Finisce con la condanna in appello per le due ginecologhe dell’ospedale Umberto I di Enna la triste vicenda della morte del piccolo Saverio Delia, avvenuta sei anni fa, 42 giorni dopo la nascita con parto cesareo.
Ad emettere la sentenza di condanna nei giorni scorsi è stata la Corte di Appello di Caltanissetta, presieduta dal Consigliere Giovanbattista Tona.
L.T. e V.M. – queste le iniziali delle due ginecologhe – erano state giudicate in 1° grado con sentenza di condanna per la prima e di assoluzione per la seconda. Ad impugnare l’esito del 1° grado era stata la Procura di Enna per V. M., mentre per L. T. aveva fatto ricorso il suo difensore, avv. Carmelo Peluso.
Alla riapertura dell’istruttoria dibattimentale in Corte d’Appello, è stato disposto l’esame di alcuni testimoni e una perizia sulle cause che avevano portato al decesso del piccolo Saverio. Già in sede di indagini preliminari, i consulenti della Procura avevano affermato che “Se il taglio cesareo fosse stato eseguito con solerzia, la sofferenza fetale acuta – con alto grado di probabilità razionale prossimo alla certezza – non si sarebbe verificata”, mentre i periti nominati nel giudizio di appello hanno definito il ritardo nell’esecuzione del taglio cesareo “una pura follia”.
All’esito, i giudici di secondo grado hanno deciso di condannare le imputate ravvisando gravi profili di responsabilità in entrambe le ginecologhe per il decesso del neonato.
I difensori delle imputate, avv. Carmelo Peluso per L. T. e avvocati Ones Benintende e Antonino Gattuso per V. M. hanno chiesto l’assoluzione delle loro assistite.
Di diverso avviso l’avv. Aldo Giuseppe Bonadonna, legale di Filippo Delia e Fernanda Siciliano, genitori del piccolo Saverio, costituiti in giudizio parti civili, ha chiesto la condanna di entrambe le imputate.
Sin dalle prime battute del lunghissimo processo, il legale dei coniugi Delia, avv. Bonadonna, aveva sostenuto che la morte del piccolo Saverio era dipesa essenzialmente dal ritardo nell’esecuzione del taglio cesareo, e più specificamente dal non avere ravvisato per tempo la grave sofferenza che interessava il feto, nonché dall’avere assunto decisioni senza conoscere le reali condizioni cliniche del bambino e della paziente. Tesi difensiva che è stata integralmente accolta dalla Corte d’Appello con la lettura del dispositivo. A breve seguirà la motivazione della sentenza.
A questo punto i genitori si aspettano che anche la Asp di Enna assuma i provvedimenti conseguenziali.