Attaccante dai gol impossibili, Francesco Semplice (nella foto) rientra sicuramente tra le vecchie glorie che il calcio gelese può vantare.
Gran parte della sua carriera è legata ai colori giallorossi del Terranova Gela, ma tante sono state le esperienze in giro per la Sicilia e l’Italia, tra serie C e D. Un percorso ricco di alti e bassi – che come afferma – non gli hanno permesso di consacrarsi nel calcio dei grandi. Adesso lavora in un supermercato della città, ma non nasconde la voglia un giorno di mettersi in gioco come allenatore, possedendo anche il patentino Uefa B grazie al quale è possibile guidare tutte le prime squadre fino alla Serie D compresa e tutte le giovanili, con l’esclusione delle formazioni Primavera e Berretti.
«Ho iniziato a giocare sin da piccolino qui a Gela. Con i miei genitori, mi sono trasferito a Parma un signore mi notò, chiedendomi di giocare per una squadra della città, il Milan Club Parma. Da lì, mi sono dovuto trasferire a Carrara, per cui per continuare il campionato a cui stavo partecipando, ogni giorno facevo da pendolare, circa 250 chilometri al giorno. Terminata la stagione con la squadra emiliana, sono passato alla Carrarese, andando anche in ritiro con la squadra in C1. Purtroppo, quell’esperienza non durò molto poiché con la mia famiglia ritornammo a Gela. A 14 anni ebbe inizio la mia esperienza con il Gela JT in serie D.
In quella stagione 1994/1995 collezionai quattro presenze e sei gol, stuzzicando l’interesse del Napoli che, mi inserì in prima squadra, ma non scendendo mai in campo. Facevo parte anche della squadra Primavera e al torneo di Viareggio ho incontrato, tra i tanti, Gianluigi Buffon, Fabio Liverani, il campione del mondo 2006 Luca Toni e l’ex attaccante del Bologna Marco Di Vaio. Purtroppo, a causa di vari infortuni, la mia esperienza partenopea si concluse anticipatamente, tornando quindi a Gela. Boskov credeva molto in me».
Il ritorno in città è stato sempre significato di ripartenze. Fofò Ammirata un allenatore a cui deve molto.
«Credette in me facendomi esordire così giovane. È un grande uomo, un grande professionista che meritava sicuramente maggiore successo».
Con il Marsala nel 1997, un secondo treno importante per spiccare il volo.
«Un’altra esperienza alla quale sono legato particolarmente è quella con i colori biancazzurri. Lì ho conosciuto Patrice Evra, che allora giocava nel ruolo di attaccante. Un ragazzo umile, ben voluto da tutti. Mi ricordo, che per scendere in campo gli dovetti prestare un paio di scarpe, dato che allora non possedeva molti soldi per acquistarle. È un grande piacere vedere dove è riuscito ad arrivare».
Da Marsala a Vicenza, cinque anni per inseguire un sogno.
«Purtroppo nelle carriere ci sono alti e bassi. Il club vicentino mi cedette in prestito alla Lodigiani e ad altre realtà, per consentirmi di fare esperienza, ma purtroppo un altro brutto infortunio mi tarpò le ali».
Nonostante questi intoppi, è riuscito sempre a lasciare il segno con gol di rara bellezza, in particolare ne ricorda uno, nel 2004 in Gela-Chieti in C1. Una prodezza che ricorda le gesta di Marco van Basten, tiro all’incrocio dei pali. Altra importante gioia contro l’Andria al 96’, con il Vincenzo Presti tutto esaurito.
L’ ultima esperienza importante nel 2007 con la maglia del Casale. In quegli ultimi anni ha avvertito il cambiamento di intendere il calcio.
«Prima era uno sport principalmente fisico, in cui chi era più prestante aveva maggiore possibilità di spiccare. Adesso, c’è più tecnica e soprattutto tattica».
Parlando dei giorni d’oggi non nasconde l’amarezza per la mancanza di una squadra nelle alte categorie.
«Purtroppo con la scomparsa di Angelo Tuccio, il calcio a Gela ha toccato un basso livello. Oggi manca la volontà di fare gruppo, quattro squadre sono troppe. Se ne potrebbe pensare ad una, con un settore giovanile di tutto rispetto. Da loro si deve partire per costruire un progetto duraturo nel tempo. Anche i problemi legati alle strutture sportive penalizzano e non poco».
Continua a seguire a distanza il calcio, da allenatore si ispira molto al gelese Roberto Boscaglia, protagonista in B con l’Entella.
«Il suo modo di intendere calcio mi è sempre piaciuto. Non si nasconde mai, gioca sempre per conquistare la vittoria. Anche a San Siro, sulla panchina del Trapani contro l’Inter in Coppa Italia, ha dimostrato di avere coraggio, chiedendo alla sua squadra di lottare dal primo all’ultimo minuto, riuscendo anche ad impensierire i nerazzurri. Se un giorno dovessi mettermi in gioco sarebbe il mio esempio, ma è molto difficile.
Il mio attuale lavoro non me lo consentirebbe. Sono padre e la mia priorità è garantire il benessere alla mia famiglia. Il mondo del pallone non ti da tante sicurezze sotto questo aspetto. È importante per tutti capire quando arriva il momento di appendere gli scarpini al chiodo e intraprendere un’esperienza lavorativa totalmente differente. Cambiare è anche segno di umiltà per qualsiasi impiego si tratti».