Quando c’è la buona volontà anche la geografia, inossidabile quanto la matematica, si piega alle ragioni della politica, quella con la “p” minuscola s’intende, che davanti al big business della "munnizza" arretra… avanzando: s’irretisce, indugia, tasta il terreno, si guarda attorno, mentre i rifiuti viaggiano nel frattempo da un capo all’altro dell’isola, e talvolta fanno il giro del mondo a bordo di una nave.
Gela è stata indicata, insieme a Catania, come sito che dovrebbe ospitare un termovalorizzatore. E siccome ci sono le condizioni, anche un biorigassificatore. L’annuncio viene da Palermo, ma manca ancora il suggello, l’atto formale.
L’ubicazione del termovalorizzatore gelese nasce dalla necessità di dotare di questo impianto la Sicilia occidentale (Catania in quella orientale). La fascia centromeridionale è stata così spostata a ovest, all’insaputa degli amministratori locali, che – colti alla sprovvista – hanno subito organizzato una delegazione per far conoscere il loro disappunto. Il termovalorizzatore non lo vogliono, il biorigassificatore potrebbero ospitarlo se ci sono le condizioni.
Gli ambientalisti siciliani, naturalmente, hanno bocciato la scelta, e una parte politica, il Movimento 5 Stelle, ha ribadito la sua contrarietà. Si preannunciano barricate. Ci teniamo le discariche, piuttosto che emettere sostanze tossiche nell’atmosfera? L’ubicazione, quindi, non è il problema. Il problema è il mezzo scelto per affrontarlo e risolverlo.
Non è la prima volta che Gela si trova davanti a scelte che mettono a rischio l’ambiente e la salute dei cittadini. Gela è un’area ad elevato rischio ambientale; Piana del Signore, su cui si adagia quel che resta della petrolchimica, non è stata bonificata, nonostante sia dovuto per legge. Gela è anche sito di interesse nazionale (SIN), al quale è dovuta una speciale attenzione, attrezzandolo al fine di mantenere la forza lavoro che ha espresso in passato. Lo Stato e la Regione, insomma, sono in credito con la città. L’Eni non è solo in credito, siccome non rispetta la legge, che impone alle aziende che dismettono i loro impianti di ripristinare l’area utilizzata e riconvertirla, attraverso opere di bonifica, ha trasgredito ogni norma e grazie alla sua potenza di fuoco ha potuto finora mettere le carte a posto.
Né la parte pubblica, Regione e governo nazionale, né la parte privata, l’Eni, però, sembra sentirsi in difetto, anzi – come nella circostanza presente, la realizzazione di nuovi impianti, Gela resta in pole position come destinataria di nuovi impianti che rappresentano una nuova scommessa a carico della salute della comunità.
E’ quindi del tutto plausibile una reazione che in linea di principio alzi barricate, visto che non si è nemmeno fatto precedere la scelta da una opportuna consultazione con le autorità territoriali e che la stessa Eni non abbia ritenuto di dovere tastare il terreno, almeno quello, per dare l’avvio all’esecuzione del progetto. Insomma, sono andati avanti come un carro armato, quasi che Gela non esistesse, come comunità di esseri pensanti e destinatari di diritti inalienabile, come quello della salute.
La questione da affrontare non è tanto l’accettazione degli impianti programmati, quanto il riconoscimento, di Gela, come parte in causa e detentrice di un diritto sacrosanto di veto. Bisogna affrontare, in via preliminare, a nostro avviso, tempi e volontà della bonifica dell’area del petrolchimico, da tempo dismessa, e chiedere a tal fine impegni seri e concreti da rispettare entro tempi vicini e tali, comunque, da precedere la realizzazione di nuovi impianti.
E’ l’Eni che deve rispondere delle sue omissioni e mettersi in regola; e finora, pare interessata unicamente ad utilizzare un vantaggio territoriale per nuovi investimenti, dai quali si aspetta di lucrare. Niente gli è dovuto, l’assegno in bianco firmato dalla città negli anni cinquanta, con il petrolchimico, accolto come una benedizione divina, è carta straccia per come sono andate le cose. E l’avviso che i nuovi impianti, se realizzati, regalino occupazione per più di mille unità, sulla carta, non scalda i cuori. Se c’è una cosa che Gela ha imparato, è di tenersi la fame piuttosto che raccattare polpette avvelenate, lanciate con lo scopo di addomesticare cuore e menti.
Penso che non ci sia alcuno che non abbia capito quanto l’Eni sia interessata al nuovo big business, e che non sappia che il vecchio ricatto dell’occupazione non funzioni più; l’azienda ha perso l’aureola di santità con la quale si è guadagnata i pellegrinaggi di fedeli e le anime belle che le hanno affidato il futuro. Per sgombrare definitivamente ogni residuo di gratitudine, immeritata, si ricordi che lo status dell’Eni oggi è bene diverso dal passato: da azienda a partecipazione statale, e quindi prevalentemente pubblica, l’Eni è oggi, di fatto, un’azienda privata, alla stregua di altre e il suo core business è l’energia – petrolio e gas – settore in cui ricopre una posizione egemonica e privilegiata, perché ad essa è affidato il rifornimento delle risorse energetiche del Paese.
