Da calciatore (centrocampista) per anni ha vestito la maglia della città, ma è da allenatore che ha raggiunto traguardi importanti.
Roberto Boscaglia (nella foto) rientra sicuramente tra i migliori tecnici della serie B e alla guida dell’Entella sta dimostrando nuovamente di poter stare nei grandi palcoscenici. Dopo i primi passi nell’Eccellenza siciliana, la svolta della carriera a Trapani. Sei anni ricchi di successi, che hanno portato il club granata nel campionato cadetto.
Nel 2013 è stato premiato con la Panchina D’Argento (in Seconda Divisione) e l’anno seguente con la Panchina D’Oro per la Prima Divisione. Negli ultimi anni, si è stabilito nel nord Italia, allenando anche il Brescia del vulcanico presidente Massimo Cellino. È stato tra i primi a credere in Sandro Tonali, centrocampista della nazionale, cercato dai grandi club italiani ed esteri.
– Come è stata la sua carriera da giocatore?
«Ho iniziato a giocare nel Terranova. I colori giallorossi hanno sempre contraddistinto la mia carriera professionale, con il presidente Angelo Russello. Sono rimasto tanti anni in quella squadra, che poi diventò Gela. Successivamente, ho vestito le maglie di varie squadre della Sicilia, tra cui quella dell’Enna. Naturalmente da gelese, il Vincenzo Presti è uno stadio che ti rimane dentro. Ho giocato con tanti ragazzi con i quali ancora oggi sono in contatto. Periodi bellissimi, molto liberi dal punto di vista mentale, da grande ho iniziato la carriera da allenatore».
– Gli inizi da allenatore sono legati ad Akragas, Alcamo e Nissa
«Si, ho iniziato ad allenare ad Agrigento, subentrando a Gaetano Longo a novembre. Siamo arrivati secondi, dietro al Licata, vincendo la Coppa di categoria. L’ anno seguente, mi sono trasferito ad Alcamo, vincendo campionato e coppa regionale. A Caltanissetta, con la Nissa, col presidente Mannino, riuscimmo ad arrivare in serie D dopo circa 14 anni. Dopo due anni sono arrivato a Trapani».
– Trapani la prima grande esperienza. Ben sei anni sulla panchina granata con dei risultati incredibili, che hanno portato al raggiungimento della serie B. Nel 2009 cosa lo ha spinto a sposare il progetto della famiglia Morace?
«Il Trapani era una grande società tra i dilettanti, con l’ottimo presidente Morace. Una città dalla grande tradizione calcistica, che già negli anni precedenti al mio arrivo aveva sfiorato la serie D. Tutto questo mi ha spinto ad accettare l’incarico. Tutto potevamo aspettarci, ma mai in queste dimensioni. Magari, molti pensano che la finale playoff persa contro il Lanciano nel 2012, possa essere considerata come l’unica pecca del nostro percorso, ma in realtà penso che quell’occasione ci fece capire, che probabilmente non eravamo maturi per il salto di categoria. In quella stagione, nell’allora Prima Divisione, partimmo con l’obiettivo di salvarci, poi il campo disse altro, ce la siamo giocati con tutti. A fine campionato arrivammo a corto di energie, la squadra era formata da 14/15 elementi e questo rende complicato tutto. Paradossalmente, non gestimmo 10 punti di vantaggio sulle inseguitrici.
Va dato merito al presidente Morace, nonostante l’amaro in bocca, di non essersi demoralizzato, ripartendo l’anno seguente con obiettivi di altra classifica. Il girone vedeva la presenza di squadre come Carpi e Lecce, conquistammo la promozione in B mantenendo un punto di vantaggio per 10/11 giornate, entrando nella storia del Trapani Calcio. La forza di gruppo ha fatto la differenza, tutti i giocatori avevano in testa quel traguardo, diventato sogno. Alcuni di loro erano esordienti, ma sono riusciti a mantenere sulle spalle una grande responsabilità, facendo ricredere anche la gente che nelle prime giornate non ci fu molto vicina, scottata dalla precedente delusione. Avere una dirigenza che ti supporta nelle scelte tecniche e tattiche è anche un aspetto molto importante. Come nella vita di tutti i giorni, anche nel calcio, negli anni si impara a fare sempre meno errori».
– In B due stagioni nelle quali il Trapani si è classificato al 14°posto e l’anno seguente in undicesima posizione. Il 10 marzo, dopo la sconfitta contro il Crotone, viene esonerato. Possiamo dire che, seppur in modo brusco, era giunta la fine del vostro ciclo?
«Nella prima stagione sfiorammo i playoff, ma sbagliando due partite principalmente, una contro il Lanciano pareggiando 2-2 dopo essere stati in vantaggio 2-0 e l’altra in casa contro il Cittadella, scendemmo di posizione. Nella seconda, nonostante il mio esonero, la squadra navigava nelle zone tranquille della graduatoria. Il rapporto si era logorato e quindi è stato giusto separarci, ha fatto a tutti bene cambiare. Continuo ad avere un ottimo rapporto con tutti, dal presidente al ds Faggiano. Resta comunque un percorso indimenticabile».
– Nel 2013, precisamente il 12 dicembre, il Trapani ha affrontato l’Inter a San Siro per il quarto turno di Coppa Italia. Che emozioni ha vissuto entrando nel tempio del calcio?
