Sono davvero pochi i registi per cui vale sempre la pena di andare al cinema, e pagare il biglietto, sicuri che non usciremo dalla sala delusi.
Così era per Sergio Leone, (nella foto) i cui film sono rimasti per sempre nella memoria dell’”immaginario collettivo”, divenendo dei classici immortali come possono essere le opere di Mozart, i quadri di Ricasso, le canzoni dei Beatles.
Figlio d’arte - suo padre Roberto Roberti (vero nome, Vincenzo Leone) era un importante regista del cinema muto, sua madre, Bice Waleran, un’attrice - Sergio Leone nacque a Roma il 3 gennaio del 1929. Questo “respirare” in famiglia il cinema fin dalla più tenera età, certo determinò la grande passione di Sergio per la “Settima Arte” ed anche la sua profonda conoscenza dell’ambiente, che lo vide debuttare come comparsa nel 1948 nel capolavoro di Vittorio De Sica “Ladri di biciclette”.
Leone ebbe poi negli Anni ’50 la possibilità di lavorare come assistente alla regia in alcuni kolossal americani, quando Cinecittà era chiamata la “Hollywood sul Tevere”. Basterebbe citare per tutti il celebre “Ben-Hur” (1959) di William Wyler, dove fu il direttore della seconda unità operativa nella famosa ed insuperata scena delle bighe.
Il debutto vero e proprio nella regia Leone lo ebbe nel 1961 con il peplum “Il colosso di Rodi”. Ma il successo, clamoroso ed improvviso, lo ottenne nel 1964 con il film “Per un pugno di dollari” che egli firmò con il nome d’arte di Robert Stevenson, e che lanciò nel firmamento delle star internazionali Clint Eastwood. Con quella pellicola Leone reinventò letteralmente il genere western.
I film successivi furono “Per qualche dollaro in più”(1964) e “Il buono, il brutto e il cattivo”(1965), che insieme al primo formano la “trilogia del dollaro”. Leone avrebbe poi girato “C’era una volta il West”(1967) e “Giù la testa” (1971), ottenendo sempre i favori incondizionati del pubblico, meno della critica. Certo, quando nel 1984 uscì “C’era una volta in America”, il suo capolavoro assoluto, nessuno avrebbe mai pensato che quello sarebbe stato il suo ultimo film. Leone infatti morì di infarto nella sua Roma il 30 aprile 1989 a soli 60 anni, con ancora tanti sogni nel cassetto e tanti progetti da realizzare.
Ma gli sono bastati soltanto 6 film per rimanere per sempre nella storia del cinema, e se al successo delle sue pellicole contribuirono grandemente le colonne sonore di Ennio Morricone, comunque egli ha raccontato un “nuovo West”, sapendo affascinare pure gli americani che questo genere hanno inventato con registi dello spessore di John Ford, Howard Hawks, Raoul Walsh. Così, se le pellicole di Leone vennero ribattezzate “spaghetti western o western all’italiana”, a volte in maniera dispregiativa, di fatto ancora oggi non ci si stanca mai di vedere le sequenze di queste opere divenute ormai dei “cult movie”.
Anzi, se il genere western è tornato negli ultimi anni in auge anche negli Stati Uniti (citiamo ad esempio il “Django” di Tarantino) è grazie alla scuola di Sergio Leone, il cui “raccontare lento” ha regalato alle platee del mondo emozioni infinite, principalmente con il sapiente utilizzo della macchina da presa, dove un dettaglio, un primo piano, un lungo piano sequenza, hanno contribuito a costruire nuove epiche e nuovi miti, anche attraverso i volti amati di Eastwood, ma anche di Lee Van Cleef, Gian Maria Volontè, Henry Fonda, Charles Bronson, James Coburn, Rod Steiger, Robert De Niro.