«Un romanzo non deve insegnare nulla né dare modelli di bontà né indicare strade di vita a chi si è perso cercandola la vita. Un romanzo deve invece molestare, molestare chi lo scrive, molestare chi lo legge, schiaffeggiarlo, bastonarlo, ridestarlo».
Questa dichiarazione di poetica si trova tra le ultime pagine del romanzo di Silvana Grasso (nella foto) La domenica vestivi di rosso, distribuito nelle librerie dal 18 ottobre scorso per le edizioni Marsilio.
Tali parole riflettono un modo di pensare il romanzo, la scrittura, non come qualcosa di confortevole, bensì come pratica di rottura, di scuotimento del lettore, troppo spesso ‘confortato’ dai dogmi inossidabili del vangelo della normalità, della scrittura ‘positiva’, della scrittura didascalica. La scrittura non ha padroni né servi, essa ‘molesta’ per ridestare; ‘schiaffeggia’ per far traballare le nostre coordinate culturali. La Grasso è sempre riuscita in quest’intento con la sua straordinaria capacità narrativa.
Il romanzo sarà presentato martedì 6 novembre a Palermo presso la libreria Feltrinelli, via Cavour 133 (ore 18,00), dove interverrà Giovanna Di Marco, docente di Lettere e giovedì 8 novembre (ore 18,30) alla libreria Modus Vivendi, via Quintino Sella 79, con l’intervento della professoressa Marina Castiglione dell’Università degli Studi di Palermo, autrice di un saggio su Silvana Grasso, dal titolo: L’ incesto della parola. Lingua e scrittura in Silvana Grasso: «La Grasso è una raffinata evocatrice di mondi linguistici in cui italiano e dialetto sono però due facce della stessa identità», ebbe a dire la professoressa Castiglione in altra circostanza.
«L’ultima fatica letteraria di Silvana Grasso – spiega Giovanna Di Marco – è in fondo un tributo all’arte dello scrivere e all’ispirazione. È un romanzo che parla di come possa nascere un romanzo, tutta la storia verte su questo».
La storia è tante storie, è molto altro, ma fondamentalmente è una storia di libertà, emancipazione, con una buona dose di amor fati. Non troverete mai in Silvana Grasso gli spruzzi di acqua benedetta del perbenismo, dei suoi molteplici inganni e mistificazioni. Siamo nel ’68. Sembra che la protagonista sia anche impegnata politicamente. Indossa la minigonna. Affronta il tema dell’emancipazione femminile, in alcuni casi relegata davvero all’ansia di perdere la verginità: “Scopare era la bandiera dell’emancipazione, sventolata da ragazze di paese, costrette a una doppia vita, per poterne vivere anche solo le briciole di una vera, libera, eccitante ed erotica”, scrive la Grasso, spruzzando invece acido fenico.
«Per molti scrittori di oggi – ci sovviene ancora Giovanna Di Marco – sicuramente è utile parlare di tematiche alla moda (diversità, handicap, immigrazione, integrazione), diversamente per la Grasso, è più importante focalizzare il tema eterno e insoluto dell’uomo: il senso tragico dell’esistenza, l’identità evanescente dell’individuo, il potere dell’illusione che solo l’arte può fornirci quando si sa che tutto intorno è scabro e vuoto, senza senso».
«Conta solo l’Uomo – scrive Silvana Grasso con penna caustica – ma soprattutto i suoi grumi contano, quelli impossibili da sciogliere con qualsiasi diluente, e meno che mai con la comprensione. Quei grumi che, dalla nascita alla morte, sono il suo vero patrimonio, la sua vera identità, non la sua condanna».
Un teatro eterno quindi, in cui l’Uomo è a volte eroico, molto più spesso, drammaticamente grottesco.