Se si dovesse assegnare un premio locale ad una figura autorevole femminile di divulgazione culturale e comunicativa, l’insegnante e giornalista Maria Concetta Goldini(nella foto) sarebbe una serissima candidata, con i favori del pronostico.
A lei abbiamo posto alcune domande.
– Sei un volto conosciuto dell'informazione locale, ma poco si sa della Maria Concetta bambina che cresce a Gela, diventa adolescente, studia e si laurea e nel frattempo diventa donna ...
«Nulla di eccezionale da raccontare. Ho vissuto un’infanzia serena in una famiglia che non mi ha fatto mai mancare nulla e ho avuto un padre meraviglioso che mi ha trasmesso i valori cristiani, l’amore per la lettura e la scrittura, insieme alla capacità di non scendere a compromessi e di essere molto critica verso me stessa. Sono cresciuta accerchiata da tre maschi quasi coetanei – un fratello e due cugini – che erano i miei compagni di giochi. Infanzia e adolescenza le ho trascorse studiando e facendo tutte quelle cose (non molte) che erano consentite, in quegli anni, alle ragazze appartenenti a famiglie più moderne: stare insieme tra amici ma fino ad una certa ora, ascoltare musica, qualche festa da ballo, qualche gita, l’estate al mare. Il mio primo viaggio da sola senza la famiglia, in Grecia, l’ho fatto a 18 anni, dopo l’esame di Stato al liceo classico. Un premio condiviso con altri compagni liceali vincitori, come me, di un concorso su “le tragedie di Eschilo”. Poi l’Università a Catania. Mai avuto dubbi sulla scelta della facoltà. La decisione, cioè lettere classiche, l’avevo presa autonomamente a 14 anni. Già allora sognavo per me un futuro da giornalista, ma sentivo un’attrazione forte per il latino ed il greco e sognavo anche di tornare nel mio liceo come insegnante. Peraltro riuscendoci. Giornalismo e insegnamento erano due amori a cui non riuscivo ad opporre resistenza. In verità, non ci riesco neanche oggi. Non rispondo mai a chi mi chiede se mi sento più giornalista che insegnante e viceversa, semplicemente perché non saprei cosa rispondere».
– Cosa significa per te insegnare?
«Il privilegio di usare ogni giorno un fantastico canale comunicativo dove la forza della parola, unita alle immagini, ai suoni, alla capacità di ascoltare, crea il miracolo della trasmissione ai giovani dei codici necessari a guardare al mondo di ieri e di oggi con curiosità e spirito critico. Una comunicazione non univoca ma condivisa. Significa mettersi in discussione ogni giorno, non fermarsi mai sulla soglia del ciò che si è e che si sa. Non l’ho mai considerato un lavoro. La fatica, in gran parte derivata dalle conseguenze di riforme inutili e inefficaci e dall’eccessiva burocratizzazione della scuola, è compensata dall’eterna gioventù, un dono che deriva dal confronto sereno e responsabile con i giovani studenti. Insegno in una scuola meravigliosa che considero la mia seconda casa: forse questo illumina la mia idea di insegnamento e allontana da me la crisi che investe la classe docente italiana».
– Qual è, se esiste, il metodo "Goldini" di insegnamento?
«Non penso che esista. Studio, mi aggiorno, ci metto il cuore e cerco di non comportarmi con i miei alunni come quei docenti che da studentessa ho detestato o non stimato. Di certo, nel mio modo di insegnare influisce anche la mia esperienza di giornalista. Credo, però, che a questa domanda potrebbero rispondere meglio i miei alunni».
– Come è nato l'incontro con il giornalismo e come sei arrivata ad assumere la guida della redazione locale del quotidiano "La Sicilia"?
