Gela l’ho vissuta prima e dopo gli anni dello sconvolgimento che seguì la costruzione del petrolchimico.
Gli anni del boom economico, del petrolio e della raffineria. Quando la frenesia del lavoro e l’ubriacatura per il nuovo si sovrapposero acriticamente al vecchio. Quando ciò che era antico fu considerato irrimediabilmente vecchio e superato.
Furono gli anni della grande immigrazione in un territorio che non era stato preparato a subirla.
Una immigrazione che ha finito per distruggere ciò che era questa città e preparava il terreno a ciò che sarebbe diventata. Una immigrazione concentrata nel nuovo quartiere Macchitella ove si coltivava la cultura dell’apartheid e prima ancora attorno alla città esistente con una pressione demografica che finì per determinare l’incontrollato caos urbanistico e l’assenza di servizi.
Soprattutto si registrò il paradosso dell’emigrazione gelese che continuò inarrestabile nonostante la grande richiesta occupazionale dell’Anic spa contribuendo anche per questa via a peggiorare il rapporto ponderale immigrati/residenti originari.
I nuovi arrivati via via divennero maggioranza e pur tuttavia per lungo tempo continuarono a considerare estraneo il luogo che li ospitava. Iniziò la distruzione di tutto ciò che aveva dato lustro alla cittadina: si insabbia e alla fine si distrugge il lido “La Conchiglia”, Il turismo langue e i pullman che giungevano al Museo Archeologico non arrivano più, crolla una parte del pontile e viene ricostruita senza curarsi delle caratteristiche strutturali e architettoniche preesistenti, il porticciolo si insabbia e distrugge la marineria residuale e perfino la diportistica, i mulini, gli sgranatoi e i pastifici vengono demoliti.
La marineria e le sue imbarcazioni spariscono, gli alberghi chiudono, le carrozze con i loro cavalli smettono di svolgere il loro servizio, il palco della musica viene demolito, il cotone, un tempo la coltura più pregiata, smette la sua produzione, l’agricoltura viene dimenticata e le campagne abbandonate. Persino alcune feste religiose cessano di esistere. Emblematica quella del Santo Padre (San Francesco di Paola) che univa in un'unica festa, contadini, marinai, artigiani, professionisti e impiegati.
I nuovi arrivati non di rado giungono a disprezzare il luogo che dà loro da vivere. Segni di tali comportamenti emergono improvvisi come i vulcanelli di Maccalube. Forse illudendosi che tale atteggiamento li esima dal sentirsene corresponsabili.
La verità è che tutti siamo responsabili di ciò che accade, nel bene e nel male. Ci rendiamo responsabili non denunciando i soprusi, non reprimendo le violazioni della convivenza civile, non controllando che si rispettino le regole, parcheggiando in doppia fila, parcheggiando in modo disordinato sprezzanti del fastidio che procuriamo agli altri, e alla stessa scorrevolezza del traffico, mettendo la spazzatura negli orari non prescritti e in luoghi dove non è consentito, non curandoci dell’ambiente e rifiutandoci di conoscere la verità, costruendo abusivamente e in violazione delle norme edilizie; non rispettando le code agli sportelli o ai supermercati.
Siamo corresponsabili quando cerchiamo di primeggiare a danno di altri magari più capaci, quando ci facciamo divorare dall’invidia piuttosto che dalla emulazione, quando pretendiamo per un lavoro che l’amico ci scelga a dispetto dei meriti e delle sue stesse possibilità.
Gela è ancora un grande crogiolo in ebollizione dove si mescolano diversità, idee e culture. Gela è tutto ciò che qui è arrivato in un determinato momento della sua storia, ma non ha più, non ha ancora, una identità riconoscibile. In questo contesto le negatività si esaltano, mentre le positività, pur innumerevoli, passano inosservate. La più interessante di esse è che Gela ha una vitalità culturale, artistica ed associativa che difficilmente si riscontra in altri luoghi d’Italia, eppure è poco percepita e poco valorizzata perché la depressione economica ed occupazionale annichilisce le menti e le iniziative dei più capaci e più coraggiosi, finiscono per trasferirsi altrove.
Se questo è il quadro di riferimento come vedo Gela nel prossimo futuro? La vedo positivamente se saprà accompagnarsi ad un grande progetto culturale e politico che contribuisca a far crescere la consapevolezza di ciò che siamo, di ciò che siamo stati e di ciò che saremo. Senza questa attenzione è alto il rischio che la città sbandi. Perciò penso che tra i primi impegni delle prossime amministrazioni debba esserci la Cultura.
Questo è il contesto, l’humus per immaginare la Gela di domani, una città che ha inizialmente immaginato un Accordo di Programma (Adp) per lo sviluppo della città che doveva inglobare in se il Protocollo d’Intesa del 2014 per superarne i limiti, un Adp che mirava alla diversificazione in settori alternativi all’indotto petrolifero attraverso la realizzazione di un progetto articolato in sei Assi di intervento, tra i quali la trasformazione, il risanamento e la valorizzazione dell’ambiente Urbano, e ha finito per rifugiarsi nell’Adp attuativo del progetto Mise per le Aree di crisi complessa, lasciando vivere in autonomia il Protocollo del 2014.
Per i prossimi anni immagino una città bonificata, priva delle emergenze della raffineria, una economia capace di integrare l’industria, l’agricoltura, il turismo, la marineria e la portualità con l’economia del resto dell’Isola. Una città inserita nelle Zone economiche speciali (Zes) dalle quali ricevere impulso produttivo.
Con le infrastrutture che la colleghino agli aeroporti di Catania e di Comiso e ai porti di Catania ed Augusta, con professioni dinamiche capaci di rapportarsi con il resto della Sicilia e con l’Europa, come ben sottolineava Giuseppe Clementino nel suo intervento sullo stesso tema in questo stesso settimanale. Con le proprie emergenze storiche, monumentali e ambientali protette e nello stesso tempo utili e funzionali alle piccole economie.
Immagino una Amministrazione pronta e disponibile ad incentivare le attività imprenditoriali, e cittadini pronti a collaborare e a fare la propria parte in un contesto di equità e di parità di trattamento. Immagino le periferie risanate e dotate di servizi, con fabbricati finiti con facciate e colori armonici. Una città finalmente pulita, dotata di monumenti e con un sistema museale efficiente. Con i progetti già elaborati portati a compimento, Una città che ama i fiori e desidera curarli sui davanzali delle proprie finestre.
Una città la cui amministrazione pubblica svolge un lavoro minuzioso anche se non appariscente, condotto da gente capace, competente e onesta, rispettosa del prossimo e dei ruoli, che sappia dare continuità amministrativa migliorandola di volta in volta, capace di realizzare una dialettica democratica e positiva tra Giunta e Consiglio Comunale finalmente all’altezza del compito assegnato, ma soprattutto, ed è ciò che più conta, che ama sopra ogni cosa questa città, perfino più di se stessi.
Si, più di se stessi, perché per la nostra città e per la nostra Sicilia è ancora, purtroppo, tempo di eroi.
Immagino tutto questo con l’auspicio che finita la comprensibile tensione per la battaglia elettorale, ci sia collaborazione tra guelfi e ghibellini, ma perché ciò accada è necessario il rispetto tra gli individui e che gli strali raggiungano le idee che si ritengono sbagliate, non gli uomini che le sostengono.
E’ difficile perseguire questo atteggiamento, ma così è. Unione dei Siciliani farà la sua parte, considerando, fin da ora le idee e i progetti patrimonio comune e riconoscendo il merito a chi riuscirà a portarli a compimento.
(fine 1ª parte)