Il Corriere di Gela ha posto l’accento di recente su una consuetudine che sembra avere molti seguaci e godere di una sorta di impunità, l’acquisizione illecita di un bene pubblico:
un marciapiede, una stradina, una piazzetta. L’abuso più frequente è quello di piccola taglia, per il quale si può indulgere, voltarsi dall’altra parte, far prevalere la tolleranza e la pace sociale. L’indulgenza, e non c’è da meravigliarsi, spiega la crescita del fenomeno.
E spiega perché è stata utilizzata dai cercatori di consenso (elettorale e non solo), per giustificare la loro cecità consapevole, bandire vigilanza e controlli, creando le condizioni ideali perché l’usucapione, cioè il possesso lecito di bene altrui, previsto dalla legge, si trasformi in “usumarpione”, possesso illecito in cambio di consenso, do ut des, restituzione del favore, quieto vivere, “pax” sociale. La credenza che il piccolo abuso non faccia male a nessuno è una maldestra e falsa giustificazione: l’impunità priva la comunità di beni che appartengono a tutti.
L’usumarpione ha radici solide, tuttavia. La sua pietra d’angolo è una istituzione laica, vecchia di secoli: il comparaggio, un fenomeno così pervasivo, seppure apparentemente desueto nelle forme e nel linguaggio.
Come nasce, cresce e si alimenta dalle nostre parti?
Il compare è il padrino di battesimo o di cresima, l’appellativo dato a persona che si conosce, il complice di un'azione illecita. Da qualche tempo il comparaggio ha assunto prevalentemente il significato di un Illecito accordo fra medici e aziende farmaceutiche per cui i primi si impegnano dietro compenso ad agevolare la diffusione dei medicinali da queste prodotti.
Nulla a che fare con il comparatico, che è il rapporto tra il padrino o la madrina e i figliocci, oppure tra testimoni di nozze e sposi, chiamati “compari di anello”. Il compare è ancora oggi una persona per bene, un amico cui si è legati da un vincolo affettivo che occorre rispettare e privilegiare, ma anche il complice di trame truffaldine, accordi sottobanco, tradimenti e “infamità”, per usare il dialetto siciliano.
I due caratteri del comparaggio sono sopravvissuti, nel Sud d’Italia, ad ogni epoca, e si sono adattati alla modernità; la convivenza delle due facce della medaglia suggerisce che la relazione di comparaggio mantiene in sé un humus solido qualunque sia il terreno nel quale viene seminata. Il comparaggio comporta l'obbligo della stima, della fiducia e dell'aiuto reciproco e instaura legami che solidi e duraturi quasi come quelli parentali. E’ un collante così forte da resistere nella cattiva e nella buona sorte.
Il giornalista palermitano Daniele Billitteri ha analizzato gli elementi salienti questa tradizione: ”Il meridionale ubbidisce a leggi diverse da quelle della modernità. Nel meridione valgono altre regole. Regole più antiche e più cogenti di quelle scritte sui pezzi di carta approvati in Parlamento.” Quali sono queste regole? Billitteri non ha dubbi: “Una per tutte: il rispetto. Rispetto verso la famiglia, rispetto verso i compari, verso chiunque lo abbia meritato.”
C’è un dettaglio essenziale. Il rapporto privilegiato passa sopra ogni regola, ogni legge, ogni evento, buono o cattivo che sia. Il comparaggio instaura una sorta di sacralità. “Davanti all’ipotesi di favorire, in un concorso pubblico, una persona cui deve rispetto il burocrate moderno si asterrebbe dal proprio ufficio pur di non violare, o anche solo far credere che avrebbe potuto violare, la legge dello Stato.
Per il meridionale di sacro c’è invece solo la religione. Astenersi per il meridionale significa fare un torto al proprio compare. Il dovere del meridionale è quello di fare tutto ciò che è in proprio potere per farlo assumere. Il comparaggio prevale sul codice penale. Sarebbe molto più infamante mancare di rispetto che essere condannati per abuso d’ufficio.
”Billitteri è indulgente? “Familismo amorale? Mancanza di senso civico? No. Soltanto rispetto della tradizione e dei suoi principi. Solo tutto quello che scandalizza il filosofo moderno: il buonsenso che impone di essere solidali con chi lo merita.”
Dove sta l’inghippo?
“L’uomo del sud, sostiene Billitteri, seppure rispetta le leggi, comunque, non le venera.” Il giornalista ironizzando ne trae alcune conseguenze: “Il sud è un baluardo contro l’avanzata della modernità, perché la tradizione è tanto forte da non essere ancora stata sradicata.” Conclusione? “Essere meridionali è una vera e propria categoria dello spirito che ogni uomo di destra dovrebbe riconoscere e fare propria.”
Nato per rinsaldare relazioni e fare vivere meglio o membri di una comunità, il comparaggio ha subito una metamorfosi letale. Esso, ci ricorda Billitteri, “contribuiva enormemente, poi, a rinsaldare la rete delle relazioni e delle dipendenze personali, l'istituto del comparatico.
Chi teneva a battesimo un neonato o faceva da padrino ad un cresimando diventava automaticamente compare, oltre che per il figlioccio e per la sua famiglia, anche per l'intero suo casato, e tale rimaneva per parecchie generazioni.”
Oggi come stanno le cose?
“Cumpà è inflazionato”, ci ricorda Billitteri. Ormai lo si sente solo davanti alle discoteche ed è di uso adolescenziale. I siciliani antichi si chiamano compare quando lo sono davvero: consuoceri, compari in quanto testimoni di nozze (compreso quello che regala le fedi, il “compare d’anello”) o per effetto del padrinaggio (battesimo o cresima) dei figli dei compari.
”
Nelle vicende politiche, commerciali, negli intrallazzi di qualsiasi natura, il “compare” o al plurale, i compari, sono “solo” intrallazzisti, malnati, truffatori. Il termine, quindi, non viene affatto menzionato dai “compari”, ma da coloro che cercano di delimitare il loro raggio di azione o punire i malfattori.
Il Padrino, infatti, è il compare per eccellenza, gode di carisma e di popolarità, grazie anche al cinema, ma nessun boss di mafia aspira al titolo, peraltro inflazionato e ormai desueto.