Nel giorno di Pasqua, a Pinerolo (Torino), dove viveva da alcuni anni, è venuto a mancare Emanuele Cultraro (nella foto), Elio per tutti. Una vita vissuta tra giornalismo e Siae (Società italiana autori ed editori). Aveva 69 anni, compiuti a gennaio. Ha lasciato la moglie Rosa, i figli Gianni e Stefania, anche loro residenti con lui in Piemonte, e il fratello don Vincenzo, parroco della Chiesa Madre di Gela. I funerali in città, venerdì 22 aprile alle 16,00, concelebrati nella Cattedrale di Gela dal fratello di Elio, don Vincenzo Cultraro, e dalla comunità sacerdotale locale. Elio era molto conosciuto in città principalmente per la sua intensa attività di giornalista.
Amava Gela come pochi altri
L’ultima volta che ho sentito Elio è stato il giorno del nostro compleanno, il 20 gennaio. Un evento che ci accomunava e che ci faceva piacere condividere. Stava già male. Ricoverato in terapia intensiva all’ospedale di Pinerolo. Il figlio Gianni, che ho visto crescere, compagno di giochi e di studi del mio primogenito, era riuscito a far passare il suo telefonino nella stanza d’ospedale. Ci siamo scambiati – lui a fatica – gli auguri, come facevamo sin da quando ci eravamo conosciuti. Parlo di cinquant’anni fa.
E’ stato il più bel regalo che ho ricevuto quel giorno, e spero sia stato così anche per lui. Poche parole, un abbraccio virtuale. Tre mesi dopo, il silenzio per sempre. Non per un male incurabile, ma i per postumi di un ictus che lo aveva colpito circa vent’anni fa, e per qualche nuova complicazione.
Ci siamo conosciuti quando io ho cominciato a collaborare con il Giornale di Sicilia, come vice del corrispondente di allora, Salvatore Parlagreco. Elio – quattro anni più giovane di me – ancora giovanissimo, era già un navigato cronista, tant’è che, non ancora ventenne, svolgeva le funzioni di corrispondente del quotidiano La Sicilia di Catania.
Di lui mi colpì subito la sua dimestichezza con i fatti cronaca nera e giudiziaria, ma essendo appassionato anche di politica, si distingueva anche in questo settore. Prediligeva la “nera”, e quando capitava un grave fatto di cronaca, sul posto arrivava lui prima delle forze dell’ordine, e a queste dava i primi dettagli.
Erano gli anni in cui, una volta che Parlagreco si trasferì a Palermo, in città rimanemmo a fare giornalismo in pochi, Elio per La Sicilia), Franco Infurna per Rai e Ansa, Valentino Alfieri (per L’Ora, e lo sport e sindacale per La Sicilia, e chi scrive per il Giornale di Sicilia.
Di lì a qualche anno sarebbe scoppiata la guerra di mafia. Furono mesi di coraggio per tutti noi, di tristezza e inquietudine per la comunità gelese.
A cavallo degli anni tra i ‘70 e gli ‘80, Elio lavorava come mandatario dell’agenzia Siae di Gela, e al Comune come precario, oltre a collaborare per La Sicilia. Poi il concorso in Siae come dipendente e il primo trasferimento a Mantova.
Lasciò tutto, soprattutto il suo cuore, a Gela, compreso il giornalismo. Ne soffrì molto, fino a che non riprese a scrivere per il Corriere di Gela, fin dalla sua fondazione, nel 1985. Gli servì per mantenere il legame con la città, ma anche per fustigare il malcostume da sempre imperante nei meandri della politica cittadina. Lo faceva con piacere e passione, come servizio per la collettività. Puntuale e lucido nelle sue analisi, riusciva a conciliare la sua passione, nonostante i suoi gravosi impegni in Siae, dove frattanto aveva scalato i vertici della carriera, dirigendo, dopo Mantova, filiali e sedi regionali importanti, a Trieste, Bergamo, Pescara, ma anche occupando ruoli negli uffici centrali di Roma e a Milano come capo dell’Ispettorato.
Elio aveva aspettato di andare in pensione per tornare definitamente nella sua Gela, che amava più di ogni altra cosa, con le sue bellezze e le sue brutture. Sognava di comprare qui una casa per viverci fino alla fine dei suoi giorni, una fine giunta troppo presto. Fino alla telefonata del figlio Gianni, che nella tarda mattinata di Pasqua mi ha dato la triste notizia, gettandomi nello sconforto.