Se la macchina non va, chiunque la guida farà poca strada: volontà, abilità, esperienza, contano poco e niente.
La macchina della Regione è farraginosa e costosa: condurla è proibitivo, ottenere buoni risultati pressoché impossibile. Elargisce favori, non diritti. Aiuta l’establishment, piuttosto che lo sviluppo e le buone pratiche. Sul banco degli imputati, la burocrazia, su quello degli inquisitori la politica con la “p” minuscola. E’ nata male, ma è nata, da una genuina voglia di aggiustare la macchina, prima messa a puntoi: la riforma degli enti intermedi.
La Regione scommette sulle province da archiviare e sostituire con aree economicamente omogenee, regolate da un Consorzio scelto dalle comunità interessate, che attua uno dei postulati dello Statuto speciale della Regione siciliana, la Carta costituente della Sicilia.
Ci si provava da sessanta anni. Luigi Einaudi voleva abolire le province e il costituzionalista Costantino Mortati avrebbe voluto sostituirle con un consorzio fra Comuni o una circoscrizione intermedia non obbligatoria «più ristretta della provincia e più omogenea». Si fece altro. L’Assemblea costituente decise che «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni e Comuni. La provincia è una circoscrizione amministrativa di decentramento regionale». Di fatto si preferì lasciare le cose come stavano.
In Sicilia avvenne, più o meno, la stessa cosa. Lo Statuto sposava la tesi di Mortati, con Alessi e Aldisio. Il decentramento amministrativo siciliano avrebbe dovuto articolarsi nei consorzi di Comuni. Niente province, niente prefetture. Sono rimaste in piedi, invece, sia le une che le altre. Modello statalista rinforzato, un esasperato centralismo regionale.
Le burocrazie politiche ed amministrative “provinciali” si sono rivelate inattaccabili. E’ resistita la mappa “fascista” delle province, disegnata dai gerarchi sulla base delle buone relazioni stabilite all’interno delle gerarchie. Basta dare uno sguardo alla carta dei territori per rendersi conto della follia di certe soluzioni, come le “isole” della provincia di Agrigento e Caltanissetta, e il “serpente” che unisce la costa gelese con l’interno dell’Isola e il Vallone.
Nel 1986 l’Assemblea regionale diede una rinfrescata all’impianto fascista. Le province si arricchirono dell’aggettivo “regionali” e di alcune funzioni. Ancora una volta non si toccò niente: «L’amministrazione regionale ai sensi dell’art.15 è articolata in liberi consorzi di comuni denominati province regionali». Mappa identica, nemmeno la finzione di un po’ di maquillage. Più qualche bugia: i comuni non hanno liberamente scelto alcunché, nessun consorzio è stato creato.
I territori provinciali non sono aree omogenee, sono un residuato dell’Italia del Ventennio, modulata al tempo dell’Unità. Nessuna libera scelta, né razionalità; tanta burocrazia. Poi un nuovo step, circa dieci ani or sono: l’annuncio che si varano i Consorzi, gli enti che piacevano al costituzionalista Mortati ed Alessi e Aldisio. L’iniziativa non è siciliana. C’è un effetto trascinamento nazionale, è il tempo degli sprechi da tagliare.
La crisi economica e la necessità di abbattere i costi della politica fanno nascere un movimento abolizionista sia a Roma che a Palermo. Soprattutto in Sicilia, dove il Presidente della Regione, Raffaele Lombardo, e i partiti che sostengono il governo, sono intenzionati a riproporre i liberi consorzi. Lombardo ha fondato un movimento “patriottico”, sicilianista.
I Consorzi sono un marchio di fabbrica della specialità statutaria. E’ così che si spiega un ritorno allo Statuto ed alle sue norme lungimiranti ed innovative. Ridisegnare i territori in modo da privilegiare la realtà economica e gli interessi comuni, senza forzare la mano (ogni tentativo di cancellare le identità provinciali sarebbe destinato all’insuccesso), è il primo necessario passo. Siamo alla vigilia di un mutamento epocale.
La riforma propone scelte impegnative. L’ente intermedio non scompare – significherebbe consegnare alla Regione funzioni, poteri, prerogative delle province – si percorre la strada inversa, il decentramento delle funzioni della Regione. L’obiettivo? Razionalizzare, “spoliticizzare” le strutture, regalare efficienza, ridurre i costi, semplificare le burocrazie: meno politica e più amministrazione, meno carte e più decisioni, meno centralismo e più partecipazione, e un reale decentramento di funzioni, poteri e prerogative dalla Regione ai comuni, attraverso strutture intermedie con una partecipazione delle amministrazioni locali, al fine di realizzare sinergie ed economie di gestione.
Gli effetti positivi non proverrebbero unicamente dall’abolizione degli apparati politici e burocratici, ma dall’efficienza che la razionalizzazione può regalare alla macchina regionale, lenta, impacciata e costosa.
La riorganizzazione delle competenze e il riassetto del territorio consentirebbero il coordinamento e la pianificazione degli interventi su base territoriale attraverso la gestione di servizi comuni in settori di primaria rilevanza come la viabilità, l’istruzione, l’ambiente, lo smaltimento dei rifiuti. Se la macchina della Regione funziona e i servizi migliorano, ne trarranno beneficio l’impresa, il lavoro, la ricerca, la cultura, e si otterranno vantaggi in termini di risparmio, opportunità e sviluppo.
Ma non è la macchina della Regione a mettersi in moto, sebbene la macchina dei sogni, con il Governo Crocetta: il risveglio di soprassalto dopo un lungo torpore, all’indomani della Legge Delrio, governo Renzi a Palazzo Chigi. Riformismo a vele spiegate, siamo alla vigilia del referendum costituizionale, che affosserà la grande riforma e lo stesso presidente del Consiglio, Matteo Renzi.
In Sicilia il Presidente della Regione, Crocetta, annuncia l’attuazione dello Statuto e la nascita dei Consorzi. Riesce ad ottenere da una maggioranza-fantasma, l’abolizione delle province. Il resto è noia. Lo conoscete tutti: un commissariamento che cancella l’esistente, lasciando le amministrazioni territoriali intermedie in un limbo per più di dieci anni. Il risultato è nefasto: i Consorzi, mai nati, salgono sul banco degli imputati; i cittadini, mai consultati, bevono fiele; le province, chiamate Consorzi, “sospese” dall’interregno commissariale, restano senza soldi, i cittadini senza servizi. E il riformismo statutario indossa la maschera dei politicanti azzeccagarbugli.
Naturalmente, vincono quelli che vedono il cambiamento come fumo negli occhi, deputati regionali in testa, spaventati dall’idea di dovere ricostruire le clientele in vista delle urne su nuove basi collegiali.
L’episodio più ignobile? Il referendum di Gela, che vota a favore del trasferimento dal Consorzio di Caltanissetta al Consorzio di Catania. Ignorato dall’Assemblea regionale, che rinnega le leggi che essa stessa ha votato.