Il “Il Ponte? Ci sono parecchi ingegneri che dicono che non sta in piedi, siccome non faccio l’ingegnere vorrei delle rassicurazioni… Ricordo che il 90 per cento delle ferrovie siciliane in Sicilia è a binario unico e la metà dei treni viaggia a gasolio.
Quindi non vorrei spendere un miliardo di euro per un ponte in mezzo al mare quando i treni non ci sono…”
E’ il punto di vista colmo di saggezza espresso da un leader politico, ed incontra il favore di una parte consistente dell’opinione pubblica italiana, alla quale la Sicilia non è affatto estranea. Se chiedessi al lettore di indovinare chi sia questo saggio leader politico, o comunque in subordine in quale area politica egli appartenga, non avreste dubbi di sorta: la sinistra, è lì che alberga l’idea della decrescita felice, del danno ambientale devastante, della insana priorità assegnata all’opera nel deserto del traffico ferroviario. Grosso errore...
Il dissenso è espresso dall’area avversa alla sinistra e dal leader che oggi sventola la bandiera del Ponte, come fosse quella della Padania, Matteo Salvini. Che cosa ci siamo persi? La conversione leghista sta dentro la fluidità delle posizioni politiche degli italiani. Elettori ed eletti sconfessano se stessi frequentemente ed in tempi brevi.
Basta mandare indietro l’orologio per scoprire che i punti di vista, gli interessi, le prospettive, le intenzioni di coloro che ci rappresentano, mutano come il clima nei giorni di marzo: oggi fa freddo, domani caldo; oggi il cielo manda fulmini e saette, domani splende il sole, che ti accarezza le guance come fosse l’ancella di un sultano. E’ solo una questione di prospettiva, termine che meglio di ogni altro contiene in sé tutto il resto.
Gli interessi, se non sono quelli del bene pubblico; le intenzioni, se c’è da alimentare il consenso; gli obiettivi, se c’è da affrontare una emergenza da sondaggi sfavorevoli, costruiscono la prospettiva più appropriata. Matteo Salvini, in particolare, ci ha abituato a capriole strabilianti, che la platea popolare applaude, a sua volta, a seconda della prospettiva, facendosi complice delle reiterazioni. Roba da circo equestre.
Vero, ma è questo che amiamo, applaudire le capriole dei clown. La roba forte, da dotti in servizio permanente, spiegata sul filo della logica e pianificata secondo interessi generali, non eccita le nostre menti, anzi annoia, suscita pensieri deprimenti. Pensate alla sorte dei social buonisti: passano inosservati, e vengono bocciati dall’algoritmo, pronto a fare cassa per conto del committente ed autore, regalando la viralità ai complottisti, agli heaters, a quelli che la sparano bufale per conto proprio e per conto terzi.
Che cosa ha fatto cambiare idea a Matteo Salvini? Qualche idea ce l’ho, anzi più d’una, ma il quesito lo lascio alla vostra considerazione. Mi permetto un suggerimento: rivolgetevi all’Intelligenza artificiale (ChatGPT), appena arrivata sulle nostre macchine digitali, così risparmiate energia mentale e non vi esponete a giudizi che un giorno potrebbero esservi addebitati in famiglia o sul posto di lavoro.
Quel che a me interessa è la prospettiva del comune mortale, che vive (o vegeta) a Gela, intristito dal nulla e incattivito dalla stupidaggine, di cui non vuole sentirsi complice, per avere affidato la sorte della comunità a bellimbusti in doppio petto con l’aria di saperla lunga in pubblico e con il tremore della cattiva coscienza in privato.
Qual è la prospettiva del cittadino gelese davanti alla secolare problematica del Ponte sullo Stretto? Da che parte stare? Conviene o non conviene? Rispondo con grande semplicità: realizzata l’alta velocità sulla Catania-Messina, e rimesso a sesto il tratto ferroviario Gela-Catania, la prospettiva non può essere che favorevole al Ponte. Salire sul treno veloce a Gela, con il Ponte, si arriva in sei ore a Roma, meno tempo che imbarcarsi su un aereo dall’aeroporto di Catania alla volta della capitale.
