«Certi amori non finiscono, fanno giri immensi poi ritornano», recita una canzone di Antonello Venditti, ed è proprio vero, non finisce il mio amore per la scrittura come non finisce il mio amore per una città, Gela, che è stata socraticamente la mia “levatrice” letteraria: l’amorevole ferocia di questa città, le sue contraddizioni, la sua maestosa natura, sono state innegabilmente lo scenario della mia prima fortunatissima prova letteraria Il bastardo di Mautàna (Einaudi), oggi tradotto in tutto il Mondo. Dunque sono grata a Gela e a quella calda gelese umanità che è la mia vera famiglia “emotiva”, se non di sangue.
Ecco perché, quasi un battesimo, scelgo come banco di prova per ogni mia nuova pubblicazione, Gela! Questa volta si tratta di un delizioso “diario-racconto” di vita vera, la mia, dal titolo 7 uomini 7- Peripezie di una vedova.
Già pubblicato con immenso successo di lettori da Flaccovio nel 2006, torna il 21 giugno in libreria e in tutti gli store online, ripubblicato da ETS, prestigiosa editrice critico-scientifica che ha sede a Pisa e che vanta un catalogo d’autori di straordinario prestigio accademico: ripubblicato come primo titolo della collana«Archivio Silvana Grasso», curata da grandissimi accademici come i suoi direttori Marco Bardini (Università di Pisa) e Gandolfo Cascio (Università di Utrecht, Olanda).
Questo delizioso ironico libricino è la cartina di tornasole della mia drammatica vedovanza, subita con angoscia, ma anche di come si possa, con la potenza taumaturgica della scrittura, convertire una disgrazia in una divertente paradossale panoramica sulla condizione di vedova, giovane e di bell’aspetto, in Sicilia.
Mi furono presentati, come possibili pretendenti alla mia mano, esemplari di uomini (si fa per dire uomini) protostorici, ai limiti della fantascienza, da uccidere più che sposare.
Dunque, tra vero e verosimile, racconto come, calpestando la sacra intimità della vedovanza, un piccolo esercito di amici e conoscenti, vestiti i panni del paraninfo/a, cercarono in tutti i modi d’accasarmi non certo mossi a pietà di me che nell’immaginario collettivo del club ero una pericolosa cavalla fuori branco, «mentre io ero scartavetrata dalla vita, saccheggiata emotivamente da un lutto improvviso, contratta da spasmo depressivo con crampo suicida». Questa la verità, ma la verità non la voleva vedere nessuno.
7 Uomini 7 è ambientato in un ridente club di mare dove «il socio doveva imparare entro, e non oltre la prima estate dall’ammissione al club, tutti i balli di gruppo, in primis, sovrano, l’hully gully Nel continente nero, paraponziponzipò, alle falde del kilimangiaro, che aveva valore simbolico. Distingueva infatti il socio doc, figlio di soci, dal socio “importato”, figlio della spiaggia libera, della colazione a sacco, del bermuda a fiori, che solo il conto in banca faceva accedere ai paradisi del Club».
In piena depressione da lutto, mi ritrovai al centro d’una gara a chi riusciva a maritarmi prima con parenti, amici dei parenti, amici degli amici dei parenti. Niente di male, se non che erano tutti i corteggiatori erano truffatori o rincoglioniti o scimuniti e/o mostri! Poiché però quest’avventura mi liberava dalla depressione vera, feci finta di starci, recitai, inscenai. Cominciò così, con soddisfazione generale, la sfilata dei mostri-corteggiatori-proci, 7 all’epoca, oggi 700, tanto che se dovessi aggiornare il librettino sarebbe ormai un tomo enciclopedico da 5000 pagine!
Vi do qualche assaggio dei miei corteggiatori, partendo da Romeo il barone, che «aveva la cute lucida e il culo basso anzi bassissimo e scatasciato» e viveva con una sorella brutta grassa gelosa, un gallinaccio che mi odiava e mi stava col fiato sul collo a evitare che le seducessi il fratellino di 49 anni!. Un giorno però la sorte fu dalla mia parte e lei dovette restare a casa con mammà che cadendo s’era scosciata(che felicità) il femore, peccato uno solo non entrambi.
Finalmente soli noi due, io e lo scunchiudùto barone Romeo, ci avviammo nella tenuta di famiglia. Ma lui, fissato con la botanica, pensava solo alle piante, mentre io, che orami vivevo come su un palcoscenico tutta la storia dei miei virtuali fidanzamenti, pensavo a come giocarmela tutta in quell’oretta di libertà, poiché non c’era da sperare in altre fratture di femore.
«Dovevo, lì e subito, tentare di sedurlo. Ma era opus epicum!!!degno degli eroi che avevano combattuto a Tebe e Troia. Romeo, attratto solo dalla sensualità dei vegetali, tra tutte piante grasse e spinose, aveva l’appeal d’uno stoccafisso a bagno da due settimane con pupille da giovane sorcio».
Poiché aveva la sensibilità d’un trunzo, capii che dovevo tentare una strategia improvvisa: mi gettai vestita com’ero in un rigagnolo d’acque luride putride contaminate, acquacce di scolo, fingendo d’annegare. Sperai m’acchiappasse per le mani e che quel primo minimo puzzolente contatto fisico potesse risvegliare nel vegetale Romeo se non la passione almeno la compassione: ma niente.
Il «figlio di puttana lasciava morire davanti ai suoi occhi una giovane donna, una scrittrice per giunta, pensavo col culo taglieggiato dall’acqua fredda. Solo molto dopo Romeo entrò con tutte le scarpe nello scolo putrido, ma dopo mezzo metro, cascò col culo in acqua anche lui con tale tonfo che pensai si fosse rotto tutto, femori compresi. Mi vidi persa. Visi pure perse tre bisce che, sventrate dal suo culo, insanguavano lievemente l’acqua. Da salvata diventavo salvatrice. Dovevo infatti tiralo fuori il polpettone di carne umana, oltre 100 kg, rischiando un’altra ernia del disco, io già due volte operata d’ernia».
Il resto, tanto tanto resto, lo leggerete al mare!
Una preghiera al mio adorato club che all’epoca protestò s’arrabbiò, ai soci che covarono malombre rancori risentimenti, scambiando la letteratura per vita. Miei cari con-soci quando tra qualche giorno, dopo due anni, mi rivedrete tra voi al mare, chiedo sorrisi abbracci e complimenti. Io non prendo in giro nessuno, ci pensa la vita a farlo, io faccio letteratura e, a sentir la critica mondiale, non solo nazionale, pure molto bene!
Quando scrivo nel libricino «l’assemblea dei soci era un ring di contumelie, risse, neologismi e arcailogismi della volgarità. Una palestra di clubnauti che contendevano urlavano si dimenavano si menavano», scrivo anche che «questo significava famiglia! e che? Non si litiga anche nelle migliori famiglie? Non si fa a pugni?...».
Dunque niente musi lunghi, niente paturnie paesanotte oltretutto con la vostra Silvana che avete insignito del prestigioso timone d’argento: con la Letteratura non si fa a cazzotti, con la vita sì!
Aspetto, dunque, sotto l’ombrellone la mia Marina Burgio col suo pane fatto in casa e quanti benefattori tra voi vorranno mai più portarmi ziti a maritari ma muluni, gelati, caffè, insalata di riso, uva, insalata di polipi, albicocche, macedonia, lasagne, pasta al forno, panini co crapuliatu. Tutto prendo ma mai più proposte di fidanzamento: potrei davvero pensare all’omicidio questa volta!