Cominciamo dall’inizio di questo 2018.
Avevamo raccolto all’alba di quest’anno le previsioni dei tre parlamentari eletti alla Regione: Arancio, Di Paola e Mancuso. Il primo auspicava lavoro dall’agricoltura e dall’industria; il secondo diffondeva speranze e certezze per tutti; il terzo, invocava collaborazione istituzionale. Al tramonto di questo 2018, registriamo un nulla di fatto su tutti i fronti.
Nell’editoriale d’inizio d’anno avevamo anche scritto che il 2017 aveva messo a nudo le debolezze di una classe politica incapace di fronteggiare la fase storica della città più buia degli ultimi cinquant’anni. Tutte cose che potremmo riscrivere oggi in sede di bilancio di fine anno.
Insomma, non è cambiato nulla. Se non in peggio.
A gennaio, per esempio, Orazio Accomando sull’impiantistica sportiva scriveva: “Atletica all’anno zero, il Presti da terzo mondo”. Oggi lo stadio è chiuso. Giulio Cordaro, nella sua rubrica “Politicamente scorretto”, a febbraio invocava: “E’ ora che parta la Vertenza Gela”. Ancora ne aspettiamo la partenza, con i sindacati a godersi la morte di un territorio, con loro – non tutti – ridotti ad occuparsi della difesa di sei-sette posti di lavoro, mentre l’Eni, spenta la Raffineria – in forte ritardo sugli impianti bio che avrebbero dovuto tamponare l’emorragia di posti di lavoro – continua a fare il bello e il cattivo tempo.
Viviamo in una città senza tutto. Senza sindaco, senza Consiglio comunale, senza stadio, senza lavoro, senza porto, senza prospettive. Una città sadomasochista, che prova piacere a farsi male, incurante del baratro verso cui sta precipitando.
Stiamo perdendo l’identità e c’è chi ne approfitta. Speriamo almeno di non perdere la dignità.