Intelligenza artificiale, che Dio ci aiuti

Intelligenza artificiale, che Dio ci aiuti

IA non è il raglio di un asino, bisillabo onomatopeico, ma l’acronimo della Intelligenza Artificiale, che sta facendo impazzire il mondo.

E’ prevalsa l’idea che l’IA sia una entità antropomorfa, capace di evolvere al punto da asservirci. Partorita dalla tecnologia, figlia dell’algoritmo, ha fatto irruzione pochi mesi fa circa come miracoloso strumento cognitivo, capace sostituire la nostra mente impigrita, generare contenuti, suggerirci percorsi di conoscenza, disponendo di una infinita quantità di dati. E’ una medaglia con due facce: può ragionare in nostra vece o può coadiuvarci nell’approfondimento di questioni, argomenti, temi di qualunque natura.

Se ragiona in nostra vece, IA instaura una sudditanza; se ci coadiuva alza l’asticella del nostro impegno e della qualità dei nostri ragionamenti. Nel primo caso IA induce pensieri, preferenze, intenzioni che non ci appartengono, nel secondo ci stimola a misurare il percorso cognitivo compiuto, sfidandoci ad attrezzarci alle sfide future

Le fake news possono trasformarsi in  fake question, instaurare modalità cognitive che ci riducono a consumatori di prodotti, cognizioni, progetti, idee, sentimenti; per esempio, preferire un partito e votare un candidato e tanto altro ancora. Se si dovesse mettere male, IA guadagnerebbe il diritto di trasformarsi in raglio di un asino. Qualunque sia l’accoglienza riservata a IA, possiamo esser certi che la nostra vita, ancora una volta, verrà messa a soqquadro, teoricamente a fin di bene, e dovremo misurarci con le nostre volontà, limiti, competenze e intenzioni.

Potremmo far finta di niente, starcene a guardare, goderci lo spettacolo e continuare il nostro tran tran quotidiano, per non dovere affrontare il problema, tanto basta non partecipare perché tutto scorra: il fiume placido raggiungerà il mare, comunque vada. E’ possibile defilarsi, starsene in disparte per non correre rischi?

Se non la teniamo a bada, IA diviene un mostro con sette teste, o una ancella gentile che ci tiene per mano nella nostra vita quotidiana, lavorativa e familiare. E’ la vecchia tattica dei due carabinieri: quello buono che offre una sigaretta, e il cattivo che usa le maniere forti per costringerci a calare le braghe. Se invece affrontiamo l’IA, con la volontà di servircene, essa può offrire delle opportunità. Dipende esclusivamente dall’approccio. 

Sapere come e fino a che punto possiamo dominare “il mostro a sette teste”, è essenziale per rimanere padroni dei nostri pensieri; non è un obiettivo facile, già oggi le informazioni, ottenute attraverso i motori di ricerca, i social, le notizie taroccate, tendono a modificare la nostra visione del mondo. L’IA, con la sua abilità di costruire concetti, potrebbe ridurci a burattini di un teatro di cartone allestito dalle grandi compagnie del settore. 

Il fascino della intelligenza artificiale può rivelarsi una minaccia, suscitare un atteggiamento difensivo, piuttosto che pragmatico, inclusivo, scientifico. Sapere gestire “il mostro” eviterebbe “conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali”, la cosiddetta eterogenesi dei fini. L’ansia è giustificata entro certi limiti: gli esseri pensanti sono autonomi, mentre l’IA lavora per automatismi. L’autonomia di pensiero non è una trincea, la piattaforma che ci rende inattaccabili. Se l’autonomia di pensiero non c’è, sono guai; il problema però non lo crea l’IA ma il modo di stare in vita. 

Be quite, dunque; stiamo calmi. Abbiamo lasciato alle spalle novità recenti che hanno cambiato la nostra vita: l’uso del computer, del cellulare, dei motori di ricerca, dello streaming per le immagini. La dinamica delle innovazioni tecnologiche tende ad evolversi sia nella qualità che nei tempi. L’obsolescenza è diventata l’anticamera del business. Nel corso dell’anno avremo delle accelerazioni straordinarie nel campo dei percorsi cognitivi generati dall’IA.

Sarà una corsa alla quale parteciperanno molti competitors. Dobbiamo preoccuparci? No, solo stare al passo dei tempi. Umberto Eco ci ha regalato preziosi suggerimenti sull’uso del web, soft e altre diavolerie digitali, che oggi utilizziamo purtroppo senza alcuna coscienza critica, consegnandoci alle verità prefabbricate dalle varie opzioni digitali (FB, Twitter ecc). Il computer, inteso come contenitore dei vari soft digitali, non è una macchina intelligente che aiuta le persone stupide, ma una macchina stupida che funziona al servizio di persone intelligenti. Dovremmo ricordarcelo.

