Nell’ultima tornata elettorale il Paese ha indossato l’abito civico: c’è stata una fioritura di liste civiche un po’ ovunque, ma soprattutto nel Mezzogiorno.
Un vento che è soffiato, forte e inarrestabile, anche su Gela: una “ddraunara”, che ha gonfiato le vele delle liste civiche, portando al successo il sindaco in carica, Lucio Greco, e una lista di riferimento. Decapitati i simboli di partito, è stato l’annuncio di una nuova era: la riscoperta della cittadinanza attiva, di una volontà di riappropriarsi di un’etica che i partiti non avevano più.
Un movimento d’opinione temporaneo a dimensione locale, che in alcune città, non solo a Gela, ha ottenuto una valanga di consensi con programmi locali composti da personaggi noti nel territorio e non necessariamente legati a carriere politiche. Chi ha pronosticato il de profundis dei partiti, però, ha dovuto ricredersi.
Le cose sono andate diversamente, invece dell’anno zero del civismo, sono tornate le vecchie bandiere. Un’autentica beffa. Il tradimento del civismo ha tante motivazioni, è la conseguenza, in più casi, di un peccato originale. Laddove è nato per mascherare le appartenenze, la sorte del civismo era segnata al primo vagito. Sarebbe stata una questione di tempo e di circostanze.
A Gela la primavera del civismo contiene una peculiarità, o più precisamente, una anomalia: sono i partiti, con loro decisioni, a fare un passo di lato con l’intento di farsi dimenticare. Un mascheramento strumentale, dunque, non una scelta di campo. La società civile non ha voce in capitolo, rimane in disparte, come testimoniano le candidature selezionate nella militanza e nella nomenclatura.
Perciò appare sorprendente che il mondo politico sia indignato del voltafaccia di chi attraversa, per l’ennesima volta, il Rubicone, tornando a casa, al momento giusto, per servire la sigla di appartenenza, cui non ha mai, di fatto, abiurato. Tatticismo, nient’altro che tatticismo. Gli elettori gelesi avrebbero più di una ragione per giudicare con severità gli strateghi dei partiti.
Ciò non significa, tuttavia, che la beffa giustifichi riprovazione e indignate reazioni. Troppo adusi alle capriole ed ai voltafaccia, del resto, gli elettori non possiedono più sensibilità tali da suscitare, se non una rivolta, almeno un acceso dibattito. Le critiche all’abbandono del civismo vengono da chi di esso si è servito per una ragione o l’altra.
Il tradimento è passato inosservato, quasi come fosse nell’ordine delle cose: al giorno segue la notte, allo scirocco il temporale, ed alla primavera gli alberi in fiore, al vessillo bianco succede quello nero. Calamità naturali, se viste da chi ancora s’indigna; machiavellismo insito alle logiche politiche, che non hanno alcun dovere di rispettare alcuna etica.
C’è un caso Gela nell’abbandono delle liste civiche? Certo che sì, a Gela la lista civica di riferimento del sindaco in carica, l’ammiraglia, è nata grazie a una sorta di patto di non belligeranza fra le forze politiche più solide; grazie al patto si è rinunciato alla bandiera del civismo. Tutti insieme, con il solo obiettivo di vincere e di occupare il maggior numero di scranni consiliari. Una fioritura ibrida, dunque, il civismo gelese, dalla quale non è venuto frutto buono. Né poteva essere diversamente. E’ stato un matrimonio d’interesse, che non lasciava prevedere un talamo comune.
La maschera civica, finita la rappresentazione teatrale, cioè la consultazione elettorale, è stata dismessa con nonchalance, secondo una tempistica di convenienza, carica anche questa, di significati. In una prima fase, appena alle prime battute del nascente governo locale, i consiglieri eletti nella lista civica – non tutti, ma una parte – si è sfilata, marcando una netta separazione, per inalberare le vecchie bandiere.
Il sindaco, Lucio Greco, ha composto la giunta prendendo atto della nuova realtà. Dopo l’abbandono del civismo, da parte dei consiglieri eletti nella lista vittoriosa, il sindaco si è sempre più avvicinato alla parte politica nella quale ha militato, Forza Italia, ma lo ha fatto con estrema cautela.
Questo avvicinamento è apparso evidente solo di recente in una circostanza particolare: l’incontro ufficiale di Greco con il presidente dell’Ars, Gianfranco Micciché, strenuo antagonista del Presidente regionale uscente, Musumeci. Di quell’incontro conosciamo la motivazione formale, la realizzazione del rigassificatore a Gela, ma non altro.
Alla luce di molti episodi, emersi alla vigilia della campagna elettorale, è legittimo sospettare che si sia parlato anche d’altro, per esempio, assegnare a Gela il ruolo di contenitore delle istanze di Arcore, legate alla stabilità della corte del monarca, Berlusconi, e alla conquista di Palazzo d’Orleans. Il voltafaccia di Lucio Greco è debuttato con un endorsement spettacolare in una affollata manifestazione elettorale nel più prestigioso sito comunale, il teatro Eschilo.
Il primo cittadino non si è fatto scrupolo di ricusare il credito politico richiesto ai suoi cittadini alle urne per tirare la volata al partito che diceva di avere abbandonato Forza Italia, e si è caricato del fardello che ciò comportava. Forza Italia, infatti, nel collegio elettorale gelese, il primo nella storia elettorale della città, propone candidati milanesi, sottraendo seggi elettorali, alla città.