«A San Siro ho vissuto tante emozioni. Per arrivare lì battemmo l’Albinoleffe 3-0, poi il Padova. Preparammo quella partita, consapevoli che la vittoria ci avrebbe permesso di sfidare i nerazzurri. Contro l’Inter fu una partita molto strana, nel primo tempo perdevamo 3-0. Entrati negli spogliatoi dissi ai ragazzi di giocare con più calma, divertendoci, dato che non avevamo nulla da perdere, riuscendo a recuperare 2 reti e rischiando anche di pareggiare. Siamo usciti tra gli applausi, con oltre quattro mila tifosi al seguito e tanti altri che ci seguivano dalla tv. Quello era da considerare come punto di partenza. Sicuramente rientra tra le tre partite più importanti. Ricordo, anche quella contro l’Avellino per la promozione in Prima Divisione con gol di Pirrone nei supplementari e il 4-3 di Cremona per la serie B con rete di Mancosu».
– Gli anni successivi esperienze sulla panchina di Brescia e Novara. Quella con le rondinelle, in particolare la seconda parte, è stata per certi aspetti travagliata?
«Con il mio “primo” Brescia tutto andò bene. Disputammo un campionato straordinario, sfiorando i playoff con un gruppo di giovani. Una tifoseria meravigliosa. Non rimasi per la situazione societaria poco chiara, decidendo di sposare il progetto del Novara, altra esperienza importante, con i playoff mancati per un soffio. Dopo un anno sono tornato a Brescia, esonerato dopo otto giornate dal presidente Massimo Cellino e richiamato a gennaio del 2018. Ad aprile fui nuovamente sollevato dall’incarico, ma la squadra era già salva. Resta comunque un percorso che ricordo con piacere, riuscendo anche a far emergere Sandro Tonali».
– Tonali sarà sicuramente tra i protagonisti della prossima sessione di mercato. È conteso da Juventus e Inter, lei in quale squadra lo vedrebbe meglio?
«Sandro è un giocatore completo, nonostante la giovane età. Può giocare in tutti i ruoli, ha un’intelligenza calcistica da veterano. Può fare bene ed essere protagonista in qualsiasi squadra».
– Adesso allena l’Entella con la quale lo scorso anno ha conquistato in B. Attualmente occupate la decima piazza con 38 punti, a ridosso della zona playoff. Su cosa si basa il progetto ligure e quali sono gli obiettivi della società?
«Sono arrivato lo scorso anno, scendendo dopo 5 anni di categoria. Il progetto dell’Entella era l’unico per cui avrei preso questa decisione. Conoscevo società e ambiente, sapevo che si poteva vincere. Il problema, quando sono arrivato, era legato al mancato ripescaggio in B per la mancata iscrizione di Bari, Avellino e Cesena. Il nostro percorso in C partì con due mesi di ritardo, costringendoci a giocare tantissime partite in pochi mesi. Nonostante questo “intoppo” siamo riusciti a vincere il campionato. I ragazzi sono stati straordinari. In questa stagione, il nostro obiettivo è la salvezza. Abbiamo fatto bene nelle prime partite, poi abbiamo avuto un piccolo calo. Ci serve qualche altro punto per essere sicuri della permanenza in categoria. Il presidente ha voglia di fare bene e non ci poniamo limiti».
– Possiamo dire che il progetto Entella è per certi aspetti simile a quello di Trapani?
«Sono molto somiglianti. Naturalmente la differenza consiste nella capienza della città, Chiavari è molto più piccola di Trapani. Ci sono tante analogie, dall’attaccamento dei tifosi fino alla responsabilità che sentono i giocatori a vestire questa maglia che rappresenta la città».
– In questi giorni si parla tanto di una possibile ripresa dei campionati. Quale è il suo pensiero a riguardo?
«Il mio punto di vista è che si sta cercando di ripartire per salvaguardare tutto il patrimonio. Si attendono misure certe dal Governo, i medici non possono assumersi la responsabilità di tutto. Ad oggi, non si può essere certi che nessun giocatore o membro dello staff venga contagiato. Se ci deve essere una ripartenza, bisogna farlo in completa sicurezza. Penso che ci siano persone molto più competenti di me, l’unica cosa che mi sento di dire è che bisogna stare attenti. Per quanto riguarda la stagione sarà come un mini campionato, una lotta incredibile per le varie posizioni. È una situazione nuova per tutti. Con la mia squadra mi tengo sempre in contatto, organizzando delle call di gruppo, cercando di tenere sempre alta la tensione».
– Tornando a parlare di Gela, secondo lei cosa è mancato in tutti questi anni per avere una squadra in una categoria importante?
«A Gela manca un investitore, uno che ama la città. Se si aspettano sovvenzioni da altri enti si va fuori strada. L’ imprenditore, se vuole fare calcio, deve sapere spendere, consapevole che poi con la giusta organizzazione si può costruire qualcosa di utile. Il calcio non è solo uno sport, è rappresentare una città, il proprio essere e portare avanti dei valori. Io sono cresciuto con il Gela di Fofò Ammirata e in quegli anni tutti si riconoscevano in quella realtà. Poi ovviamente un altro problema è legato alle strutture, sia per giocare, sia per allenarsi. Bisogna avere a cuore prima la città».
– Un giorno, magari a fine carriera, le piacerebbe allenare la squadra della propria città?
«Questa è una domanda da un milione di dollari. Tutti vorrebbero allenare la squadra della propria città, ma è naturale che ci dovrebbero essere presupposti importanti. Io vorrei vedere una squadra in serie C, serie B e magari serie A. Per ora sono discorsi “vuoti”. Gela ha bisogno di rialzarsi sotto tanti aspetti, anche nello sport. Bisogna tornare tutti allo stadio a tifare i nostri colori».