Con la crisi russo-ucraina si è scoperto che il Paese ha una forte dipendenza energetica e subisce una grave perdita di sovranità economica e politica. La politica estera, insomma, è stata di fatto affidata all’Eni per almeno tre decenni, con il risultato che le valutazioni aziendali, di per sé legittime, hanno finito con incaprettare il Paese e indebolirlo più di quanto non lo sia stato in passato.
Tornando alla questione principale, il termovalorizzatore, esprimo un giudizio azzardato, ma dettato dal bisogno di uscire dal pantano: è un impianto che va costruito – ovviamente non necessariamente a Gela – perché il “niet” finora ha avvantaggiato il business dei “munnizzari” eccellenti, proprietari delle discariche e gli appaltatori del servizio di raccolta locali. Non c’è comunità in Sicilia che non sia vessata dai costi del ritiro dei rifiuti e del loro smaltimento ed avvilita da una pulizia approssimativa. La Sicilia vive un paradosso: i nemici fieri dei “munnizzari”, ambientalisti ed anime pie – sono diventati gli alleati più fedeli, seppure inconsapevoli, dei “munnizzari” di successo, il portafogli gonfio e, talvolta, l’aria da padreterni e il cappello storto.
Non pensate che sia venuto il momento di dire basta alle discariche, ed affidarsi alle tecnologie, invece di alzare preventivamente le barricate, magari evitando di cambiare la storia e la geografia, per fare un regalo, ancora uno, all’Eni? Non c’è alcun dubbio che servano i termovalorizzatori, plurifunzionali (differenziata ed indifferenziata), o unifunzionali, così come non c’è dubbio che servano i biorigassificatori per eliminare la dipendenza del Paese dalla Russia di Putin.
Non c’è altresì dubbio che si debba sapere tutto sugli impianti, per esempio quanto le tecnologie di nuova generazione le abbiano reso sostenibili attraverso l’abbattimento di emissioni nocive. Essenziale, dunque, uno scrupoloso esame di fattibilità, invece che chiacchiere da bar, affidato a specialisti della materia, che possibilmente non siano in busta paga della società aggiudicatrice dell’opera.
Sul biorigassificatore, agganciato alla bioraffineria, va adottato lo stesso criterio di prudenza e di sostenibilità. Si deve trattare su elementi di fatto, seguendo corrette procedure istituzionali. Il che significa che Gela si deve dotare di consulenti e trattare con gli organi istituzionali regionali e, se necessario, nazionali. A livello regionale il front desk è il presidente della Regione, cioè Musumeci, e il governo regionale, che pare abbiano demandato alla società aggiudicatrice della commessa, la scelta del sito. Una “furbata”, visto che nessuno sarebbe felice di avere nel giardino di casa il termovalorizzatore.
Un recente comunicato del comune riferisce di un incontro fra gli amministratori locali e l’ing. Rispoli, amministratore delegato di Myrechemical, società controllata dal gruppo Maire Tecnimont. Esso contiene informazioni sulla natura dell’impianto e di un impianto omologo realizzato in Giappone, E’ una buona cosa, a patto che si abbiano le idee chiare e i muscoli allenati: ospitando gli impianti Gela renderebbe un servizio alla comunità siciliana; l’ing. Giacomo Rispoli invece rappresentata gli investitori, l’imprenditoria interessata al business.
L’interlocutore istituzionale del sindaco di Gela, Lucio Greco, è il governo regionale, la presidenza della Regione, non il presidente dell’Assemblea regionale Gianfranco Miccichè. Sindaco e assessori, si sono recati a Palermo, ed invece hanno preferito Miccichè. Tradotto in politichese, la delegazione gelese non ha dato “confidenza” a Musumeci, che fa parte di un’altra cordata di centrodestra, e illuminato il soglio di Palazzo dei Normanni, dove siede Micciché, antagonista di Musumeci. Baruffe chioggiote.
Sono entrambi appartenenti alla grande famiglia del centrodestra, ma non significa niente. E’ in famiglia che si alzano le barricate. Miccichè ha espresso un netto dissenso sulla ricandidatura di Musumeci alle prossime regionali, e questa posizione ha lacerato l’area di centrodestra e creato malumori in Fratelli d’Italia, partito cui “Sarà Bellissima” (viene da ridere, ma così si chiama ancora quel partito…) di Musumeci ha da tempo aderito. La delegazione gelese, quindi, si è schierata. Miccichè, com’era prevedibile, ha esternato al sindaco le sue perplessità in ordine alla scelta di Gela. Copione noto.
Non penso affatto che le perplessità di Miccichè influiscano sulla vicenda in progress, anzi. Il rischio, piuttosto, che gli impianti assegnati a Gela, possano dipendere dalle sorti del conflitto fra Miccichè e Musumeci, è da considerare. Non è tutto: siccome il “dono” dei due impianti è accompagnato dal fiocco rosa – la nascita di posti di lavoro (un migliaio per i due impianti), potrebbe essere il fiocco rosa a condizionare la scelta, com’è avvenuto in passato.
L’Eni a Gela gode di buona stampa, ma gli assegni in bianco non sono graditi. Gli azionisti privati che investono sulle società dell’Eni sono felici e contenti di parcheggiare nella terra di mezzo, fra pubblico e privato. Ma Gela non è affatto felice e contenta di come sono andate finora le cose. Ha già dato. E continua a dare, a causa di ciò che l’Eni avrebbe l’obbligo di legge di fare, e non fa. Niente scappellate e convenevoli, dunque. Tutto alla luce del sole, coinvolgendo la comunità, ad ogni livello.