Alunno di seconda media, presso il plesso A. Aldisio di Gela, ancora dodicenne, subii il sei in condotta sulla pagella di metà mandato, secondo trimestre.
Il sei fu alzato a otto a fine anno ed evitai la bocciatura. La causa fu una bravata il giorno di Carnevale, l’esplosione di una bomboletta fetida, allora in auge, che sparse nell’aula un odore insopportabile, provocando la terribile reazione del prof di lettere, la visita immediata del Preside in classe e la successiva deliberazione del consiglio di classe dopo una indagine per scoprire i colpevoli.
L’avventura che racconto suscita oggi un sorriso, ma allora mi fece star male. E non ebbe nulla di educativo. Instillò paure, ansie, timidezze che mi portai dietro per alcuni anni. Quel provvedimento, non ci crederete, turbò i miei sogni giovanili così a lungo da farmi pensare, a distanza di tempo, che abbia vissuto un trauma. Il mio comportamento scolastico era irreprensibile ed il prof che denunciò l’episodio un gentiluomo dalle idee liberali e moderne.
Alla luce di quel che avviene oggi, l’episodio avrebbe potuto concludersi con una lavata di capo e basta, invece la rigida norma impedì che finisse con un esemplare rimprovero: il mio curriculum scolastico fu macchiato dal sei in condotta, la pedagogia libertaria del prof. da una punizione che non era nelle sue corde, la bonomia del Preside da una severità spropositata. Più che le volontà dei protagonisti fu la legge, dura lex sed lex, a farla da padrone.
I miei pregiudizi sulla volontà di una sostanziale reintroduzione del voto di condotta da parte del Ministro dell’Istruzione Valditara, sono giustificati? Vale la pena soffermarsi sulla distinzione tra voto di condotta e voto di comportamento, che dovrebbe sostituire il voto di condotta. Introdotto da un Regio Decreto del maggio 1923, il voto di condotta nasce in una scuola d’impianto militaresco-carcerario, in cui si parla espressamente di promozione come di qualcosa che viene “conferito” agli alunni in seguito a un voto sufficiente in “profitto” e uno in “condotta”, laddove per condotta s’intende un modo di comportarsi degno, un contegno o un costume che non sia riprovevole. In ambito carcerario per buona condotta si intende appunto il comportamento leale e corretto del detenuto durante l’esecuzione della pena.
Il voto di condotta, originariamente concepito in un contesto fortemente autoritario e disciplinare, rifletteva un'impostazione quasi militaresca della scuola profondamente radicata in un'epoca storica che valorizzava la conformità e la disciplina sopra tutto, con una chiara separazione tra merito accademico e comportamentale ed una logica di premi e punizioni chiara e spesso inflessibile. Nel contesto scolastico, questo sistema mirava a produrre cittadini conformi e disciplinati, piuttosto che individui critici e indipendenti.
L'abolizione del voto di condotta nel 1999 è stata un passo verso un'educazione più incentrata sull'individuo, il cambiamento mirava a liberare le istituzioni educative da un retaggio autoritario, permettendo loro di focalizzarsi più sullo sviluppo integrale del discente.
Abolito in seguito all’introduzione dell’autonomia scolastica, il voto di condotta risorge oggi sotto forma di “valutazione del comportamento” allo scopo di «tornare alla scuola del rigore», «sappiamo che l’aumento degli episodi di bullismo preoccupa molto genitori e insegnanti». Questo approccio, se non bilanciato con una solida comprensione del contesto socio-emotivo in cui gli studenti operano, rischia di reintrodurre elementi di quel sistema punitivo che la riforma del 1999 aveva cercato di superare.
Sostituendo la condotta con il comportamento, scrive Giuseppe Giusti sul Domani, il legislatore opera una sottile e insidiosissima manipolazione: pur sapendo di collocarsi nel solco di una specifica tradizione educativa pre-democratica, che vede nel voto di condotta un deterrente e uno strumento di controllo della persona, finge di aderire alla più democratica esigenza di valutare il comportamento come elemento costitutivo dell’apprendimento. La proposta evoca, senza dubbio, l'ombra di un passato educativo autoritario, in cui il voto di condotta fungeva più che altro come strumento di disciplinamento piuttosto che come misura educativa.
