Escludo l’intento cospiratorio in linea di principio, ma non posso cancellare l’ipotesi che la scomparsa della ordinanza 171 dall’archivio digitale del comune di Gela riservi inquietanti retroscena.
La propensione a sospettare di tutto e di tutti è fenomeno generale e ad esso si deve pagare dazio. Non capita tutti i giorni che una ordinanza comunale scompaia dall’orizzonte dei provvedimenti adottati dall’autorità sindacale. Le congetture più ingenerose e dissimiglianti sono la proiezione dei costumi del tempo; non deve meravigliare che trascinino in un territorio abitato da stralunati e disinvolti inquisitori.
Comincio dai fatti, così come essi si sono verificati, rispettando la sequenza con cui si sono manifestati, quasi che a guidarli ci fosse una regia oculata. Chi ha messo mano all’archivio digitale del comune di Gela, scoprendo l’assenza dell’ordinanza 171, non aveva alcuna intenzione di indagare sul caso, ve lo posso assicurare. L’ignaro navigatore, che conosco personalmente e del quale mi fido, è aduso alle più sofisticate nefandezze digitali; quando si è trovato davanti all’ordinanza n.170, è andato avanti, è si è trovato al cospetto della ordinanza 172. Che cosa volete che pensasse, a quel punto?
Mi rimetto al racconto che mi è stato fatto, senza corredarlo di superflue considerazioni: l’ignaro navigatore è tornato indietro, addebitando il salto della quaglia ad una distrazione. Si è colpevolizzato, insomma addebitando la disattenzione alla fastidiosa sequenza della numerazione, sempre uguale, routinaria. Immaginate che cosa significhi cominciare da zero e seguire il processo numerico senza alzare gli occhi in alto. Vi sarà sicuramente capitato di entrare in una galleria, alla guida della vostra auto, e di avere perso per un attimo, il controllo del veicolo a causa di una sorta di ipnosi indotta dai fari della vettura che precede. Insomma, autoipnosi. Il nostro inquisitore per caso ha subito una drammatica assenza di coscienza e ha creduto di essersi perso la ordinanza n.171. Come in trance, ha girato attorno alle due ordinanze, la 170 e la 172, senza riuscire a scrostarsi da esse.
Fin qui niente di strano, se non il fatto che le due ordinanze, la precedente e la successiva alla 171, scomparsa, erano state adottate a metà del mese di aprile del 2016. Giorni caldi, per via del fatto che a Gela è esploso con una violenza inaudita, e fra il meet-up gelese a cinque stelle e il sindaco, Domenico Messinese, un insanabile conflitto. L’episodio, seguito con preoccupazione da un’opinione pubblica innamorata del movimento grillino, proiettò Gela sulla ribalta nazionale segnalando la prima disavventura nella irresistible ascesa al governo del Paese del nuovo schieramento politico promosso da Beppe Grillo.
Che cosa c’entra la crisi politica pentastellata con l’ordinanza n.171? Niente, il fatto sta che l’inquisitore per caso ha abbandonato la pista più ragionevole, cioè il probabile ripensamento sul provvedimento, infilandosi insensatamente nel tunnel della presunta cospirazione.
A imbrogliare ancora di più la matassa sono intervenute delle coincidenze che, pur non avendo nulla a che spartire con la ordinanza 171, hanno condotto in buona fede l’inquisitore ad alcune strabilianti scoperte. Il sindaco, Messinese, in quei fatidici giorni, è stato “licenziato” dal Movimento Cinque Stelle, allora severissimo con coloro che deviano dalla via maestra, sulla base del principio secondo cui “uno vale uno” (principio, com’è noto, oggi desueto). Il primo cittadino, subita la sanzione, ha rivendicato i poteri che la legge gli conferisce, e ha licenziato i componenti pentastellati della sua giunta municipale, segnatamente Nuccio Di Paola, Pietro Lorefice e Ketty Damante. I tre ex assessori oggi ricoprono scranni parlamentari: Nuccio Di Paola è il capogruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle dell’Assemblea Regionale siciliana, Pietro Lorefice è senatore della Repubblica, e Ketty Damante, deputata regionale. Un cursus honorum davvero strabiliante.
