E’ stato presidente di Cinecittà, è il cantore di un cinema intimista e privo di fronzoli.
Recentemente la Fono Roma gli ha dedicato una sala, unico cineasta vivente cui è stato fatto questo omaggio. Non vi è poi dubbioche per i suoi 54 film girati in 53 anni di attività cinematografica, e gli innumerevoli premi e riconoscimenti ricevuti, Pupi Avati (nella foto) possa oggi essere considerato il più autorevole regista italiano. Un vero maestro, l’unico che alla non più verde età di 82 anni, fra l’altro portati benissimo, possa permettersi il lusso di girare un film su Dante, l’autore de La Divina Commedia, padre nobile della lingua italiana. L’opera cinematografica verrà prodotta da Rai Cinema e la Duea Film.
Ho incontrato Avati nella sua bella casa in via del Babbuino, a 100 metri da Piazza di Spagna, per fargli qualche domanda su questa sua prossima fatica.
– Pupi, allora ci siamo?
«Pare di sì, 18 anni dopo avere concepito l’idea di girare un film sull’Alighieri, ecco che proprio mentre si festeggiano i 7 secoli dalla scomparsa, mi viene data l’opportunità di realizzare questo antico progetto, seppure fra non poche difficoltà».
– Di che tipo?
«Beh, innanzitutto di carattere finanziario. Girare un film su Dante con un budget di 7 milioni e mezzo di euro, è proprio un’impresa. Ma la Rai, che per altre produzioni diciamo più “leggere”, ha investito e continua ad investire cifre ben più consistenti, per Vita di Dante ha messo sul piatto solo 6 milioni di euro. Per non parlare del ministero dei Beni Culturali che ha messo a disposizione del progetto solo un milione di euro. Non solo, ma il ministro Franceschini non ha mai fatto un annuncio, non ha mai speso pubblicamente una parola sul film che, piaccia o no, sarà uno fra i più importanti eventi fra quelli che si svolgeranno quest’anno sull’Alighieri».
– Perché questo ostruzionismo?
«Intanto, c’è da dire che la Rai non è più quella di Zavoli. E poi dietro la disinvoltura di certi comportamenti e strategie c’è forse anche un discorso ideologico. Pupi Avati è un regista che non rientra nel sistema, in quell’aria “di sinistra” che in Italia ha sempre occupato gli spazi della cultura in tutti gli ambiti dell’arte e dello spettacolo, compresi naturalmente il cinema e la televisione. Ma Dante è Dante, e nel nostro Paese e all’estero esistono 400 fondazioni a lui dedicate, segno della fama immortale di cui gode. Egli è l’italiano più conosciuto al mondo. Quindi l’ atteggiamento di certe figure che sembrerebbero volere ridimensionare l’importanza di questo progetto sul sommo poeta è per alcuni versi incomprensibile. Un motivo in più per fare un grande film e vincere questa sfida, dove molti magari sono già pronti criticarci quando il lavoro sarà ultimato».
– Per scrivere la sceneggiatura di Dante so che ti sei avvalso di eccellenti consulenti scientifici.
«Certo, il più famoso è certamente Franco Cardini, illustre medioevalista, autore di un’infinità di pubblicazioni e autorevolissimo dantista. Ma in verità sono ben 11 i dantisti che mi hanno aiutato in questo progetto, e molto mi addolora che 2 di essi, Emilio Pasquini e Marco Santagata, se ne siano andati a causa di questo maledetto Covid».
– E il cast?
«Molti ruoli, compreso quello di Dante – che verrà visto in tre età diverse – non sono stati ancora definiti, ma nel cast avremo Sergio Castellitto, indubbiamente uno dei più bravi attori del nostro cinema, e devo dire anche fra i più costosi. E’ stato scelto per interpretare il ruolo di Boccaccio».
– Pupi, quando parte il film?
«Contiamo di iniziare a girare in giugno. Sono previste 10, 11 settimane di lavorazione. Gireremo in Umbria, in Toscana e a Ravenna. Avremmo dovuto iniziare da Roma, a Cinecittà. Ma i problemi di budget ci hanno costretto ad abbandonare l’idea di costruire l’intero quartiere della Firenze medievale, laddove nacque Dante. Un vero peccato questa rinuncia, che conseguentemente ha portato alla scelta di privilegiare le riprese nelle strade e in location già esistenti, cioè non da ricostruire in teatro di posa. Insomma gireremo un film dove ci sarà anche un pizzico dello stile “rosselliniano”, un “neorealismo” calato nel Medioevo di Dante».