A Gela e in generale in Sicilia sono sempre più frequenti le denunce nei confronti degli operatori sanitari che coinvolgono personale medico e paramedico accusato di imperizia o negligenza nello svolgimento della prestazione.
Non stupisce che ciò avvenga in un contesto – il Meridione – sempre più tristemente caratterizzato da una condizione generale di malasanità.
Per valutare il comportamento del medico bisogna graduare la sua colpa. A tal proposito si deve ritenere generalmente valido il principio stabilito dall’art. 2236 cc secondo il quale “se la prestazione indica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non nei casi di dolo e colpa grave”.
Per il tramite dell’art. 2236 cc, il concetto di colpa grave è trasmigrato sul terreno della responsabilità penale del medico, avallando decisioni della Suprema Corte.
Imprudente è quel medico che mostra di non tener conto dei rischi cui espone il paziente: sarà imprudente, quindi, non colui che usa mezzi diagnostici o terapeutici rischiosi ma chi li usa senza un’effettiva necessità.
Negligente è quel medico che mostra trascuratezza, disinteresse e superficialità nei confronti del suo assistito e che omette, quindi, accertamenti e terapie che la maggioranza dei suoi colleghi nelle medesime condizioni avrebbe attuato.
E’ così che la divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi sulla base della norma cautelare che avrebbe dovuto osservarsi rappresenta il primo e più importante elemento di valutazione per gli organi inquirenti e giudicanti. Esso si compone di diversi indicatori quali le specifiche condizioni del soggetto agente e il suo grado di specializzazione, la situazione ambientale, di particolare difficoltà in cui il professionista si è trovato a operare, l’accuratezza nell’effettuazione del gesto clinico, le eventuali ragioni di urgenza, l’oscurità del quadro patologico o lo scenario di atipicità e novità della situazione data.
Il criterio di massima sancito ormai da giurisprudenza costante è che si può parlare di colpa grave solo quando si è in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato secondo le raccomandazioni contenute nelle linee guida di riferimento. E’ poi chiaro che tanto più la vicenda risulta problematica, oscura, equivoca o segnata da impellenza, tanto maggiore dovrà essere la propensione a considerare lieve l’addebito nei confronti del professionista.
Le linee guida, pertanto, operano come direttiva scientifica per gli esercenti le professioni sanitarie in riferimento al caso concreto e ciò sia rispetto ai profili di perizia che in genere di diligenza professionale.