Tutto chiaro, dunque? Nemmeno per sogno, la tratta ferroviaria Gela-Caltagirone non esiste da due decenni a causa di un ponte, caduto per colpa di madre natura con la complicità (forse) dei costruttori. Per rimettere in piedi il ponte in questione non ci vuole un miliardo di euro, ma un milione, comunque una cifra che si aggira un milione. Come fa il cittadino gelese a stare dalla parte del Ponte sullo Stretto, se è stato derubato di un servizio di prima necessità per venti anni, a causa di un piccolo ponte di pochi metri, trascurato per un calcolo costi-benefici che disincentiva l’investimento.
La conseguenza di tanta sfrontata indecente sciatteria è che una stazione ferroviaria decente, la stazione di Gela, capace di ospitare dignitosamente un traffico passeggeri notevole, è divenuto un piazzale adibito al parcheggio degli autobus, un hub per ogni percorrenza. La stazione del traffico gommato ha sostituito la stazione ferroviaria, un caso da antologia che prova la forte presenza dell’imprenditoria privata nei luoghi in cui si decide.
Il traffico passeggeri della stazione-bus è importante: ogni ora una corsa alla volta di Catania. Vuol dire che i margini di convenienza ci sono E allora perché mai le Ferrovie dello Stato non investono? La risposta farebbe arrabbiare anche i francescani: i passeggeri che salgono sul treno alla volta di Catania non esistono, come se potesse essere il contrario dal momento che salire sul treno a Gela alla volta di Catania prevede una prima tratta di autobus ed una seconda, Caltagirone-Catania, con tempi biblici.
La conversione della stazione ferroviaria sta agli antipodi della conversione di Salvini sul Ponte di Messina. La prima è indotta da una governance miope, la seconda da interessi di bottega (politica).
Riflettiamo, per un momento, sulla sorte di quei cittadini che preferiscono recarsi a Catania in auto, e affrontano il rischio statistico dell’incidente stradale, specie quando il clima è sfavorevole. Bisognerebbe fare il conto delle vittime della strada per ragionare sull’opportunità di investire sui binari. Ma il vice presidente del Consiglio, Matteo Salvini, convertitosi al Ponte, non ne ha tempo; è impegnato sul fronte degli immigrati che hanno la faccia scura e professano una fede diversa, sono delinquenti fino a prova contraria ed espletano i loro sentimenti più oscuri appena mettono piede sul suolo patrio (padano). Il problema sicurezza riguarda loro, e non i cantieri di lavoro e le strade che provocano stragi quotidiane.
Non vorrei che passasse l’idea di una questione salviniana piuttosto che meridionale, siciliana, o gelese. Non è così. Il Ponte è i frangiflutti dell’ambientalismo più becero, delle paure ancestrali, al tempo del dio Poseidone si puniva la tracotanza di chi, come dice Salvini, “fa un ponte sul mare”; i Persiani furono battuti dagli ateniesi, perché costruirono un ponte di legno per le loro truppe.
Poi ci sono quelli che “prima bisogna investire sui binari in Sicilia”, che sono tantissimi ed hanno ragione da vendere, per certi versi. E’ da settanta anni che il mantra – prima i treni poi il Ponte- scava trincee contro il Ponte, con il risultato che non ci sono né i treni né il Ponte.
Fra dissenso e consenso radicali, esiste una terza opzione: investire due miliardi, uno per il ponte ed un altro per rimettere in piedi le tratte più vantaggiose. Il resto arriverà con il Ponte, che costituirà un incentivo affinché il traffico ferroviario nell’Isola svolga il compito che nel resto del Paese e in Europa ha, di volano del progresso e dello sviluppo.
Il caso-Gela, è bene tenerlo a mente, è emblematico di una politica dei servizi di trasporto pubblico (aerei, marittimi, ferroviari) che ha creato la marginalità dell’Isola.
Quel piccolo ponte ferroviario sulla tratta Gela- Caltagirone giustificherebbe una risposta rancorosa alla conversione di Matteo Salvini, suscitata dal bisogno, inappagato finora, di “sfondare” nel Sud del Paese. Ma siamo costretti a ragionare, e non con la nostra testa, ma delegando alla governance le decisioni. E sono guai: ideologia, interessi, furbizie, stramberie la fanno da padroni.