Una delle modifiche più rilevanti del sistema elettorale italiano è stata l'abolizione delle preferenze, che impedì le cordate elettorali, che permettevano di quadruplicare il risultato.
La cordata era lo strumento principe delle correnti, perché tagliava fuori i candidati che non militavano all’interno delle correnti dei partiti e costituiva una delle regioni della formazioni delle correnti. Le cordate favorivano le correnti strutturate all'interno dei partiti ed impedivano a chi non ne faceva parte di competere. Furono tacciate anche di inquinare la politica, permettendo l'accesso solo per cooptazione.
Oggi il ritorno alle preferenze viene reclamato con forza, perché si è passati alla sponda opposta: si vota la lista e i candidati vengono eletti a seconda dei quozienti che la lista conquista. Le segreterie politiche, una oligarchia ristretta, decide in pratica chi andrà in Parlamento e chi ne rimane fuori. Ci sono candidati che non hanno alcuna possibilità di essere eletti ed altri che invece non hanno bisogno di aspettare lo spoglio per sapere di potere entrare a Palazzo Madama o alla Camera dei Deputati. Talvolta è una sola persona, il presidente o il segretario del partito, titolare del simbolo, o un suo delegato, a decidere.
Se caliamo il sistema elettorale vigente in sede locale, nei collegi di Gela (camera e Senato), non si possono nutrire dubbi di sorta: meglio di gran lunga prima. Forza Italia ha scelto i candidati nella ristretta cerchia degli amici del Cavaliere.
Agli elettori gelesi è spettato il privilegio di mandare alla Camera una candidata che vive ed opera da sempre nel milanese e che nella precedente legislatura si era fatta notare per la totale assenza: non aveva mai partecipato ai lavori parlamentari. Un record, sul quale gli elettori gelesi, che sono tanti, hanno apposto il loro suggello, assumendosi la responsabilità di avere permesso un simile scempio del buon senso e della democrazia.
Naturalmente, gli elettori avrebbero avuto la possibilità di bocciare la candidata assenteista e distante sideralmente dal territorio, la democrazia si fa male da sé, ma ciò non avviene perché le motivazioni che accompagnano l’elettore, talvolta con riluttanza, dentro l’urna non hanno nulla a che fare con il profilo del candidato. Concorrono un numero infinito di fattori nell’adempimento del dovere-diritto di voto, ma il fattore più qualificato, il giudizio di merito sul candidato, non è preso in considerazione.
Era meglio prima dunque?
La questione della reintroduzione del voto di preferenza in Italia è complessa e suscita dibattiti accesi. Da una parte, alcuni sostengono che il voto di preferenza consentirebbe ai cittadini di esprimere una scelta più precisa all'interno del partito prescelto, dando loro maggior potere e controllo sulle candidature. Dall'altra parte, vi è il timore che reintrodurre le preferenze potrebbe favorire ancora una volta la formazione di cordate elettorali e dare troppo potere agli apparati di partito, a discapito della meritocrazia e della competizione democratica.
Una possibile soluzione potrebbe essere quella di introdurre il voto di preferenza in modo limitato, ad esempio consentendo ai votanti di esprimere solo una preferenza aggiuntiva, anziché più di una. In questo modo si potrebbe cercare di bilanciare il desiderio di maggiore partecipazione e controllo da parte dei cittadini con la necessità di evitare gli abusi e le distorsioni che possono derivare dalle cordate elettorali.
Tuttavia, qualsiasi decisione riguardo alla reintroduzione delle preferenze dovrebbe essere presa con molta attenzione e dopo un'ampia consultazione pubblica, prendendo in considerazione i potenziali vantaggi e svantaggi di questa modifica al sistema elettorale italiano.
Tornando a Gela, va ricordato tuttavia che le cose non andavano meglio al tempo delle cordate. Fino agli ani settanta, con qualche sparuta eccezione, il comune più popoloso della provincia di Caltanissetta, cioè Gela, non riusciva ad avere una rappresentanza parlamentare perché i due partiti egemoni avevano regole non scritte che non favorivano le candidature scollegate al vertice provinciale.
A dettare le consuetudini svantaggiose per il comune più popoloso erano i cacicchi del capoluogo di provincia, che disponevano a Gela di un nutrito numero di fedeli esecutori delle disposizioni dei capicorrente o delle segreterie. Da un lato il centralismo democratico, così si chiamava il sistema di partecipazione assegnato ai militanti e dirigenti del Pci, e dall’altro il correntismo esasperato della Dc, replicavano uguali risultati, tagliando fuori Gela.
Guardando l’attuale stato dell’arte in campo largo, il vecchio passepartout del centralismo democratico e del correntismo democristiano andrebbe considerato quasi con benevolenza per come stanno le cose oggi, ma la benevolenza non rende affatto felici.
I centralismi ignorano la rappresentanza del territorio, con la complicità di elettori ignari e, talvolta, irresponsabili: è una piramide da scalare, che vede in sequenza, il centralismo provinciale, quello regionale e l’altro, romano. Roba da alpinisti del Nepal, dove i magnifici sherpa, scalatori provetti, hanno fatto da maggiordomi agli eroi dell’Occidente, prolifico di eroi.