La Sicilia, come le altre regioni d'Italia, è piena di centri commerciali, di outlet e di ipermercati con i brand più famosi.
Sono punti vendita della grande distribuzione organizzata, negozi specializzati al dettaglio e all'ingrosso, catene commerciali in franchising, spesso attorniati da cinema, ristoranti, banche, area bimbi, parchi giochi e servizi alla persona come parrucchieri,centri estetici, palestre, ecc.
A ridosso del nostro territorio se ne trovano ovunque: a Vittoria come a Comiso e a Ragusa; a Licata ce ne sono due a pochi km l'uno dall'altro; a Caltagirone lo stesso; per non dire di Catania, Enna e Agrigento. Vere e proprie città-mercato dove trovi di tutto, dove (prima che arrivasse la pandemia da Covid) ci si incontrava, si socializzava, si trascorrevano intere giornate in escursioni che trasformavano lo shopping in gite fuori-porta.
Facile intuire che attorno a questo settore del commercio ruota un elevato volume d'affari, una economia di grande rilievo che coinvolge una consistente quantità di manodopera e costituisce lo sbocco naturale delle catene di produzioni industriali, agro-alimentari e artigianali. Insomma, è lo spaccato di un mondo che lavora, che produce, che vende e che consuma, garantendo occupazione e benessere.
Ma se le cose stanno così (e, crisi da covid a parte, non c'è motivo di affermare diversamente) ci si chiede come mai Gela, sesta città della Sicilia, non ha mai avuto un centro commerciale o un outlet, mentre abbonda di supermercati?
E qui le ipotesi sono tante. Valutate voi, c'è solo l'imbarazzo della scelta. Alcuni dicono che sono stati i dettaglianti con i loro sindacati a opporsi all'arrivo dei ricchi investitori nella grande vendita. Altri sostengono che le aziende del settore hanno paura di venire a Gela per non finire vittime di estorsioni, intimidazioni e di violenze mafiose. Altri ancora sostengono che sarebbe proprio la mafia a chiudere le porte a estranei avendo investito nel commercio parte dei proventi dei suoi traffici illeciti e in particolare nel settore alimentare all'ingrosso e al dettaglio.
Ma c'è anche chi sostiene che i gelesi non sentano molto l'esigenza di avere un centro commerciale in città. Versione, questa, prontamente smentita dal fatto che ovunque vai trovi sempre cittadini di Gela tra gli acquirenti più assidui.
Qual è allora il motivo vero? Forse quello che fornisce con disarmante semplicità il presidente della Confcommercio di Gela, Francesco Trainito, presidente anche della "partecipata" comunale Ghelas Multiservizi.
«A Gela – dice – non sono sorti centri commerciali perché la città non si è mai dotata di uno strumento urbanistico che destinasse una o più zone specifiche a tale tipo di commercio. Tutto è stato lasciato allo spontaneismo e spesso all'abusivismo edilizio e commerciale. Così, quando il mercato lo chiedeva – secondo Trainito – non c'erano le aree disponibili per farlo. Per la verità – puntualizza – un'area per i centri commerciali l'avevano prevista nel piano regolatore generale; solo che si trova a 13 km da Gela verso Licata, a nord di Piano Marina, vicino al distributore di carburanti "Ventura", a ridosso dell'area industriale buterese di contrada Burgio. Ma la posizione non è piaciuta a nessun imprenditore e non se n'è fatto nulla».
Ignorato anche una timida iniziativa promossa da un privato, l’imprenditore Fabrizio Russello che aveva chiesto al Comune il cambio di destinazione d'uso del proprio terreno sulla statale 117 bis per Catania con l'obiettivo di venderlo a chi intendeva realizzarvi un centro commerciale. Nessuno però si è fatto avanti. I commercianti hanno preferito la città, negozi e supermercati soprattutto nelle periferie abusive dove è più facile trovare locali ampi originariamente ideati per ospitare garage o magazzini.
