Con l’accusa di omessa bonifica delle acque di falda, la Procura di Gela (ne abbiamo dato notizia nel numero scorso) ha eseguito il sequestro della società Syndial Sicilia, ora Eni Rewind e chiesto il rinvio a giudizio 22 ex dirigenti della raffineria per disastro innominato.
La formula è quella di rito, induce ad un moto di stizza e, insieme, di compiacimento. Era ora, insomma, che si sollevasse la pentola e si punisse, se c’è da punire, i presunti responsabili. Nessun desiderio di vendetta, per carità, la giustizia detta le regole del vivere comune, ed in questo caso, tra l’altro, può dare un decisivo impulso alla bonifica del territorio devastato dalla fabbrica.
Il tintinnio delle catene, come si diceva un tempo, induce la sollecitudine, che non pare sia stata sentita, ed esercitata, per un lungo periodo, rimandando a tempi biblici ciò che doveva essere fatto subito e per bene. Sono stati ospitati a casa nostra, hanno fatto buoni affari, ci hanno dato salari e stipendi, di cui si aveva un dannato bisogno, e se ne sono andati dopo avere messo a soqquadro la casa. Capitasse con nostri amici o conoscenti, gli avremmo tolto il saluto e, soprattutto, avremmo installato attorno al nostro domicilio cavalli di frisia coperti con lunghi chiodi in ferro. A saperlo, comunque. Eravamo giovani, forti e ignari delle conseguenze, anche perché eravamo stati bombardati di promesse e di…effetti moltiplicativi.
L’inchiesta della magistratura è durata dieci anni, una cosa inaudita rispetto ai tempi, pur lunghi, della giustizia, ed incomprensibile rispetto ai guai che giorno dopo giorno, ritardi ed omissioni avrebbero causato all’ambiente. Un comportamento irresponsabile, ci sono danni che possono essere riparati ed altri che, invece, non godono del privilegio della retroattività, come quelli arrecati alla salute dei cittadini.
Sarebbe comunque ingrato, e perfino ingiusto, fare di tutta l’erba un fascio. La Procura di Gela, guidata dal Procuratore Fernando Asaro, ha lavorato alacremente, ed i dirigenti di Bioraffineria, incaricati di mettere a posto le cose, per quanto possibile, hanno impresso al loro lavoro un ritmo più sollecito ed una qualità diversa.
Significa che prima si è fato finta di non vedere né sentire, orecchie da mercante insomma? L’interrogativo avrà una risposta in un’aula giudiziaria, la qualcosa, quando avviene, significa che i danni sono stati già fatti, e non c’è verso di cancellarli. Bisogna prenderne atto, ricordando però che non sarà, certamente, una (eventuale) condanna a ridare alle vittime dell’ambiente insalubre la salute irrimediabilmente perduta.
Quanto alle responsabilità, vanno ricercate molto in alto. L’opera di dismissione e bonifica ha costi molto alti, ed il ritardo con cui si è intervenuto ha consentito, nel tempo, risparmi notevoli. Una cosa è pagare subito, e bene, un’altra, potere dilazionare il pagamento di un decennio…senza sborsare gli interessi. Sul piatto della bilancia, insomma, ci sono da una parte le economie aziendali, e dall’altra la salute dell’ambiente e delle persone. Su quale piatto della bilancia credete che il peso penda?
Per saperne di più, è bene rifarci a quanto è stato fatto, e detto, dai protagonisti della svolta. Che sono il procuratore della Repubblica, e l’attuale capo dell’azienda incaricata di mettere le cose a posto, Francesco Franchi. Il capo della Procura di Gela, Asaro, intervistato da Presa Diretta, ha confessato di non capire come mai aziende di tale livello, con così grandi capacità di intervento, non siano stati all’altezza della situazione. Per Asaro è incomprensibile. Il suo piccolo umanissimo sfogo accoglie quello di ogni comune cittadino, che non abbia vissuto a Gela e sia stato costretto a sorbirsi i miasmi della fabbrica, a nutrirsi con cibo “sfiancato” dalla devastazione del territorio.
Solo abitando a ridosso della grande fabbrica, e subendo, la sua posizione di dominus, per certi versi inevitabile, si può conoscere la risposta, a prescindere dalla qualità delle competenze acquisite. In più il legittimo quesito, che tradisce una altrettanto legittima sorpresa, andrebbe arricchita di un dettaglio, che poi tale non è, e cioè che l’azienda da cui ci si aspettava interventi solleciti e rispettosi della salute pubblica e dell’integrità ambientale, è partecipata dallo Stato. E’ un’azienda che permette al nostro Paese di disporre dell’energia di cui ha bisogno per far funzionare il Paese, in qualche misura, dunque, benemerita. Solo che fra le sue benemerenze non può annoverare, dopo le dismissioni, la bonifica del territorio.