Chi non crede alla casualità è indotto ad addebitare allo “scazzo” fra Messinese e i Cinque Stelle, la prestigiosa carriera politica dei tre ex assessori, rimossi e, successivamente, promossi, ed a sospettare un filo, seppur tenue, che tiene insieme le vicende dell’aprile 2016. Gli inquisitori s’innamorano facilmente delle loro tesi precostituite, e voltano le spalle al resto, finendo con l’ignorare ciò che hanno sotto il naso. La vicenda della quale ho dato conto, nei dettagli, ne è la riprova.
L’errore sta in premessa, ignorare l’ordinanza 171: scomparsa dall’archivio istituzionale del Comune di Gela, è rimasta nella rete. Essa si trova, intonsa, nel Forum dei nudisti, nientemeno. Perché mai, vi chiedete: semplice, l’ordinanza affronta in maniera radicale e definitiva una intollerabile carenza istituzionale nella pratica di nudità in comune (che non va riferito all’ente locale, ma allo stare insieme secondo le regole della decenza).
Del provvedimento amministrativo si deve dar conto, senza interferenze, alla fine altrimenti non ci si capisce niente: l’ordinanza n. 171 del 5.4.20216, avente per oggetto l’uso degli arenili, firmata dai dirigenti di settore e dal sindaco, richiama la legge Comunitaria –15 dicembre 2011, n. 2017, recante Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee, ed osserva in premessa che l’Italia è l’unico Stato dell’Europa a non possedere una legge che riconosca e tuteli il Naturismo. Da qui discende la necessità, da parte dell’ente locale gelese, di colmare la penosa lacuna, che disattende i valori e le virtù del naturismo, “un modo di vivere in armonia con la natura, caratterizzato dalla pratica di nudità in comune, allo scopo di favorire il rispetto di se stesso, degli altri e dell’ambiente.
«Il naturismo – considera ancora l’ordinanza – è un modo sano, naturale, educativo e familiare di vivere la propria libertà con rispetto verso altri modus vivendi e non ha nulla a che vedere con comportamenti legati alla sessualità o al voyerismo, ma anzi se ne distanza».
L’ordinanza n.171 acquista il valore di un vero e proprio manifesto della comunità naturistica internazionale, quando auspica “la promozione di un contatto diretto con la natura privo di artificiosità e convenzioni sociali, partendo dal rispetto verso le persone, per arrivare al rispetto degli animali e dell’ambiente attraverso uno stile di vita che vede la nudità come logica conseguenza del proprio modo di essere interiore”.
«Un naturista – ricorda con encomiabile zelo l’ordinanza sindacale – ha una vita sana, si alimenta di prodotti naturali, pratica attività sportiva all’aria aperta e il suo stare nudo ha componente sociale, che infatti realizza sia in spazi privati sia in spazi pubblici».
La considerazione finale rimanda ad una primogenitura squisitamente gelese, allorché ricorda che “negli anni Cinquanta, il village magique veniva ospitato nientemeno che in Sicilia, a Gela, era un’oasi internazionale per nudisti ubicata presso il boschetto di Bulala ad est della foce del fiume Gela”. Giusto nei luoghi in cui 2500 anni prima si celebravano, per dire, i riti misterici eleusini in onore della dea Demetra. Sono queste le buone ragioni per le quali il sindaco “ordina” di disciplinare l’uso degli arenili e di istituire il servizio di assistenza, salvataggio e polizia municipale.
Prudenza vuole che non sia stato fatto obbligo ad alcuno di denudarsi nell’apprestare i servizi, (va da sé che il personale di assistenza avrebbe potuto richiamare il diritto all’obiezione di coscienza).
Ed ora la dolente nota: l’ordinanza, manifesto spoglio e autentico della pratica nudista, è stata disattesa, dalle comunità di nudisti, che della generosa e intrepida disponibilità non hanno tenuto alcun conto.
Resta comunque la soddisfazione, e il legittimo orgoglio, da parte dei cittadini di Gela, di una tenace volontà dell’autorità cittadina di superare pregiudizi, luoghi comuni e stereotipi che in misura spropositata accompagnano, ovunque, le comunità di naturisti, i cui valori sono ben illustrati dall’ordinanza n. 171.
Quanto alle inquisizioni ed alle supposizioni suscitate da coincidenze temporali, è il caso di non farne conto. Lasciano il tempo che trovano, vanno giudicate come un fenomeno deplorevole di spirito cospirativo, sul quale si costruisce una cultura dell’eversione e del ribellismo senza arte né parte.