Non c'è gelese che, negli ultimi 50 anni, alla ricerca di una macchina da acquistare, non sia passato almeno una volta da Lucauto, la più grossa concessionaria di autovetture di piccola o grande cilindrata, nuove o di seconda mano, a km zero o di gran lusso, nata per iniziativa di Salvatore Luca.
E in questo mezzo secolo, l'attività della famiglia Luca oltre a crescere come volume di affari (due società nel commercio auto) si è diversificata espandendosi nel settore immobiliare con quattro aziende per la vendita o la locazione di case e uffici in varie regioni d'Italia, ma anche nel settore delle costruzioni (due imprese) realizzando, villette, case, palazzine e interi complessi residenziali a Gela e in provincia di Ragusa. Un vero e proprio impero economico il cui valore pare si aggiri sui 68 milioni di euro. Per Totò Luca (70 anni), è tutto frutto del suo lavoro, portato avanti col fratello Ciccio (Francesco Antonio), di 65 anni, e poi con il proprio figlio Rocco, di 45 anni.
Per la Dia, la direzione investigativa antimafia, di Caltanissetta e per la guardia di finanza, la holding dei Luca sarebbe invece frutto del riciclaggio di denaro sporco (parte della ricchezza di "cosa nostra" gelese) e in particolare dei proventi illeciti delle famiglie Rinzivillo ed Emmanuello. Insomma, la "Lucauto" come lavatrice di denaro sporco, azienda amica della mafia pronta a fornire automezzi a boss e gregari e ad alimentare generosamente le finanze delle cosche. Così, la sezione "misure di prevenzione" del tribunale nisseno, su proposta della Dia, ha emesso decreto di sequestro dei beni di Salvatore, Francesco e Rocco Luca, già indagati per concorso esterno in associazione mafiosa, perché – come scrive il tribunale – "… pur non essendo stabilmente inseriti nel sodalizio mafioso denominato ‘Cosa Nostra’ operante in Catania, Gela, Vittoria e territori limitrofi, concorrevano nell'associazione mafiosa suddetta contribuendo sistematicamente e consapevolmente alle attività ed al raggiungimento degli scopi di tale organizzazione mafiosa, e segnatamente della famiglia mafiosa di Gela (Rinzivillo ed Emmanuello)…".
I Luca sono ritenuti "soggetti di elevata e qualificata pericolosità sociale – scrivono gli investigatori – in ragione della loro contiguità e complicità con organizzazioni criminali riconducibili a ‘cosa nostra’ evidenziando una sorta di opportunismo affaristico con esponenti della famiglia mafiosa dei Rinzivillo”. Le indagini di natura economico patrimoniale hanno fatto emergere il reinvestimento da parte degli indagati di ingenti capitali di illecita provenienza in numerose società, formalmente intestate ad alcuni dei loro familiari, attive nel settore dell’edilizia e della rivendita di autovetture.
Già nel giugno del 2006, la Dia aveva effettuato un sequestro preventivo della concessionaria Lucauto srl, nell’ambito dell’operazione “Terra Nuova 2”, ed aveva deferito all’autorità giudiziaria per il reato di riciclaggio Totò Luca, suo fratello e suo figlio. Ma questo procedimento fu successivamente archiviato a seguito di quella che gli inquirenti definiscono una "pseudo collaborazione del medesimo Salvatore Luca, che, nel frattempo, aveva riferito, ad altri uffici investigativi, di presunti episodi estorsivi subiti nel tempo tentando in tal modo di accreditarsi quale vittima della criminalità organizzata". Clamorosa la sua protesta davanti al municipio di Gela il 16 giugno di quell'anno quando, con fustino di benzina e accendino in mano minacciò di darsi fuoco se non lo avesse ricevuto "il sindaco della legalità", Rosario Crocetta, rivendocando una giustizia celere e giusta.
A smentirlo però sarebbero intervenuti numerosi collaboratori di giustizia dell’area gelese, le cui dichiarazioni avrebbero consentito di far luce sulla reale natura dei rapporti di complicità tra i componenti della famiglia Luca e le organizzazioni mafiose operanti sul territorio. Così, nel luglio del 2019, il Gico della Guardia di Finanza di Caltanissetta ha dato esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Gip di Caltanissetta nell’ambito dell’operazione "Camaleonte".