«Come accennato prima, fin da adolescente sognavo di fare la giornalista. I libri e gli articoli di Oriana Fallaci e Camilla Cederna a 16 anni li leggevo di nascosto, anche a scuola. Dopo la mia laurea, nel giugno 1988, sono tornata a Gela per un’estate di relax e di decisioni da prendere. Ho conosciuto Antonio Asaro che era il corrispondente locale per La Sicilia e mi ha invitato a scrivere qualche articolo per il giornale locale il Corriere del Golfo, poi per La Sicilia. Nel frattempo, insegnavo come docente precaria. Dopo la scuola scrivevo gli articoli e li portavo a casa di Antonio. Un anno dopo lui lasciò Gela e si trasferì a Palermo e il giornale mi contattò per l’incarico di corrispondente. Il resto è venuto pian piano con sacrifici e impegno notevoli e senza l’aiuto che oggi viene dalla tecnologia. Sono stati anni pesanti per me: la guerra di mafia con oltre 100 morti ammazzati è stata dura da vivere e da raccontare. In quel terribile contesto ho imparato il mestiere. Non mi ha mai penalizzato il fatto di essere donna. Al giornale ho avuto un grande maestro Giorgio De Cristoforo. Lui ha creduto in me e a lui devo tutto ciò che sono riuscita a fare nel proseguo di un’attività svolta in una palestra multiforme come quella gelese. Da noi si impara veramente il mestiere di giornalista, perché accadono fatti eclatanti in tutti i settori: dalla cronaca nera a quella politica, allo sport. Dopo la guerra di mafia, l’editore investì su Gela destinandole due pagine. Era il 1992, l’anno dopo il mio ingresso nella scuola come docente di ruolo. Avevo realizzato i miei due sogni, forse troppo presto e nella mia città. Questo ha condizionato la mia vita nel senso che ha mandato a monte il progetto di non vivere a Gela. Nel 2000, dopo l’incendio della mia auto, ho pensato ancora una volta di andare via, ma non l’ho fatto».
– Quali difficoltà sta incontrando il giornalismo con lo sviluppo tecnologico e l’evoluzione dei media?
«Oggi il giornalismo è stato sacrificato sull’altare del dio della velocità. Non demonizzo i moderni mezzi di comunicazione, sarebbe da sciocchi, e li uso anch’io. Contesto l’impiego acritico che se ne fa e il fatto che l’obiettivo unico per ogni giornalista di arrivare prima di altri a pubblicare la notizia. Anche se è “spazzatura”. Il giornalismo tradizionale non può e non deve competere con quello on line ma diversificare metodi e contenuti. Deve saper essere un’altra cosa, se vuole sopravvivere».
– Cosa consiglieresti al giovane che vuole intraprendere oggi la strada del giornalismo?
«Ho avuto la gioia di insegnare questo mestiere ad alcuni miei alunni liceali. Oggi sono sempre meno i giovani attratti dal giornalismo. Ma chi vuol farlo deve studiare e investire in cultura e competenze tecnologiche. Nel mondo attuale la differenza la fanno qualità e specializzazioni».
– Come fai a dividerti tra famiglia, docenza e giornalismo?
«Rinunciando ad altre cose, o meglio a molte cose, e organizzando la giornata in modo da curare con equilibrio queste tre facies della mia vita. Non sempre ci riesco ed è facilmente intuibile che ad essere penalizzata è spesso la famiglia. In primis lo sono io però. Ciò che è normale e scontato per molte donne per me è, nella maggior parte delle volte, impossibile».
– Conosci – domanda direi retorica – l'assessore alle pari opportunità e come valuti il lavoro sin qui fatto dall'attuale amministrazione?
«Certo, l’assessore Gnoffo è stata una mia alunna, ma le pari opportunità e le quote rosa le considero sciocchezze. Riguardo all’amministrazione comunale, finora nulla di nuovo all’orizzonte. Il sindaco è molto presente, si impegna parecchio ma è a capo di uno scatolone semivuoto, di un’alleanza che è nata male, solo per vincere, e con tanti compromessi. Ha, inoltre, alcuni dei suoi collaboratori che “riscaldano le sedie”. Risultati degni di rilievo finora non ne ho annotati ma ha inciso in negativo anche il Covid. Il contesto politico caratterizzato da liti, trasformismi e tornacontismi non mi appassiona».
Il «Chi è» di Maria Concetta Goldini
Nata a Gela il 25 gennaio 1964.
Coniugata dal’ 6 luglio del 1991 con Umberto Russo, operatore finanziario. Non ha figli.
Studi classici superiori all’Eschilo di Gela, dove insegna da sempre Lettere Classiche, con laurea nella stessa disciplina conseguita nel 1988 all’Università di Catania. E’ responsabile delle pagine di Gela del quotidiano La Sicilia.
Hobby, passioni e interessi: teatro, letture, lirica.