Nato a Genova il 1° settembre del 1922, da un ingegnere edile tedesco, Heinrich Gassman, e da Luisa Ambron, toscana, Vittorio Gassman crebbe a Roma dove frequentò il Liceo "Torquato Tasso".
Vista la sua notevole statura (un metro e novanta) praticò con successo il basket e venne convocato anche in nazionale, ma incoraggiato dalla madre, appassionata di teatro, decise di frequentare giovanissimo l'Accademia d'Arte drammatica “Silvio D'Amico”.
Il resto è storia. Il successo attoriale fu immediato, tanto da essere stato chiamato presto ad Hollywood, dove recitò in molti film prima di tornare in Italia, dato che non gli piaceva molto l 'America, nonostante avesse sposato Shelley Winters che fu una delle sue quattro mogli. Il suo amico più importante fu un siciliano, Adolfo Celi, anch'egli grandissimo attore.
Quest’anno Gassman viene ricordato per il suo centenario. Quando l’attore morì a Roma, il 29 giugno del 2000, ricordo che mi trovavo a Cinecittà sul set de “I cavalieri che fecero l’impresa” di Pupi Avati. Al giungere della notizia scese il silenzio e l’incredulità fra attori, comparse, generici. Gassman sembrava essere immortale, invece se ne andò prematuramente a 78 anni per quella “depressione” che lo aveva tediato negli ultimi anni della sua esistenza: esistenza che pure con lui non era stata avara e gli aveva dato tanto successo, fama, applausi.
Avevo conosciuto Vittorio nel 1977 quando ancora diciottenne preparavo gli esami all’Accademia Nazionale d’ Arte drammatica “Silvia d’Amico”, forse illudendomi di seguire (prima di fare la regia studiai da attore) le sue orme. Preparavo come prova dialogata un brano dell’Aspettando Godot di Samuel Beckett.
E fu in quel frangente che potei avvicinarlo, direi anche in maniera abbastanza rocambolesca. Lui recitava a Roma al Teatro Tenda di Piazza Mancini con il suo “Gassman, 7 giorni all’asta”, e il giorno in cui lo raggiunsi sul palcoscenico egli fu così disponibile da leggere un’intera scena di un mio giovanile (e orrendo) testo teatrale “Gelone”.
Fra noi fu subito amicizia, e il nostro bel rapporto alimentato anche da un frequente scambio epistolare durò sino alla sua scomparsa, sebbene avessimo pure vissuto una grave incomprensione in occasione del suo “Otello” messo in scena al Quirino con Pamela Villoresi che interpretava Desdemona, e Giulio Brogi che impersonava Iago. Lui mi invitò allo spettacolo, ma nel camerino mi trattò con insolita freddezza. Glielo rinfacciai.
Mi scrisse una lettera di scuse che mi sorprese e mi rivelò l’umiltà di un grande. In verità da Vittorio ho imparato molte cose e ne ho apprezzato la sensibilità che si nascondeva dietro la sua imponente figura. Così, oggi posso dire che dietro quel suo apparire spaccone e arrogante, si celava in realtà neppure sottaciuta (ne parlò anche al Maurizio Costanzo show) una timidezza mai del tutto scomparsa.
Di Gassman si può dire, senza temere di essere smentiti, che sia stato un interprete della scena senza pari. Lo stesso immenso Alberto Sordi ammetteva che Vittorio era il più bravo e il più completo degli attori, nel teatro come nel cinema. Poliedrico, affascinante, sbruffone, tragico, il suo immenso talento fu messo in risalto soprattutto da registi come Mario Monicelli, Dino Risi ed Ettore Scola.
Non si contano i premi ricevuti da Gassman in carriera anche se a me piace ricordare la Palma d’oro vinta a Cannes nel ’74 per Profumo di donna. E ora qui sarebbe impossibile riassumere la corposissima filmografia che lo vide impegnato in 122 film. Citerò per tutti solo alcuni titoli rimasti nella storia del cinema italiano come Riso amaro (1949), I soliti ignoti (1958), La grande guerra (1959), Il sorpasso (1962), I mostri (1963), L’armata Brancaleone (1966), In nome del popolo italiano (1971), C’eravamo tanto amati (1973), Il deserto dei Tartari (1976), La terrazza (1980), La famiglia (1987).
Signore indiscusso della scena, il 3 maggio 1999, un anno prima di lasciarci, Gassman aveva ricevuto a Parigi dalle mani di Anouk Aimée il premio “Molière” per la sua vita dedicata al Teatro. Ma anche le sue apparizioni televisive hanno lasciato il segno. Basterà ricordare il programma di successo che non a caso si intitolava “Il mattatore”.
Vittorio infine fu anche un eccellente scrittore e poeta, basti pensare che a soli 25 anni vinse il premio letterario Fogazzaro con “Luca dè numeri”, e come non ricordare l’autobiografia “Un grande avvenire dietro le spalle”, opera della maturità che gli valse anch’essa prestigiosi riconoscimenti e ne consacrò definitivamente il genio letterario.
Oggi Vittorio – la cui eredità attoriale è oggi rappresentata da Paola ma soprattutto da Alessandro Gassman – con quella sua straordinaria inimitabile voce, rimane per tutti i giovani che si cimentano nell’arte della recitazione il modello più alto e l’esempio più rigoroso di totale adesione e dedizione al lavoro dell'attore, che pure lui stesso definiva con autoironia “il più ambiguo e cialtronesco” fra i mestieri inventati dell’uomo.
Le ceneri di Vittorio Gassman riposano al Verano e sono molti gli ammiratori che ancor oggi gli rendono omaggio. Sulla modesta lapide sta scritto l'epitaffio che lui stesso aveva coniato per sé... Non fu mai impallato.