario sullo stato di salute dei conto: “Gela è un comune virtuoso”.

Ne dobbiamo dedurre che il comune di Gela, destinatario di somme ingenti (le royalties), e dotato di comportamenti virtuosi nella gestione delle spese, sia stato colpito dalla celebre tegola? Il talk-show andrebbe studiato nelle aule universitarie, i giovani capirebbero come sarà il mondo cui stanno per entrare. 

Agorà ha affrontato altri temi, oltre al dissesto finanziario. Ne richiamo uno: l’invio della lista dei candidati alla commissione di vigilanza antimafia onde evitare che vengano presentati gli impresentabili, obbligo sul quale tutti i candidati sindaco hanno mostrato grande sollecitudine, promettendo che non si sarebbero sottratti a questa pratica virtuosa.

La questione non mi appassiona. Gli impresentabili, come dice la parola stessa, i partiti non dovrebbero tenerli nemmeno dentro le formazioni politiche, e invece ci restano e sono ben considerati; riescono a restare perfino nel governo e, se candidati, ricevono suffragi a pioggia. Mi sono chiesto se i carichi pendenti, si chiamavano così una volta, possa mettere a pace la coscienza dei maggiorenti e se non sia invece assai più rassicurante potere contare su amministratori che dicano le cose come stanno, per esempio a proposito di come si spendono i soldi pubblici. 

Non lancio sospetti di malandrineria, ma interrogativi sulla buona gestione politica del bene pubblico. Aggiungo qualche altra considerazione, che concerne la specialità di Gela: il bipolarismo c’è, ma è volatile, fugge a se stesso.

Centrodestra ed centrosinistra si schierano, ma i partiti di cui si compongono sembrano scappati di casa. Il Pd ha rinunciato ad un candidato sindaco di bandiera, FdI è distribuito su più fronti, come la Lega e Forza Italia. Ne esce meglio il Movimento 5S, che piazza una sua creatura ai nastri di partenza per la partita più rilevante, la sindacatura. Il patriottismo di schieramento, a banda larga, sostituisce così le bandiere di partito tradizionali. 

E’ un segno dei tempi? 

Mah, in controtendenza, questo è certo, con l’orientamento populista centrale, dove il Presidente del Consiglio si è spogliata del cognome affinché il popolo familiarizzi con il suo nome, a riprova della sua origina popolana. Leaderismo di borgata o di sapore sudamericano, si affaccia con la pazienza ed i tempi che servono, senza abiure: la Fiamma post-ventennio riscalda i cuori, il busto di Mussolini le gerarchie. 

Gela non c’entra niente con tutto questo? 

Lo scopriremo presto, insieme al resto degli italiani. Per intanto meditiamo sui silenzi dei candidati sindaco, il loro balbettio, e sulla fiducia redentrice nell’edilizia manifestata dalla candidata sindaco Cosentino durante l’Agorà di Rete Chiara.

Una edilizia satura del bonus 110 per cento, con il concorso di rimborsi sommari, doni ai condomini e qualche traccheggio, affidato ad una sapiente regia gelese. Che si sarebbe conquistata il podio su scala nazionale per efficienza e risultati raggiunti, realizzando nel solo quartiere di Macchitella il record di ristrutturazioni per le quali non si bada a spese. 

A spese nostre, s’intende; anche di quelli che una casa se la sognano.