Un boato avvertito nella zona industriale e nei quartieri periferici ad est della città intorno l’or di pranzo, a cui sono seguite nubi di fumo che si sono levate altissime nel cielo ed un allarme rientrato, senza danni a persone, in un lasso di tempo relativamente breve.
Nel complesso, un paio d’ore di forte tensione, ma tanto è bastato per far ricordare a questa città i rischi connessi alla presenza industriale a pochi passi dal perimetro urbano.
Un qualcosa che sembrava dimenticato, come se facesse parte del passato. Un qualcosa che dovrebbe chiarire a tutti, una volta per tutte, che l’Eni a Gela ha chiuso con il pet-coke, ma questo non significa che l’Eni non ci sia più. Per chi non l’avesse ancor capito, da Gela l’Eni non se n’è andata, nonostante un certo disimpegno rispetto al passato.
Cosa è accaduto di preciso? In una nota, Eni ha informato che martedì 11 gennaio, «alle ore 13:30 all’interno di un forno dell’impianto Ecofining della bioraffineria di Gela si è verificato un disservizio tecnico che ha causato fumosità per alcuni minuti ma nessuna conseguenza alle persone, all’esterno del forno, o ad altri impianti della raffineria.
Attivate immediatamente le procedure di emergenza, il forno è stato messo in sicurezza dalle squadre operative, supportate a titolo precauzionale anche dai vigili del fuoco interni. E’ stato attivato il piano di comunicazione a tutti gli enti, nel frattempo sono in corso di accertamento le cause dell’evento».
Cercando di entrare più nello specifico, abbiamo appreso che il problema, chiamato in termini aziendali “disservizio”, con tanto di rumore e fumo, ha riguardato un forno di isomerizzazione all’interno dell’isola 8, nell’area della “Green Refinery” ubicata in contrada “Piana del Signore”. In realtà non si è trattata di un’esplosione vera e propria e le nubi di fumo non erano in prevalenza prodotte dalle fiamme.
Non a caso la nota del “cane a sei zampe” parla di “fumosità” ed evita termini come fiamme o incendio, definendo solo “a titolo precauzionale” l’intervento a supporto dei vigili del fuoco. In particolare, l’evento è avvenuto dentro il forno di isomerizzazione e quindi si è trattata di un’implosione interna con fumosità rilasciata perlopiù dai camini. Il che ne spiega anche la visibile altezza.
Tra le procedure di emergenza, altresì, è scattato anche un piano di evacuazione interno allo stabilimento che ha interessato più precisamente le ditte dell’indotto, perché si era in un orario in cui alcune ditte avevano già pranzato e tornavano al lavoro, altre smontavano per andare a pranzare. A ciò va aggiunta un’ultima informazione che siamo riusciti a catturare: la bioraffineria era ferma da giorni e stava provando il riavvio.
Incidente tecnico o errore umano? Verifiche in tal senso sono in corso da parte di Rage come la conta dei danni. Intanto, un puntualissima Procura della Repubblica italiana presso il Tribunale di Gela, da sempre lestissima quando c’è di mezzo Eni, ha già aperto il fascicolo delle indagini.
Non sono mancate le reazioni provenienti da ambienti politici e sindacali. «Seguiamo con grande apprensione e preoccupazione – hanno affermato, in una nota, i senatori e le senatrici del Movimento 5 Stelle delle commissioni Lavoro e monocamerale di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia di palazzo Madama – le notizie che arrivano da Gela, nel nisseno, dove un incendio divampato nella Raffineria Eni ha fatto scattare il Piano di emergenza generale, sembrerebbe dopo l’esplosione di un forno.
In attesa di capire le dinamiche dell’accaduto e torniamo a sollecitare maggiore attenzione ai temi della sicurezza nei luoghi di lavoro. Tra ieri e oggi in Italia – hanno aggiunto - si sono registrate altre due vittime sul lavoro, questa lunga scia di sangue va fermata con azioni rigorose e incisive. Torniamo a chiedere a tutte le forze politiche e democratiche un’assunzione di responsabilità dinnanzi al Paese e alle famiglie delle vittime e rilanciamo con urgenza la necessità di istituire una Procura nazionale del Lavoro.
Basta tentennamenti e rinvii. All’indomani dell’elezione del Capo dello Stato si apra una discussione per accelerare l’iter di approvazione del disegno di legge del M5s all’esame delle commissioni di merito del Senato. Serve un segnale netto, la politica abbia il coraggio – hanno infine concluso – di essere all’altezza delle Istituzioni che rappresenta».
Dal canto suo, la segretaria generale della Uil Sicilia, Luisella Conti in un comunicato diffuso immediatamente ai media, ha espresso sollievo nell’apprendere «nessun lavoratore è rimasto ferito nell’esplosione avvenuta oggi nella Raffineria Eni di Gela e ringraziamo gli addetti alle squadre di emergenza per la tempestiva, preziosa, attività svolta nell’impianto.
La Uil – ha continuato – con la propria organizzazione di categoria, la Uiltec, segue e seguirà con attenzione la vicenda auspicando nell’interesse dei lavoratori, dei cittadini gelesi e della stessa azienda che si faccia presto e bene chiarezza sulle cause dell’evento. Già nei prossimi giorni – ha terminato – ci attendiamo notizie ufficiali sugli accertamenti in corso».
L’ultimo accadimento simile è avvenuto giusto 8 anni fa, con un incendio che indusse la Raffineria di Gela a chiudere l’unica linea di produzione rimasta, quasi a preannunciare quanto poi ufficializzato nel protocollo di Santo Stefano, a novembre dello stesso anno, il 2014, con la fine della raffinazione convenzionale (greggio) voluta a Gela da Enrico Mattei e la svolta verso la bioraffineria (oli vegetali, grassi animali, alghe, rifiuti/residui) come a Porto Marghera.