Il suo percorso nel mondo del calcio per certi aspetti può essere considerato insolito, dato che ha deciso di svestire i panni da calciatore all’età di 24 anni.
Angelo Bognanni (nella foto), le più grandi soddisfazioni, se l’è tolte seduto in panchina, confermandosi anno dopo anno tra i tecnici più validi del panorama siciliano. Nonostante ancora possa essere considerato giovane per il ruolo che ricopre (34 anni), ha già alle spalle tantissime esperienze in panchina, tra cui quella con l’Atletico Gela del vulcanico presidente Cristian Paradiso. L’ anno che sicuramente ricorda con maggiore emozione è sicuramente il 2012, quando si trovò a stretto contatto con Antonio Conte, al primo anno sulla panchina della Juventus. Nel 2017 responsabile Accademy dell’Udinese in Sicilia. Adesso allena la Nissa, con la speranza di emulare le gesta del gelese Boscaglia, riportando la società in serie D.
– La sua carriera da allenatore inizia da giovanissimo. Cosa lo ha spinto ad intraprendere questo percorso?
«Ho giocato fino a 24 anni, vestendo anche la maglia della Berretti del Gela. A poco a poco, però, cominciai a guardare sempre più verso la panchina, affezionandomi a questo ruolo e chiedendomi come fosse stare dall’altra parte del campo. C’è stato sin da subito “un fuoco” dentro me. Ho mosso i primi passi da allenatore con la Buterese, da li sono partito verso il nord, in particolare sono entrato nel mondo della Juventus. Dopo l’esperienza in bianconera, sono andato via dall’Italia, trasferendomi in Svizzera ed allenando una squadra del posto in quella che qui sarebbe la serie C2. Tornato in Sicilia, ho girato tanti anni tra Eccellenza e Promozione, sposando anche il progetto Atletico Gela. Adesso con la Nissa ho un obiettivo importante, che consiste nel raggiungere in tre anni la serie D».
– Come si cambia nel passaggio da giocatore e allenatore?
«Il ruolo del calciatore e quello dell’allenatore sono due mondi completamente diversi. Quando giochi, devi pensare solo a te stesso, ci sono altri principi e ci sono prospettive differenti rispetto a quelle del ruolo di tecnico, un compito che richiede molte più responsabilità, avendo “sulle spalle” il gruppo e la società. Devi essere estraneo da tutte le dinamiche esterne, cercando di essere più lucido possibile nelle scelte. È una passione che devi sentire dentro. Non sono d’accordo quando sento parlare di giocatori, che contemporaneamente ricoprono anche il ruolo di allenatori poiché è impossibile fare bene in entrambi i compiti».
– Soffermandoci su quest’ultimo aspetto di cui ha parlato, è corretto dire che un giocatore è più agevolato nel ruolo di allenatore?
«In certi aspetti si, un giocatore conosce determinate dinamiche ed è forse più agevolato dalle varie conoscenze. È vero, però, che non è sempre così tanto importante aver giocato. Ad esempio Sacchi, nonostante non abbia mai ricoperto il ruolo di giocatore è diventato uno dei migliori al mondo in panchina. Potrei prendere come esempio anche Mourinho e tanti altri. A prescindere, il fattore per definire un grande allenatore è vedere come è seguito dallo spogliatoio e per ottenere questo risultato bisogna saper trasmettere le proprie competenze».
– Nel 2012 sei stato a stretto contatto con Antonio Conte. Come lo descriveresti?
«Quella con la Juventus e nello specifico con lui, è stata un’esperienza che mi ha segnato. E’ una grande persona, un grande lavoratore che dentro il campo da tutto. Al di fuori dal luogo di lavoro è una persona umile, che si fa ben volere. La sua vera forza da allenatore è nel sapere dare tutto se stesso ai giocatori e questo viene ricambiato. Lo abbiamo visto all’Europeo del 2016, con una rosa non delle migliori è riuscito a raggiungere un risultato alla vigilia impronosticabile».
– C’è qualche aneddoto che le è rimasto particolarmente impresso nella mente?
«Mi ricordo, durante una seduta di allenamento, mentre stavamo parlando si accorse di un errore di postura da parte di Lichtsteiner. Si alzò e per circa 30 minuti cercò di correggere il giocatore, spiegando minuziosamente il lavoro da compiere. Non per caso si vincono tre scudetti consecutivamente».
– Dall’Italia alla Svizzera, come cambia il modo di intendere il calcio?
«Due realtà totalmente diverse. In Svizzera non si vive il calcio in maniera maniacale come qui. In Italia si parla 24 ore su 24 di pallone con tutti, dai dirigenti ai tifosi. Il clima in Svizzera è più leggero, le società ti lasciano più tempo per lavorare ed ottenere risultati. In quegli anni della mia presenza, l’approccio delle squadre era molto fisico, mentre adesso nelle partite si vede molta tecnica. Devo dire che era piacevole curare la parte atletica anche in virtù dei campi innevati. Prediligendo l’aspetto tattico ho sin da subito ricevuto apprezzamenti per il mio modo di lavorare».
– In Sicilia, è stato protagonista anche a Gela con l’Atletico.
«Si, quella a Gela è stata un’esperienza che mi ha fatto crescere. Quell’anno (2014) raggiungemmo la salvezza con qualche giornata di anticipo. Lanciammo qualche giovane interessante, creando un bel gruppo».
– Ha collezionato tante esperienze in Eccellenza. Nel corso degli anni la categoria è diventata più competitiva?
«Assolutamente sì. Questo è dovuto al fatto che molti giocatori dalla serie D non hanno “timore” a scendere di campionato. Finalmente le società dimostrano di poter dire la loro anche in campionati superiori e questo è sintomo di un’ottima programmazione. Esempio lampante il Licata, neo promossa che ha ben figurato in serie D».
– Parlando di questi mesi, pensa siano state prese le giuste decisioni vista l’emergenza Coronavirus?
«È stato giusto fermarsi e non riprendere. Nei dilettanti non ci sono le stesse comodità della serie A. Penso che la Lega abbia lavorato in modo da recare meno danni possibili al sistema, anche per quanto riguarda promozioni e retrocessioni. Il prossimo anno molte squadre punteranno sui giovani del proprio vivaio, dato che sarà difficile poter spendere cifre esose».
– Come stava procedendo il campionato con la Nissa in Promozione?
«Abbastanza bene. Sono arrivato a gennaio ed in questi pochi mesi di lavoro avevamo invertito una striscia negativa, mettendoci in una posizione più tranquilla (settimo posto con 33 punti). Peccato essere stati interrotti sul più bello».
– Progetti per il futuro?
«Recentemente sono stato riconfermato alla guida della squadra. La dirigenza ha avviato un progetto importante e per me è motivo d’orgoglio esserne protagonista. Siamo in attesa di capire l’esito di promozioni e retrocessioni. Che sia di nuovo Promozione o Eccellenza, punteremo in alto. Vogliamo raggiungere la serie D».