Per la pubblica accusa, "la provenienza mafiosa del capitale investito nella rivendita di automobili si affiancava a un vero e proprio “mercato del credito irregolare”, mediante il quale la famiglia Luca è riuscita ad accaparrarsi una vasta platea di clienti; il sistema, artatamente costituito, prevedeva una rateazione, mediante assegni post-datati, per il pagamento delle autovetture che, in caso di insolvenza, venivano recuperate e registrate fittiziamente come noleggi; l’elevata capacità di intimidazione ha consentito di ridurre al minimo il rischio di insolvenza".
Questi i beni sequestrati martedì mattina, a Salvatore, Francesco e Rocco Luca. La totalità delle quote nelle società "Lucauto srl" di Gela, e "Carluca srl di Gela" esercente l'attività di “commercio di autovetture";
Nel settore della compravendita di immobili, i sigilli sono stati apposti alla "Terranova Immobiliare srl", alla "Ginevra Immobiliare srl" e alla "Immobilluca srl", tutte di Gela, nonché alla "Luca Immobiliare srl" in liquidazione a Busto Arsizio, grossa cittadina lombarda in provincia di Varese, dove risiede una colonia di emigrati gelesi così numerosa da far dare a quella città l'appellativo di "Gela 2". Sequestrata dalla Guardia di finanza anche la "Luca Immobiliare srl" di Gela.
Il provvedimento di sequestro riguarda inoltre la "Luca costruzioni srl" e la "Mirto srl", operanti nel ramo della "costruzione di edifici", e la quota del 10% nella "Oikos" di Gela, che svolge l'attività di gestione di alberghi e ristoranti. Tra i beni sequestrati figurano 40 appezzamenti di terreno, tutti a Gela, e 192 fabbricati ricadenti nei territori di Gela, Vittoria e Marina di Ragusa. A questi si aggiungono ben 47 tra conto-correnti bancari, rapporti finanziari e/o polizze assicurative. Un patrimonio immenso che ora passerà sotto amministrazione giudiziaria.
Gela, frastornata dalla pandemia da covid, improvvisamente si sveglia e, alla luce anche dei cinque camion incendiati alla vigilia di San Valentino, si accorge che i suoi vecchi problemi sono ancora tutti da risolvere. Dalla legalità alla recessione economica, dalla disoccupazione all'emigrazione, allo sfaldamento delle famiglie, alla scuola che non c'è, allo stato di abbandono in cui versano le fasce giovanili, dall'infanzia all'adolescenza. A Caltanissetta, si è riunito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza.
Il procuratore della Repubblica, Fernando Asaro, per l'ennesima volta ha ricordato che a Gela sono tre le mafie che tengono sotto ricatto il territorio, “stidda”, “cosa nostra” e “clan Alferi”, avvertendo che il degrado sociale, morale, la marginalizzazione dei giovani crea "potenziali risorse umane pronte ad essere arruolate nelle file delle consorterie criminali e a diventarne il braccio operativo".
E dire che ogni volta, all'apertura dell'anno giudiziario, dalla Corte d'appello di Caltanissetta è venuta esplicita la denuncia del problema della criminalità minorile in crescita a Gela. "Una città dove – ha sottolineato il questore Emanuele Ricifari – esiste un clima di diffusa insofferenza nei confronti delle regole e delle istituzioni". Ed ha sollecitato un lavoro sinergico di forze dell'ordine a tutti i livelli e istituzioni. Una "maggiore presenza della polizia municipale nelle strade" è stata sollecitata dal prefetto, Cosima Di Stani, la quale ha annunciato "da subito l'intensificazione di pattuglie di polizia, carabinieri e guardia di finanza nel territorio". Il sindaco di Gela, Lucio Greco, ha detto che chiederà un incontro al ministro degli interni perché qui "servono più uomini, più automezzi e un più capillare sistema di videosorveglianza" ancora da finanziare.