La preoccupazione sorge quando la nuova terminologia, il comportamento piuttosto che la condotta, apparentemente più moderna e inclusiva, potrebbe nascondere le stesse vecchie pratiche autoritarie sotto una nuova veste. Come diceva George Orwell, "Il linguaggio politico... è progettato per far sembrare vere le bugie". Ricordo, ad esempio, Italo Calvino, che nelle sue "Lezioni americane" riflette sulla rigidezza dell'educazione ricevuta. Ponendo un'enfasi eccessiva sulla disciplina, i sistemi rigidi soffocavano la creatività e l'iniziativa personale, elementi oggi ritenuti fondamentali nel processo educativo.
La scuola, ricorda ancora Giusti, non è da intendersi come servizio pubblico funzionale alla rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona e la partecipazione alla vita del Paese (art. 3 della Costituzione), né tantomeno come un luogo in cui si promuove lo sviluppo della cultura (art. 9), ma è semplicemente il «contesto lavorativo degli insegnanti e del personale scolastico come se non fossero sufficienti il codice civile e il codice penale, lo Stato intende conferire a scuole e insegnanti il potere di definire un sistema di regole e di punizioni funzionale al mantenimento dell’ordine.
La descrizione della normativa che conferisce agli insegnanti il potere di stabilire un sistema di regole e punizioni per "restituire serenità" sembra indicare una priorità data alla gestione e al controllo, piuttosto che all'educazione e alla crescita personale.
L'articolo 3 della Costituzione italiana, che mira a rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, enfatizza il ruolo della scuola come promotore dell'equità sociale. Inoltre, l'articolo 9 sottolinea il dovere della scuola di promuovere lo sviluppo della cultura, facendola diventare un fulcro per l'innovazione intellettuale e creativa.
Se la scuola viene considerata principalmente come un ambiente di lavoro da proteggere tout court, la sua mission educativa potrebbe essere messa in secondo piano, riducendo l'istituzione a un meccanismo per il mantenimento dell'ordine e della disciplina. Forte è il rischio di trasformare la scuola in un ente che impone conformità e uniformità, piuttosto che incoraggiare il pensiero critico e l'individualità.
In conclusione, il dibattito su voto di condotta e valutazione del comportamento riflette una tensione più ampia tra la necessità di mantenere l'ordine e la disciplina nelle scuole e il desiderio di promuovere un ambiente educativo che rispetti e sviluppi l'individualità e la crescita personale degli studenti. È cruciale che qualsiasi forma di valutazione comportamentale nelle scuole sia attuata con attenzione, sensibilità e nel rispetto dei diritti e delle esigenze individuali degli studenti, in modo da non ripetere gli errori del passato, ma piuttosto per costruire una scuola che sia veramente inclusiva e formativa.
Alcune domande conclusive. Siamo davvero sicuri che il bullismo si “curi” con la valutazione di comportamento per gli alunni? Si è sufficientemente riflettuto sugli episodi di bullismo genitoriale, le gravi aggressioni a docenti colpevoli di una valutazione negativa o di un rimprovero?
Perché gli episodi, gravissimi, di aggressioni a docenti da parte degli allievi, non sono stati consegnati alla magistratura ordinaria e puniti come si fa per ogni reato che coinvolge i minori? Perché la preparazione dei docenti, il loro trattamento dignitoso non è oggetto di alcuna considerazione? Perché non c’è una visione della scuola all’altezza dei compiti che le vengono affidati? Come giudicare l’intenzione di affidare alle università telematiche la formazione dei docenti?
E’ vietato sognare una pagella trimestrale per il comportamento dei Ministri della Pubblica Istruzione, che da decenni, una ne fanno e cento ne pensano?