Per ragioni storiche prima di tutto, ma anche politiche e socio-economiche, tra distruzion, ricostruzioni, pianificazioni frastagliate, assenza di controlli, espansioni anarchiche e via discorrendo, Gela si ritrova l’essere uno dei centri urbani più estesi e più disordinati, a tratti financo confusi, dell’isola: tra i vicoli ciechi del centro storico, la variante a scacchiera dei quartieri di Terranova, l’irregolarità dei rioni popolosi che si affacciano sulla Piana di Gela e lo sviluppo ad ovest di quartieri residenziali con tanto di villette, fino alla frazione di Manfria.
Quest’ultima deliberata in quanto tale dal consiglio comunale oltre una decina di anni fa, ma mai riconosciuta come tale sia dall’amministrazione allora in carica che da quelle successive. Nel 2004 un gruppo di cittadini riuniti nel “Comitato Autonomo Torre di Manfria” decise di rompere gli indugi e di mettersi all’opera per rivendicare l’istituzione della “frazione” di Manfria, località balneare fino ad allora – ed ancor oggi – priva di rete idrica, fognaria e servizi pubblici elementari.
Venne redatto un piano di studi e relazioni che facevano leva su 5 aggregazioni urbane, site in “Manfria”, “Roccazzelle”, “Montelungo”, “Femminamorta” e “Rabbitto”, con un popolazione complessiva di poco meno i mille residenti. La proposta passò in consiglio comunale con delibera n. 6, esitata favorevolmente nella seduta del 24 gennaio 2006. All’unanimità, perché i requisiti a norma di legge c’erano tutti.
A farsi carico sul piano politico della proposta fu l’allora assessore ai lavori pubblici, avv. Giovanna Cassarà: «se non ricordo male eravamo nel pieno del primo mandato Crocetta, tra il 2004 ed il 2005 – ci risponde l’avv. Cassarà – ed un comitato di cittadini, residenti con domicilio di fatto e non per ragioni di opportunità tributario-fiscale, formulò questa precisa richiesta che accolsi con favore perché il riconoscimento di frazione, significava poter accedere ai finanziamenti per la viabilità ed infrastrutture, come quella idrica e fognaria, ma anche lo stesso lungomare. Vedevo Manfria come un naturale sbocco turistico per la città ed il suo comprensorio.
Lavorai col comitato – prosegue – per portare avanti la causa, fino alla deliberazione positiva del consiglio comunale sulla proposta che presentai come assessore, anche se nelle more del passaggio in aula dopo diversi mesi, nel frattempo mi ero già dimessa dalla carica. Dopo di me la delega non fu assegnata ad altri. Riconfermato al secondo mandato, il sindaco Crocetta non riprese il discorso, nonostante le mie sollecitazioni in veste di consigliere comunale eletta, pur facente parte della maggioranza.
E’ notorio che il modus operandi di Crocetta fu quello dei mutui con Cassa depositi e prestiti, mentre Io ero dell’idea – conclude la Cassarà – che bisognava attivare un ufficio tecnico competente, in grado di produrre progetti esecutivi che potevo catturare i grandi finanziamenti dei bandi europei».
La delibera prevedeva proprio la realizzazione di una delegazione comunale con distaccamento dei vigili urbani e di alcuni uffici. Nell’estate del 2010 le associazioni promotrici inviarono al nuovo sindaco di Gela, Angelo Fasulo, una lettera in cui chiedevano di inserire nel bilancio comunale, un capitolo dedicato a "Manfria Frazione”, con cui si rendeva finalmente esecutiva la delibera consiliare del 2006. L’anno dopo, Fasulo inaugurava alcuni uffici comunali ed un distaccamento dei vigili urbani presso locali privati, come richiedeva la delibera di 5 anni prima; ma poi tutto rientrò.
Probabilmente a pesare fu il timore della politica di aprire una maglia ed un percorso in cui si sarebbero accodati altri quartieri, specie quelli periferici e demograficamente densi come Macchitella, nel richiedere decentramenti di servizi e persino elezioni circoscrizionali. Ma è slo una lettura. Di certo e col senno di poi, l’iter ottenne un riconoscimento formale, ma senza fondi da investire nelle infrastrutture mancanti, nel concreto non portò nulla di nuovo. Senza rete idrica pubblica, rete fognaria, scuole di primo grado e così via, è già difficile parlare di quartieri, figuriamoci di frazioni.
Ed anche sui quartieri continua a pesare la logica delle cose non fatte, che non decollano, per un motivo o per un altro. E continuano di conseguenza le lamentele, nonostante manifestazioni di buona volontà, anche istituzionale: «Macchitella – esordisce lo storico presidente del comitato di quartiere, Gioacchino Gradito – rimane un gioiello non valorizzato, un polmone verde non curato a dovere, per non dire abbandonato e sporco, con erbacce e sterpaglie alte e prossime alle abitazioni. La pulizia è sporadica e, quindi, inefficace.
Per non parlare di diversi alberi pericolanti che periodicamente denunciamo. Qualche progresso – aggiunge - lo abbiamo registrato sul piano dell’illuminazione. Il sindaco ci accoglie, ci ascolta e stimola gli uffici ad intervenire. Ma poi non insiste. La nostra impressione è di un sindaco poco assistito, ma più in generale, quello che ho dovuto rilevare purtroppo – conclude Gradito – in tutte le amministrazioni che si sono succedute negli anni, è proprio la mancanza di una cultura del verde».
Il discorso non cambia per quartieri più centrali come San Giacomo: «ad oggi – afferma il segretario del comitato di quartiere, Massimo Giorrannello – i problemi rimangono gli stessi e non risolti. Certo il covid non ci ha aiutato, ma la linea di dialogo che siamo riusciti ad individuare è quella propositiva. Come comitato – continua – proponiamo progetti interloquendo con gli assessori competenti al ramo.
Uno di questi sarà portato a termine a breve. Si tratta di una piazzetta che abbiamo riqualificato noi stessi del comitato di quartiere, in collaborazione con l’amministrazione comunale. Siamo però ancora in attesa – chiosa polemicamente Giorrannello – di capire quali saranno le perimetrazioni delle aree o macroaree tra i nove ed i dodicimila abitanti».
Il rifermento è al regolamento del comitati di quartiere approvato con delibera consiliare nel giugno del 2020 in occasione di una seduta monotematica. Dopo l'entrata in vigore del regolamento che consta in tutto di 13 articoli, entro due mesi un apposito atto dirigenziale avrebbe dovuto stabilire i confini dei vari quartieri, le loro denominazioni, con tanto di quadranti nella planimetria urbana. Il minimo di cittadini dev’essere compreso in un “range” che va dai 9000 ai 12000 residenti.
Dopo oltre un anno e mezzo non se ne sa nulla, in un rimpallo di competenze tra commissione consiliare, settore urbanistica e settore affari generali. In effetti, considerata la natura dei parametri per la perimetrazione, la ripartizione più idonea dovrebbe essere quella demografica.
Per cui sarebbe auspicabile che la commissione consiliare al ramo che ha già lavorato sul punto, chieda un’audizione con il dirigente e lo stesso sindaco che ha ad interim la delega agli affari generali e mettersi d’accordo per produrre questo atto dirigenziale a cui rinvia il regolamento, così da fare una volta tanto un po’ di ordine e chiarezza sulla materia.