Dopo averla a lungo paventata ed esorcizzata, è guerra. Alla diplomazia si sono sostituite le armi.
Peggio che un incubo, svegliarsi con scene di guerra nel cuore dell’Europa sugli schermi televisivi. E sapere che la Sicilia, all’insaputa dei siciliani, è schierata in prima linea. Nell’isola sono dislocate le basi militari, aeree e marittime, e i sistemi comunicazionali che svolgono un ruolo strategico essenziale per l’Alleanza Atlantica e l’Europa, e il nostro Paese.
Stringendo l’obiettivo riscopriamo che l’area più esposta è quella fetta della Sicilia che va dalla piana di Gela, include la sughereta di Niscemi, e giunge fino piana di Catania e la città di Augusta, porto marittimo e militare di grande primario. In caso di conflitto armato vaste zone della Sicilia divengono possibili obiettivi per il nemico, qualunque esso sia.
E di questo non possiamo far finta di niente, anche se non ci sono oggi indizi di alcun tipo, che possano far prevedere un ampliamento del conflitto che coinvolga l’Europa. Ma non è nemmeno utile nascondere il fatto che in caso d’impegno militare, anche per conto terzi, da Sigonella possano partire operazioni militari, magari in territorio ucraino conquistato dai russi.
E’ già avvenuto in passato, allorché le crisi in Medio Oriente hanno impegnato droni e operazioni militari in copertura. Se una risposta militare ad azioni provenienti dalla Sicilia è giudicata possibile, significa che è stata pianificata una deterrenza difensiva all’altezza dell’eventuale pericolo.
Ma stiamo correndo troppo. Non c’è ragione di andare al di là di una legittima preoccupazione per un ritorno alla guerra fredda e per una umana solidarietà verso un popolo, quello ucraino, che subisce un’invasione di preponderanti forze militari da parte di una nazione, la Russia, che vuole limitare le sue libertà fondamentali, quella di decidere con chi allearsi e con chi fare affari.
Le immagini che i network mostrano in queste ore, mentre scrivo, sono quelle che non avremmo voluto mai vedere: elicotteri e carri armati russi che sparano contro le posizioni ucraine, folla di civili che fuggono per trovare riparo dalla zona dei combattimenti. L’immagine di Kiev è spettrale, la metropolitana è presa d’assalto da migliaia di cittadini.
Ai confini si colgono facce di donne spaventate, e strade e case distrutte dai cannoni. A migliaia attraversano in fuga il confine con la Polonia e la Moldavia. I cingoli dei carri armati entrano in Ucraina, lenti ed in esorabili, e scandiscono il ritorno alla guerra fredda. E’calata, di fatto, la cortina di ferro, rimandando indietro l’orologio della storia di mezzo secolo. Si rivedono le stesse scene drammatiche di Berlino nel 45, in Ungheria e Cecoslovacchia negli anni successivi.
E’ come vedere la guerra dalla finestra di casa. Assistendo a quel che succede sullo schermo TV non si ha il diritto nemmeno di recriminare per ciò che accade dalle nostre parti, o può accadere in futuro. Nessuno vuole morire per Kiev, ma nessuno se la sente di abbandonare al suo destino un pezzo d’Europa e subire un atto di forza che potrebbe incoraggiare una escalation militare per l’accaparramento di altri “pezzi” d’Europa. Putin ha a lungo preparato, la sua vendetta fredda, contro l’Ucraina che ha voltato le spalle alla Russia.
Gli ucraini pagano, con gli interessi, il vecchio sogno di liberarsi del dominio russo, zarista prima, comunista dopo, e post comunista infine. L’Ucraina ha già pagato il suo patto di sangue con il regime, sia al tempo dell’Urss, sia più di recente a Chernobil, quando la centrale nucleare, a causa di un guasto, ha ucciso o reso inabili migliaia di ucraini. L’Ucraina è stratta da una morsa di fuoco, alla quale non potrà resistere.
Gli attori principali in occidente finora parlano una lingua comune, ma con accenti diversi. Niente armi, finora, ma i tedeschi hanno annunciato il trasferimento di soldati nelle repubbliche indipendenti vicine, come la Lituania, dove peraltro ci sono soldati ed aerei italiani. il premier britannico Johnson non ha escluso un intervento militare, e il francese Macron ha fatto altrettanto, i polacchi privilegiano un intervento diretto, specie sul fronte bielorusso, dove Lukashenko, al servizio di Mosca, di fatto partecipa all’invasione in Ucraina. Se si arriverà a tanto, non avremo bisogno di stare davanti al teleschermo per vedere ciò che succede.
Sono state messe in campo severe sanzioni economiche che hanno l’obiettivo di danneggiare la Russia di Putin, ma che richiedono grandi sacrifici anche per chi li attua. Gli europei, ben più che gli Usa, pagheranno più caro il gas, il petrolio, il grano, le materie prime, come l’alluminio. IL 41 per cento del gas che arriva in Italia viene della Russia, tutte le filiali energifere subiranno la pressione della guerra, facendo salire i prezzi alle stelle. L’Italia troverà il gas che serve se verrà chiuso il rubinetto dalle sanzioni, ma costerà molto di più a causa della minore produzione di gas.
Il conflitto ci offre una lesione sulla quale riflettere: l’idea, a lungo coltivata, specie in Germania, che l’interdipendenza economica e commerciale avrebbe scoraggiato un ritorno alle armi in caso di crisi, si sbagliava. C’è un aspetto irrazionale nella guerra di Putin: la capacità, alla lunga, di resistere ai costi gravosissimi del conflitto e alla rinuncia al suo import con tradizionali attori del mercato russofono. Il nostro portafogli, comunque, verrà alleggerito, quanto quello dei russi, che però percepiranno la crisi con minore onerosità, a causa di un tenore di vita di gran lunga più basso del nostro.
Lo scenario peggiore è già in atto. Gli ottimisti pensano che i russi s’impantaneranno nel territorio ucraino, potranno entrare agevolmente grazie a Kiev e creare un governo fantoccio, ma dovranno affrontare una lunga guerriglia sanguinosa e costosissima.