Durante la diretta delle esequie di Filippo, Duca di Edimburgo (nella foto) , principe consorte della regina Elisabetta, celebratesi nel castello di Windsor nella cappella di saint Georg, la nota giornalista Fabiana Giacomotti si domandava:
“Perché tanto interesse intorno alla Monarchia britannica. E’ solo gossip, curiosità? O c’è dell’altro? Perché tanta attenzione verso una istituzione, appunto la Monarchia, che nel 1946 gli italiani “abiurarono” nel famoso referendum che condusse alla costituzione della Repubblica?”. Le risposte che potremmo dare sono molteplici. Ma partendo dalla più banale, e forse anche la più vera, si deve ammettere che in un mondo globalizzato come il nostro, non poteva certo passare inosservata la morte di un uomo – avvenuta il 9 aprile – che, al di là della sua anagrafe (avrebbe compiuto 100 anni a giugno) ha attraversato quasi tutto il Novecento, e poi un quarto del XXI secolo da assoluto protagonista.
E questo a dispetto del ruolo di principe consorte che se lo ha posto sempre un passo indietro alla regina, comunque gli ha consentito di dare un contributo enorme alla “corona britannica”, da...dietro le quinte. Non sappiamo infatti se Elisabetta II, senza Filippo con la quale ha condiviso 62 anni di matrimonio, avrebbe regnato con la stessa efficacia, la stessa determinazione, lo stesso coraggio. Si dice che dietro un grande uomo, c’è sempre una grande donna. Nel caso di Filippo si potrebbe dire – a ruoli alternati – la stessa cosa.
E l’importanza del principe Filippo – nato il 10 giugno 1921 nell’isola di Corfù, di origini metà greche, metà tedesche – è stata nella sua capacità di sapere stare accanto alla sovrana, ma sempre con equilibrio, intelligenza, discrezione, conscio del proprio ruolo di “illustre comprimario”. D’altronde, non sono mancati momenti difficili per la corona nel corso degli anni, come ad esempio la guerra delle Falkland nel 1982, o la tragica morte di Lady Diana nel 1997, od ancora i recenti gravi e sanguinosi atti di terrorismo, e poi la pandemia. Tutte situazioni che molto hanno fatto soffrire la regina e il Regno Unito. Ma la presenza rassicurante dell’uomo che ella scelse per la sua vita (si dice che “Dilibeth” avesse appena 13 anni quando si innamorò di lui) è stato per la sovrana un punto di forza irrinunciabile. D’altra parte, se il principe Filippo durante il suo lungo e indefesso servizio alla corona ha ricevuto oltre 22.000 incarichi un motivo ci deve pure essere.
Ora Elisabetta II – in questo suo ultimo tratto di regno - dovrà fare da sola, e se molto verosimilmente negli affari della corona sarà adesso affiancata dal principe Carlo, legittimo erede al trono, comunque non potrà mai più essere come quando aveva accanto il Duca di Edimburgo.
Il principe Filippo è stato un uomo straordinario: brillante, di bell’aspetto, dotato di humour e pure artefice di gaffes clamorose, dribblate poi con eleganza. E’ stato un vero sportivo, campione degli sport equestri. Un uomo generoso, bandiera del WWF, e sostenitore di oltre 780 associazioni umanitarie, molte delle quali da lui stesso fondate. Ma egli è stato pure un uomo di azione, un ufficiale di marina. E la sua storia si incrocia anche con la nostra Sicilia, se consideriamo che nel ’43 egli prese parte all’Operazione Husky, sbarcando nella nostra isola con le truppe anglo-americane. Insomma, se mai è esistito veramente il “principe azzurro”, Filippo ne è stato il più credibile modello.
Ma un’altra sola ragione vorrei qui esporre a risposta della domanda posta dalla collega Giacomotti, e cioè che per quanto la monarchia inglese possa sembrare anacronistica, per alcuni addirittura “folkloristica”, la sua solidità, basata su antiche tradizioni e secoli di storia, porta molti di noi – in un momento di insicurezze, cadute di valori e grandi fragilità – a guardare a questa istituzione come a una “rappresentazione” rassicurante del nostro incerto quotidiano. Come dire... almeno questa “cosa” esiste ancora. D’altronde, pur non volendo mescolare sacro e profano, una domanda retorica la vorrei porre anch’io: “E se un giorno ci svegliassimo senza più la presenza della corona britannica, o peggio ancora, se non avessimo più il papa?”. Magari per molti sarebbe un sollievo, ma io assocerei queste due “sparizioni” alla fine definitiva della nostra civiltà. D’altra parte, la stessa Chiesa cattolica e la Chiesa anglicana, pur “separate” dallo scisma del 1534 provocato da Enrico VIII, rimangano indissolubilmente legate – insieme alle altre chiese cristiane – dallo stesso destino.