Ma proprio qui, tra vincoli e regolamenti mutevoli esplodono le contraddizioni dato che una burocrazia (pachidermica a tutti i livelli) blocca ogni iniziativa nel pantano di regole e cavilli. Due grandi aziende tedesche, ad esempio, chiedono di insediarsi a Gela. Una, la Penny Market, sceglie di aprire un supermercato su una superficie di mille metri quadrati e ottiene subito la licenza rivolgendosi semplicemente al Suap, lo sportello unico per le attività produttive.
L'altra, la Lidl, che invece intende realizzare un complesso commerciale su 5.000 metri quadrati a ovest della fontana che sorge all'ingresso della Gela-Catania, tra via Venezia e via Falcone e Borsellino, da sette anni attende inutilmente il suo nulla osta, sballottata da un ufficio all'altro tra Regione, Stato, Comune e ricorsi al Tar con normative che variano continuamente. In compenso manteniamo da decenni, senza una sede adeguata, la "fiera del martedì", una delle più grandi della Sicilia, con centinaia di bancarelle di ambulanti provenienti da ogni angolo dell'Isola, molti dei quali abusivi.
«Tutto questo disordine nel commercio, cioè in uno dei settori vitali della nostra economia – commenta il presidente della Confesercenti nissena, Rocco Pardo – è avvenuto grazie alla distrazione dei nostri politici, attratti da altri interessi personali. E oggi che non è più tempo di centri commerciali, rischiamo di far saltare anche quel mercato spontaneo che si è sviluppato in via Venezia se non si mette mano a un serio programma di viabilità e di sistemazione delle strade e dell'arredo urbano».
Quando si parla di via Venezia viene subito in mente il tanto pubblicizzato strumento di incentivazione imprenditoriale per artigiani e commercianti quali la Zfu, cioè la "zona franca urbana", e la Zes "zona economica speciale».
Per Trainito «la zona franca è stato un bluff, perché promossa senza soldi, mentre la Zes è buona solo per non far pagare tasse all'Eni, così i grandi si ingrassano mentre i piccoli subiscono, chiudono, scompaiono».
La pandemia da Covid ha contribuito ad aggravare una situazione già pesantissima. Insomma è un quadro piuttosto desolante e fosco quello che viene fuori dai giudizi dei rappresentanti degli esercenti. Ma allora è tutto nero? Buio assoluto?
No, qualche spiraglio si è aperto nel momento in cui la giunta comunale Fasulo ha assegnato all'architetto Ignazio Arrabito il compito di redigere il Puc, ovvero il piano urbanistico commerciale di Gela. C'è da esclamare con forza: finalmente! Ma quanto tempo dovrà passare ancora? Per il Prg dell'architetto Leonardo Urbani sono trascorsi 40 anni. Si spera che per il Puc ne trascorrano molto di meno. L'assessore all'urbanistica Giuseppe Licata, sembra avere le idee chiare.
«Un Prg che impone vincoli ormai superati – spiega Licata – diventa più un limite che una risorsa per lo sviluppo della città. Ed allora è proprio lì che bisogna intervenire con delle varianti per impedire, come è già successo – racconta l'assessore – che si blocchino pratiche e programmi di investimento di taluni esercizi solo perché hanno chiesto di aumentare la loro superficie espositiva da 1.000 a 1.200 metri quadrati».
E già è pronto, su proposta di Licata, l'atto di indirizzo da approvare in giunta per dare mandato al suo assessorato «di procedere alla verifica e redazione di studio preliminare con l’individuazione delle criticità oggetto di revisione» adeguamento ed integrazione delle norme tecniche di attuazione (Nta) e del regolamento edilizio approvati unitamente al piano regolatore generale. «Gela ha bisogno di regole certe – afferma con forza Licata – e se vogliamo procedere all'approvazione del Puc senza più ostacoli dobbiamo subito individuare le criticità da risolvere».