Quando Federico Fellini (nella foto) preparava E la nave va, provai a propormi come suo assistente. Scrissi al maestro.
Mi rispose Fiammetta Profili, mitica segretaria del regista, dicendomi che in quella circostanza Fellini non avrebbe potuto accogliere la mia richiesta. Rimasi deluso ma apprezzai il fatto che almeno avessi ottenuto risposta. Mi ripromisi comunque di fare centro al prossimo tentativo. La nuova opportunità si presentò quando Fellini girò a Cinecittà Ginger e Fred, un film sul mondo della televisione che purtroppo si è poi rivelato drammaticamente profetico, e che aveva come protagonisti Marcello Mastroianni e Giulietta Masina. Eravamo nel 1985. Fellini si ricordò di me e venni convocato al Teatro 5 di Cinecittà dove stetti vicino al maestro per quattro settimane.
Era la prima volta che attraversavo i cancelli degli stabilimenti di Cinecittà per stare accanto a quello che all’epoca veniva considerato il più grande regista vivente insieme ad Ingmar Bergman e Akira Kurosawa. Fui accolto da Federico con grande affabilità, mentre i miei occhi si muovevano impazziti in ogni direzione per osservare quanto mi accadeva intorno. In un angolo Marcello Mastroianni e Giulietta Masina provavano un tip-tap. Più in là Tonino Delle Colli insieme ai suoi collaboratori armeggiava con filtri e obiettivi intorno ad una macchina da presa, e in un lato c’era una grande orchestra che suonava sotto la direzione di Nicola Piovani, seduto ad un pianoforte.
Furono giornate fantastiche dove in realtà nulla o quasi feci nelle prime settimane, se non scontrarmi diverse volte con il direttore di produzione Mannoni al quale stavo evidentemente antipatico. Fu nell’ultima settimana che venni coinvolto nel vivo del lavoro quando Martin Maria Blau, l’aiuto regista, dietro un preciso comando di Fellini, volle che gli dessi una mano per “gestire” sul set 13 “dannati nanetti” del circo, i quali mi fecero letteralmente impazzire. Tenerli a bada era impossibile. Farli entrare in scena al momento giusto un’impresa. Poi persi la pazienza ed urlai. Da quel momento andò meglio. Ed ancora meglio andò il giorno successivo quando Martin mi incaricò di non occuparmi più dei nani, ma di un intero corpo di ballo di stupende ballerine.
Ricordo ancora quando arrivò sul set l’immenso Leopoldo Trieste. Lo avvicinai. Parlammo qualche minuto. Poi su un foglio mi siglò un autografo con una dedica che diceva così: “A Gianni Virgadaula tutta la simpatia e gli auguri di un luminoso avvenire”.
ll set di Federico Fellini era una vera e propria corte dei miracoli. Tutti durante le riprese andavano a trovarlo. Dalle persone più umili ai personaggi più illustri della politica, dell’arte e della cultura. Tutti lì in coda attendevano la pausa per salutarlo, coccolarlo, complimentarsi con lui. Era questo uno spettacolo nello spettacolo. Un giorno arrivò sul set in compagnia della moglie l’ex comandante in capo dell’Arma dei Carabinieri, il generale Umberto Cappuzzo, che nell’81 era stato nominato Capo di Stato Maggiore dell’Esercito. Fellini fu con lui cortesissimo e ossequioso come non mai.
Più goliardico ed intraprendente il maestro era invece con le donne. Erano tante le attrici, aspiranti attrici, soubrette, giornaliste, casalinghe, studentesse, signore della Roma bene, che quotidianamente andavano a trovarlo. E lui, Fellini, le accoglieva e salutava tutte con il solito gesto: una pacca sul sedere. Quando per la prima volta mi accorsi di questo “affettuoso gesto” che Fellini dispensava per “equità sociale” indifferentemente a tutte: professoresse o studentesse che fossero, rimasi, lo confesso, scandalizzato.
Poi però mi accorsi che dietro quel gesto apparentemente volgare c’era sempre una sincera affettuosità. Che Fellini apprezzasse poi la bellezza femminile ben si sapeva, ma sorprendeva il fatto che quelle pacche non disturbavano (almeno in apparenza) la moglie Giulietta Masina e neppure gli accompagnatori delle signore fatte oggetto di tanta attenzione. E d’altronde, quest’ultime non si sentivano affatto offese; anzi il non ricevere quella “carezza” poteva essere motivo per entrare in crisi e chiedersi… perchè alle altre sì… e a me no?
Fellini dirigeva magistralmente gli attori. Il grande Mastroianni sembrava una marionetta nelle sue mani. Uno splendido esecutore certo, ma era lui, Federico, a tirare le fila. D’altronde Marcello “alter ego” di Fellini lo era anche per questo; per la sua acuta intelligenza che gli consentiva di capire subito cosa volesse il maestro. Quando il regista scomparve, alle esequie tenutesi alla Basilica di S.Maria degli Angeli e dei Martiri, la chiesa così come la piazza erano gremiti da una folla immensa.
A quel tempo erano già morti De Sica, Rossellini, Visconti e la scomparsa dell’autore de La dolce vita, La strada, Otto e mezzo, Amarcord e di tanti altri capolavori, segnò definitivamente la fine di una stagione irripetibile del cinema italiano. Oggi il mondo di celluloide sopravvive ancora sulle glorie di quei grandi cineasti, ma mai nessuno potrà più emulare il tempo di quegli antichi fasti.