La capacità di analisi dell’IA è qualitativamente differente dalla nostra, ma quantitativamente di gran lunga più invasiva e potente. Ciò che non può fare l’IA è creare; non ne è capace, ogni umano possiede una sapienza esperienziale unica. L’inquiry posta all’IA fa perciò la differenza; answers, le risposte, rendono fruibile il prodotto nella misura in cui riusciamo a porre domande efficaci, analizzarlo criticamente e farlo nostro. 

La paura di essere sostituiti dall’IA, come ogni paura, è bene che faccia il suo mestiere, a patto che non ci irretisca. I motori di ricerca, scrivono gli esperti, sono “macchine che automatizzano i processi cognitivi nell’ambito di progetti di innovazione che gli umani definiscono ed implementano”. 

Battezzata negli Usa, l’IA ha messo in subbuglio il mondo dell’istruzione, in particolare le scuole. In Italia il governo della scuola pare abbia scelto i costumi egizi: la mummificazione. Della questione non si parla, quando esploderà, e ciò avverrà presto, saranno dolori. I discenti possono servirsi dei processi generativi per elaborare e svolgere lavori senza il rischio di essere tacciati di plagio. I prof possono presumere che un buon testo non sia stato elaborato dallo studente mediocre, ma non potranno mai provare che egli abbia utilizzato l’IA. 

Rispetto a questo problema, un po' ovunque, le azioni intraprese sono state di natura repressiva: divieto di usare  l’IA. Niente di più anacronistico ed inutile; gli studenti non possono essere sottoposti a controlli fuori dalle mura scolastiche. E’ come vietare l’uso dei cellulari e dei computer. Impossibile. E sarebbe come impedire retroattivamente la fruizione degli algoritmi. 

Arrivo al quesito cruciale: imporre il divieto o governare il fenomeno, analizzandone le criticità per integrarlo nel corso di studi? La questione non si pone solo nel campo dell’istruzione, naturalmente. I consumatori sono adulti di ambo i sessi che svolgono prevalentemente lavori intellettuali (e non solo). Che fare? Quali reazioni prevedere? Ci viene in aiuto Umberto Eco, ancora una volta, con il suo celebre saggio su apocalittici e integrati, che descrive il modo di stare al mondo degli umani. Di queste due categorie presumiamo di sapere l’essenziale, il resto del mondo è un buco nero. 

L’attenzione va rivolta al territorio di mezzo: gli indifferenti, i distratti, i frustrati, gli spaventati, gli sconclusionati, gli smarriti, i pigri, le anime belle (ma non troppo): l’oceano umano nel quale nuotano squali e barracuda, pronti a fare un sol boccone dello stormo di pesciolini che amano vivere in acque tranquille. I modelli di apprendimento automatico basati su big data potrebbero generare un clima orwellliano tante volte annunciato e minacciato.

A differenza del passato, le tecnologie offrono oggi quel che serve per realizzare il vecchio sogno di fare del mondo un grande gregge, suddiviso in mille ovili custoditi da pastori armati di bastoni e un vocabolario forbito e gentile.

Entrare nel chiostro sbarrando le porte alle innovazioni non è una opzione, affretta la transumanza degli umani; non resta che cavalcare la tigre, irrobustendo volontà e competenze alfine di guidare il percorso cognitivo, riconoscere la qualità finale dei contenuti, formulare opzioni ed ipotesi. Senza illusioni, tuttavia: il groviglio neuronale che assicura ad ogni individuo una potenziale libertà di pensiero deve difendersi da attentati programmati da hacker e agenti istituzionali.

L’uso malevolo dell’IA è la questione centrale: per porvi riparo, le innovazioni sociali devono evolversi di pari passo con le innovazioni tecnologiche. Esplorare le tecnologie che ci offre il learning prodotto dall’IA generativa è un imperativo categorico. 

Nel VI secolo a.C. gli antichi greci accolsero la "téchne" di Prometeo con le sue cieche speranze, pur di liberarsi della sudditanza divina. Gli dei, oggi, sono le compagnie che governano i social. Elon Musk ha investito 11 miliardi, da solo, sull’IA. Il business dell’IA è oro colato. E’ iniziata una nuova era, e scappare non serve.