POLITICA IERI&OGGI/Gela, l’era delle liste civiche

POLITICA IERI&OGGI/Gela, l’era delle liste civiche

Immaginate una piramide rovesciata e scoprite la gerarchia dei partiti.

La base, che una volta significava il popolo sovrano, è composta da pochi decisori; in cima alla piramide c’è una sorta di babele, nella quale risiedono, senza capirsi, sigle che si richiamano agli stereotipi triti e ritriti. 

La rivoluzione trova in prima fila le liste civiche che scendono nell’agone nelle elezioni amministrative, sono silenziati i partiti, cancellati i simboli e nascoste le appartenenze. Gli schieramenti politici, sopravvisssuti alla grande purga degli anni novanta, si concedono una pausa, Di necessità virtù, insomma, con l’aggravante che la virtù è, in realtà, un vizio.

La sfiducia verso i partiti consiglia una ritirata strategica. Le liste civiche sono un ripiego. Non è nemmeno una confessione d’impotenza, né una rassegnata ritirata in attesa di tempi migliore, ma la lenta inarrestabile deriva di ciò che una volta dava un senso al dibattito politico, al confronto, alle alleanze e ai ruoli di maggioranza e opposizione. Le liste civiche, infatti, sono un utile ombrello per fare ciò che si vuole senza dovere rendere conto all’elettorato, un espediente utile alla formazione di alleanze, di maggioranze o opposizioni, “eterogenee”. 

I malpensanti sostengono che le liste civiche sarebbero nient’altro che una specie di “refugium peccatorum”, dove i furbastri si liberano dell’imbarazzante e ingombrante legame con il partito di appartenenza e si tengono le mani libere per ogni evenienza, pronte a stringerle a chi offre di più e di meglio. Lo sganciamento dai simboli tradizionali, dunque, è una gran drittata, che per furberia viene spiegata come una evoluzione della politica, che finalmente torna ad occuparsi di problemi locali, invece che infrattarsi nelle diatribe sui massimi sistemi. Se è così, lo confesso, mi viene da rimpiangere perfino quelle sedute di consiglio comunale, durante le quali si discettava sulla invadenza statunitense e la soggezione a Mosca.

Gela è un campione valido per misurare l’entità della rivoluzione politica in atto: ben sei liste civiche ai nastri di partenza, irriconoscibili dall’abito indossato, cioè lo slogan prescelto. Provate a distinguere fra questi titoli: “Un’altra Gela”, “Impegno comune-il popolo della famiglia”, “Una buona idea”, Uniti siamo gelesi”, e “Azzurri per Gela”. Con l’eccezione del colore di richiamo, azzurri, per il resto è una enunciazione di luoghi comuni. 

Mi impressiona però “Il popolo della famiglia”: sembra un tuffo nella modernità del passato remoto. Che mai vuol dire popolo della famiglia? Il richiamo a una sorta di fratellanza, una comunità che deve diventare una famiglia? Per una città che dalla notte dei tempi ha fatto dell’agone politico una specie di fossa dei serpenti, non c’è male come aspirazione al nulla. “Una buona idea”, invece, mette di buonumore, tanto è plateale la drittata. Viene affidata agli elettori l’incombenza di intuire quale sia, ovviamente la buona idea. L’elettore deve accontentarsi di sapere che è una buona idea, per il resto confidi nella buona sorte e nell’impegno che i sostenitori della buona idea trovino la quadra, cioè l’idea buona. 

Queste liste civiche, è bene ricordarlo, sono state presentate nelle ultime amministrative, 2019, a sostegno del sindaco eletto, Greco. Quindi sono “affratellate” e rispondono alla necessità di mettere in campo un esercito di candidati che si dannano l’anima per portare acqua al proprio mulino, e mentre ci sono, al mulino del candidato sindaco. 

Alle cinque liste civiche a sostegno del sindaco eletto, dobbiamo aggiungere  quelle a sostegno dei candidati-sindaco non eletti, e cioè Ripartiamo da zero, Maurizio Melfa sindaco, Movimento 5 Stelle, Fratelli d’Italia, Lega e Udc. Le sigle politiche, dunque, non sono state pensionate tutte quante. Il loro impegno è stato premiato dai seggi in consiglio comunale. Si sono già registrati quattro cambi di casacca ed è nato un nuovo gruppo civico, la cui sigla è “Libera-mente”. Una nuova invocazione alla libertà. Di pensiero, in questo caso. Cadono le braccia. 