E’ come se Greco avesse rinnegato, politicamente, due volte il suo elettorato: la prima, mandando alle ortiche il civismo, la seconda, facendo torto al localismo per sponsorizzare candidati che non hanno mai messo piede a Gela. Non si tratta di campanile, ma di democrazia: il territorio ha il diritto di essere rappresentato da parlamentari che lo conoscono, lo vivono, hanno interesse a valorizzarlo.
Lucio Greco non vuole sentirsi accusare di tradimento politico, tanto da reagire con asprezza alle recenti rimostranze, ovviamente interessate, del Pd. E qualche ragione potrebbe avercela, ma bisogna cercarla con il lanternino. Il Pd, infatti, ha dismesso il proprio simbolo, partecipando alla campagna elettorale con Greco-sindaco, merita il concorso di colpa. E chi è causa del suo male, pianga se stesso, verrebbe da dire.
Le motivazioni del paracadutismo elettorale sono tante, al pari della confortevole scelta di ammainare bandiera e usare il civismo: sarebbe faticoso elencarle; la più importante mi pare la rinuncia a misurarsi con gli avversari, temendo un risultato imbarazzante.
Paracadutismo e civismo hanno così in comune qualcosa: la viltà e la pigrizia delle nomenclature di partito, la flessibilità dell’appartenenza, i deboli interessi comuni, la perdita dei valori iniziali. La maschera è stata adottata per nascondere una imbarazzante malafiura; candidature off shore per servirsi dello “zoccolo duro” di consensi elettorali.
Insomma, le accuse di tradimento rivolte dal Pd al sindaco Lucio Greco, hanno un loro fondamento, del quale non è possibile tacere. Lucio Greco non può rivendicare alcuna giustificazione per farsi perdonare l’endorsement a favore di Forza Italia.
L’ho fatto, ha detto, perché attraversiamo un momento che impone responsabilità. Greco scende in campo, perché non può tirarsi indietro? Sono tempi che non consentono di rimanere nelle retrovie? Per il bene del Paese? Per le fortune di Forza Italia? Per la sorte di Gela? Per non essere accusati di viltà?
Credo che sia stato coinvolto in strategie più grandi di lui, e che sia stato il terminale – non lo confesserà mai, se fosse così – di una pianificazione accurata del futuro politico di Forza Italia, partito che sta in coda all’alleanza di centrodestra e che viene governato da un monarca assoluto, che mette in cima la inderogabile necessità di assicurare alla corte uno scranno parlamentare.
Le mie sono congetture, non il vangelo, ma temo di non essere lontano dalla realtà, se affermo che senza il placet di Lucio Greco, candidate come Michela Vittoria Brambilla e Stefania Craxi, non sarebbero state catapultate nel collegio di Gela (a danno dei candidati locali).
Della partita doppia fanno parte, naturalmente, le consultazioni regionali. Renato Schifani, per il quale il sindaco si spende e la candidatura del presidente del Consiglio comunale di Gela, Salvatore Sammito alle regionali, sono parte del pacchetto elettorale forzista completo. Secondo gli analisti locali, quella di Sammito sarebbe una candidatura di supporto, che ha lo scopo di portare più acqua al mulino di Schifani e di Michele Mancuso, deputato regionale uscente, nisseno e, quindi, obbligato a accreditarsi, ancora una volta, come deputato di Gela, ed assicurarsi il consenso necessario a fare scattare il seggio, aprendo la porta a candidati forti ma non troppo.
A conti fatti, quindi, il civico Lucio Greco, comunque vada, resta il padrino politico di tre candidati – due alle nazionali, uno alle regionali – affatto civici, anzi, estranei agli interessi locali. Vaso di coccio, uomo di paglia, pedina di una partita a scacchi condotta da monarchi, oligarchi e nobili decaduti?, Indifendibile, in ogni caso.
Gela è stata penalizzata, potrebbe non avere riferimenti in parlamento. Le responsabilità del sindaco “civico” sono gravi. Il contraccolpo potrebbe arrivare in consiglio; è prevedibile una fase di instabilità se non addirittura una crisi. Coloro che hanno contribuito alla elezione del primo cittadino non sono affatto felici. Si sentono, indirettamente, degli utili idioti. Non lo sono, certo; ma fino a che punto?
Post scriptum. Il re di Arcore ha regalato a Gela Vittoria Brambilla, record di assenteismo in Parlamento con il 99,16 per cento di assenze. Piazza Pulita (La7), ha provato a chiederle ragione della disaffezione e della sua candidatura a Gela, e non a Lecco, città di residenza. Invece che spiegare l’esborso dell’erario, la senatrice è scappata via.
E la sua segretaria, da remoto, ha dato la sua versione, con un tono sostenuto: “L’onorevole, ha detto, si fa un culo come una capanna, per raccogliere le merde dei cani tutti i giorni dell’anno, invece che andare alla Camera a pigiare il bottone…”. Prendiamo atto, ma allora perché rivuole uno stipendio di quasi quindicimila euro al mese per spalare la merda? Venga a Gela a spalare, invece che chiedere il voto.