Quando si è cominciato a fare orecchie da mercante? Nel 1998 Gela è stata inserita nei cosiddetti SIN (Siti di interesse nazionale) e cioè le aree contaminate e pericolose per l’ambiente e la salute dell’uomo, che necessitano perciò, di bonifica. Sono trascorsi tredici anni, e soltanto ora, il presidente di Bioraffineria, Francesco Franchi, può mostrare a Presa Diretta (all’indomani della grave decisione assunta dalla Procura della Repubblica) che i lavori di bonifica sono in corso d’opera e vengono condotti alacremente, al fine di recuperare i ritardi. Tanto tuonò che piovve, viene da dire. Oppure, ad essere gentili, meglio tardi che mai.
La voglia di spendere i quattrini insomma non c’è stata affatto. E la cosa sarebbe potuta andare avanti per chissà quanto tempo, senza i recenti interventi (magistratura e informazione). Vale la pena di ricordare, a tal proposito, alfine di avere chiaro il quadro della situazione, quanto è emerso di recente con le esternazioni di un avvocato siracusano, Amara, che ha riferito – fra le tante cose – di essersi occupato, per conto degli interessati, delle assegnazioni dei magistrati friendly in luoghi giudicati “ad alto rischio”, come Gela.
Solo le manette hanno impedito ad un magistrato, procuratore in pectore a Gela, ed in organico a Siracusa, di essere assegnato al vertice della Procura di Gela, quando la posizione è rimasta vuota per il trasferimento del procuratore Lotti a Roma. Avrebbe dovuto essere, pare, “quel” magistrato, in odore di manette, a occupare il posto di Fernando Asaro. Una sorta di cintura protettiva in una piazza a rischio per via proprio dell’inattività della fabbrica nella bonifica ambientale.
Le cose sono andate diversamente, altrimenti ci sarebbe stato il rischio di dovere attendere un altro decennio, e forse più, prima che iniziassero i lavori di bonifica del territorio, se le esternazioni di Amara fossero veritiere.
Asaro, interpellato dai giornalisti di Presa diretta, ha detto chiaro e tondo come la pensa a conclusione della sua inchiesta, conclusa con il sequestro della raffineria e il rinvio a giudizio di ventidue ex dirigenti della fabbrica. “Una vera e propria contaminazione del territorio”, ha spiegato. “Parlo di suolo, sottosuolo, falda acquifera, ambiente. Contaminazione determinata dalla ex presenza della raffineria di Gela fino al 2014. Fra i tanti fatti contestati ci sono molteplici incidenti, sversamenti e incendi, nonché gravi carenze nell’attività di manutenzione e adeguamento degli impianti e della linea di produzione”.
La difesa della controparte è apparsa, tutto sommato, rispettosa (ma ciò non cambia le cose, ovviamente). Il Presidente di Bioraffineria, Francesco Franchi, ha mostrato a Presa Diretta, lo stato dei lavori di bonifica, che procederebbero alacremente, ed ha ammesso che “si è partiti un po' in ritardo”.
La ragione? “Oggi c’è una sensibilità diversa sul tema dell’ambiente, più di quella che si aveva allora…” Onestà intellettuale, occorre prenderne atto. “Con la chiusura dell’impianto di raffinazione, informa Franchi, si sta iniziando un percorso, seppure tardivo. La nostra società si è impegnata a dismettere tutti gli impianti e le strutture non utilizzate per la produzione di biocarburanti… Utilizziamo tecnologie innovative per potere accelerare le bonifiche, tra l’altro il confinamento fisico di un’area contaminata, lungo un chilometro, grazie ad alcuni elementi metallici.”
Roba da esperti. Il “risveglio” dei bonificatori andrebbe monitorato, ma come e con chi? La Procura si avvale di consulenti attrezzati, che affrontano, tuttavia, questioni riguardanti il recente passato, cioè l’accertamento di eventuali responsabilità. Sullo stato dell’arte, la bonifica, bisogna accontentarsi delle assicurazioni di Bioraffineria? La domanda dovrebbero farsela, giorno e notte, gli amministratori locali, e quanti hanno ricevuto il mandato di rappresentare la comunità gelese nelle assemblee parlamentari, regionale e nazionale.
A giudicare da come è andata finora, si naviga a vista, a ridosso di secche, baie, porti, canali, s’impara a “leggere” con grande difficoltà il mare e la costa vicini, figuriamoci veleggiare in altura. Non ci sono i numeri, né la voglia di fare da cane di guardia. Eppure Gela potrebbe svolgere un ruolo di primo piano.
La sua storia “industriale” è esemplare: è la metafora del Mezzogiorno (sedotto e abbandonato), del cinismo delle grandi aziende petrolifere, del sostanziale abbandono coloniale del suo territorio martoriato e supersfruttato. C’è gente che ci ha rimesso la pelle a causa delle omissioni della fabbrica. Gela, dunque, potrebbe, e dovrebbe, portare all’attenzione nazionale la sua storia e quella dei territori lasciati in braghe di tela dopo la grande abbuffata. Il trasferimento della questione ambientale nelle aule dei tribunali suscita compiacimento ma non garantisce né la salute né l’economia e lo sviluppo di Gela.