Dietro le sigle, però, c’è un segreto, in verità il segreto di pulcinella. La lista degli “Uniti siamo gelesi”, è ispirata dal Partito Democratico, ed ha eletto due consiglieri dem, la lista “Azzurri per Gela” ha eletto due consiglieri di Forza Italia. Inequivocabile: forzisti e dem a Gela si sono alleati, ma non bisognava farlo sapere. Del resto fra Arcore e Gela corre una distanza siderale.

Le liste civiche servono a mascherare alleanze politicamente innaturali, che metterebbero in imbarazzo la base della piramide composta dai dirigenti dem e al patron forzista, Silvio Berlusconi. Lavorandoci su questa alleanza verrebbe in superficie un retroterra che non si finirebbe mai di esplorare; le implicazioni e presupposti di siffatta ricerca, espliciti e impliciti, suggeriscono di fermarci a metà del percorso. 

Le alleanze “sottobanco”, ma non troppo, poggiano sull’individualismo esasperato di chi “scende” in politica e il trasformismo preventivo (sono già un passo avanti rispetto al cambio di casacca una volta eletti). Si obbedisce ai tempi? Assolutamente vero: liberarsi dalla schiavitù dei partiti è come scrollarsi di dosso dal cappotto la polvere accumulata nel corso della carriera politica. La campagna elettorale e, in caso di successo, l’elezione, disponendo di liste mutaciche,  è un viaggio di piacere, una allegra rappresentazione dell’esistenza, un ballo in maschera, un teatro di cartone che si può sfaldare con un soffio. Meno vincoli, meglio si campa. 

Gela ha subìto una metamorfosi rispetto ai primi quaranta anni circa di vita politica, durante la quale i voti elettorali sono stati divisi per il settanta per cento da due partiti di massa, il Pci e la Dc. Fra Pci e Dc c’era un fossato con acqua profonda, affollata di alligatori. Per trovare qualcosa di simile, devo trasferirmi nel campo della demografia. Gela negli anni cinquanta era il comune più prolifico d’Europa, oggi chiude l’annata con i numeri negativi: a Gela non si fanno più figli.

Se la responsabilità di questa inerzia demografica la date alla condizione economica delle famiglie, avete torto e ragione insieme. Avete torto perché si stava sicuramente peggio negli anni cinquanta, quando i figli nascevano a frotte, ma avete ragione se date uno sguardo allo spread che c’è oggi fra i bisogni e le risorse per soddisfarle, molto modeste. 

In definitiva Gela è cresciuta, ma questa crescita – culturale, economica, sociale – non ha portato progresso, cioè un soddisfacente tenore di vita. E’ lo specchio del panorama politico che offre una disarmante assenza di buone idee, per rifarci ad una delle sigle civiche di successo. Gela si è ammargiata, è diventata una palude: non ci nuotano squali e alligatori, ma pesci piraña, piccoli ma velenosi. 

Dei cari estinti, cioè dei partiti politici, beninteso, nessuno sente la nostalgia, ma è la palude che spaventa: non cresce niente al posto dei partiti, anzi è il peggio che cerca di emularli; si cammina nella palude con l’acqua che arriva alla cintola, una mesta processione di fantasmi che si danno la voce l’un l’altro, come quei carrettieri che molti anni fa partivano per la campagna nella notte e si cantavano le brutte storie della giornata a venire. 

Che cosa resta da fare? Il passato ci ricorda la doppia verità comunista, le intese sottobanco, il solidarismo che si trasforma in clientelismo, la perdita della verginità dei socialisti, la conflittualità permanente, lo scambio dei favori come regola inderogabile, il tesseramento fasullo ai partiti, le tangenti. 

A guardare indietro si rischia il torcicollo o di precipitare in un fossato. Una sbirciatina al passato è utile ma non ci solleva dal pessimismo dell’oggi; semmai, ci fa strabici. 

E poi chi l’ha detto che il meglio sta fuori dalla politica?